testo di Ivan Masciovecchio.
Castelli monumentali a picco sull’Adriatico, calette ciottolose, resti archeologici, abbazie medievali, riserve naturali e romantici promontori sono solo alcuni degli scenari di incomparabile bellezza offerti dalla Costa dei Trabocchi, il tratto di litorale abruzzese della provincia di Chieti compreso tra Ortona e Vasto che deve il suo nome alla presenza di queste complesse macchine pescatorie di dannunziana memoria e dall’origine incerta, oggi percorribile quasi interamente anche a piedi o in bicicletta grazie ad un suggestivo percorso ciclo-pedonale (Via Verde della Costa dei Trabocchi) in via di ultimazione sul dismesso tracciato ferroviario che guarda il mare.

Poco più di quaranta chilometri contrassegnati da panorami policromi e singolari da togliere il fiato dove, nella predominanza di uliveti e vigneti, protette e nascoste da siepi frangivento approntate artigianalmente dagli agricoltori-giardinieri della zona, si possono scorgere anche profumate e colorate piantagioni di agrumi della Costa dei Trabocchi. Inseriti dal Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) italiani, nonché dall’associazione Slow Food tra le 23 Comunità del Cibo censite in Abruzzo, rappresentano un’altra tipicità di questa porzione di terra fertile di biodiversità diffusa.

Al pari dei trabocchi, dubbi rimangono sull’origine del loro approdo sulle sponde abruzzesi, sebbene sia ormai possibile datarne con certezza la loro presenza fin dalla fine del 1600. Diffusa a partire dalla zona di San Vito Chietino – tanto che generalmente le arance erano chiamate proprio le bionde di San Vito – la coltivazione si è estesa poi per una decina di chilometri raggiungendo contrada Ripari di Ortona a nord e la frazione La Penna alla marina di Fossacesia a sud, passando per Vallevò di Rocca San Giovanni, addentrandosi invece verso l’interno soltanto qualche centinaia di metri, anche a causa della particolare conformazione del territorio caratterizzato dalla presenza di collinette, fossi e falesie in prossimità del mare.

Come ci racconta Rinaldo Verì – storico traboccante e presidente dell’associazione Agrumi Costa dei Trabocchi, sodalizio nato nel 2004 che attualmente raggruppa una 30na di produttori – nel momento di massima espansione la produzione (soprattutto di arance) raggiungeva diverse migliaia di quintali, con carichi in partenza dalla vecchia stazione ferroviaria di San Vito Marina – ancora visibile sul tracciato ciclo-pedonale ed in attesa di riqualificazione – verso la Germania ed il nord Europa, arrivando anche negli Stati Uniti. Poi, sul finire degli anni ’60, prima a causa della comparsa sul mercato di frutti più dolci provenienti dal sud Italia e successivamente a seguito dell’industrializzazione della Val di Sangro che ha portato molti contadini a preferire la fabbrica alla campagna, lentamente gran parte delle piantagioni locali sono state abbandonate – così come le peschiere e gli ingegnosi sistemi di canalizzazione realizzati nel tempo per irrigarle – e gli agrumeti distrutti per fare posto a nuove abitazioni.

Grazie all’attività nel tempo della citata associazione comprendente convegni e manifestazioni popolari come la Vianova delle Arance – un vero e proprio mercatino di strada allestito in contrada Vallevò lungo la statale 16 Adriatica che nel 2020 è riuscito a festeggiare l’edizione numero 12 poco prima della diffusione dell’emergenza sanitaria – si sta assistendo ad un seppur limitato ritorno alla terra, con diverse famiglie impegnate nuovamente nella coltivazione di agrumi, anche se non sempre delle varietà autoctone. Piantagioni interessate in parte dal violentissimo incendio che la sera del primo agosto scorso ha coinvolto la pinetina di Rocca San Giovanni, andata quasi interamente distrutta dalle fiamme.

La maggior parte della produzione riguarda l’arancia – che ha la caratteristica di maturare più tardi e di non essere propriamente dolce – seguita a ruota da varie tipologie di limone (ce n’è anche uno molto piccolo simile al lime), dall’aromatico mandarino tardivo, dal cedro (particolarmente indicato per la trasformazione in marmellata in quanto ricco di polpa) e dal pompelmo. Un discorso a parte merita il cetrangolo (in dialetto lu melaragn) ovvero l’arancia selvatica, amarissima, quasi immangiabile – sebbene acquisisca un gusto più delicato se trasformata in confettura – leggermente più piccola di quella normale e dalla scorza porosa con la quale in passato si aromatizzavano gli insaccati, soprattutto le salsicce di fegato. La pianta ha fusto forse meno imponente e più dritto, con spine lunghe anche diversi centimetri, soprattutto alla base.

La raccolta delle diverse tipologie di agrumi della Costa dei Trabocchi viene fatta manualmente e si protrae per tutto l’inverno. Nel complesso, oltre alla vendita diretta dei frutti freschi effettuata in mercatini di prossimità o presso gli stessi produttori, gran parte della produzione odierna finisce in barattolo in forma di marmellate con le quali si farciscono anche i dolci tipici della zona chiamati cellipieni. Da qualche anno una notevole quantità viene conferita alla distilleria Jannamico Michele e Figli di Lanciano (CH) con la quale si è avviata una collaborazione in esclusiva che ha portato nel corso del 2021 alla realizzazione del Gin J7, distillato in particolare con cetrangolo ed arance dolci, più altre erbe botaniche della costa; ed alla versione premium del Lemoncello, ottenuto dall’infusione di scorze di limoni. Per l’estate 2022 si prevede l’arrivo di un nuovo amaro ottenuto sempre con i frutti che profumano di Adriatico forniti dall’associazione. Infine, continua a crescere la produzione e la richiesta di oli agrumati, soprattutto al limone, realizzati grazie alla cooperazione con i numerosi frantoi della zona, apprezzati dagli amanti della buona tavola ed ideali per condire il pesce fresco che questo tratto di mare sa regalare con insolita generosità.