E’ uno dei più giovani comuni abruzzesi e calamita ogni anno migliaia di turisti.
Martinsicuro, detta “porta d’Abruzzo” essendo la prima che s’incontra sul litorale giungendo nella regione da nord, è sicuramente una città da record. Non solo perché la deliziosa stazione balneare, una delle mete più ambite di tutta la costa adriatica, costituisce il più giovane comune del Teramano, avendo conquistato l’autonomia da Colonnella nel marzo del 1963. Ma anche per due prestigiosi riconoscimenti – rispettivamente la Bandiera Blu della FEE e ben quattro vele assegnatele da Touring Club Italiano e Legambiente – che hanno premiato la cura riservata all’ambiente e l’elevata qualità dell’offerta turistica. Non è quindi casuale che“Gente Viaggi”, una delle riviste nazionale di settore più importanti, abbia posto Martinsicuro al 23° posto su ben 277 località balneari italiane.
E d’altronde già nel 1859, quando ogni vocazione turistica era ancora di là da venire, l’avvocato Giuseppe Montori non aveva alcuna difficoltà a sostenere in un suo scritto come la zona fosse la più bella nella fascia di litorale compresa tra il fiume Tronto e il Pescara «per l’ampiezza della pianura, per la ricchezza della sua terra, per magnifici ubertosi oliveti, e per ogni altra maniera di piantagioni».
Se le importanti attestazioni ricevute rendono Martinsicuro una città, anzi “la” città ecocompatibile, con le ampie zone di verde e gli oltre sei chilometri di lungomare fino a Villa Rosa, tuttavia non è da pensare che qui alligni un turismo sonnacchioso. La sua vivacità è nota praticamente ovunque, grazie anche ai numerosissimi locali presenti ed alle manifestazioni organizzate nel periodo estivo. Piuttosto si tratta di turismo di qualità, che si intende incrementare con la realizzazione del molo turistico e al quale gioverà anche il Parco Marino del Piceno, il cui iter è stato avviato nel 1998. Il Parco, una volta istituito, si estenderà tra Porto Sant’Elpidio, nelle Marche, sino ad Alba Adriatica e costituirà un’area protetta articolata in zone a diverso grado di tutela. Sarà così possibile non solo conservare la ricca biodiversità ancora presente, ma anche incentivare la destagionalizzazione, con il corollario costituto dall’osservazione dei fondali e dalla pratica del pescaturismo.
E sempre in linea con questi orientamenti la sezione cittadina dell’Archeoclub ha da tempo proposto, insieme con la Pro Loco, non solo la valorizzazione e tutela, mediante apposizione del relativo vincolo storico-artistico, della centralissima villa Barnabei, bell’esempio di abitazione signorile risalente al 1866 posta proprio di fronte alla novecentesca chiesa parrocchiale del S. Cuore di Gesù, che oltretutto custodisce un pregevole dipinto absidale di Giuseppe Pauri (1882-1949). Ma anche il recupero di due opifici in laterizio, considerati tra i più interessanti dell’archeologia industriale d’Abruzzo e già oggetto di studio da parte della Soprintendenza ai B.A.A.A.A.S. dell’Aquila. Sono le fornaci Franchi, risalente al 1904 e particolarmente pregevole per la facciata impreziosita da archi e lesene, e Fiore, del 1921, ambedue dislocate a Villa Rosa, a poco più di duecento metri l’una dall’altra lungo la Ss. 80, chiuse rispettivamente nel 1977 e nell’85 ed oggi in condizione di totale abbandono e in avanzato stato di degrado.
Il recupero dei due complessi, secondo un modello utilizzato con successo per la fornace Carotta di Padova, non solo restituirebbe pregevoli manufatti industriali di primo Novecento, peraltro abbastanza rari sotto il profilo tipologico, con l’eventuale destinazione a spazi pubblici espositivi o di spettacolo, ma altresì potrebbe, ed anzi dovrebbe coniugarsi ad interventi di ripristino sulle cave abbandonate presenti nell’immediata zona collinare, già nel 1990 inserite dalla Regione Abruzzo nel piano regionale paesistico.