Una gettata di cemento direttamente sui ciottoli della spiaggia di Fossacesia (CH), con le onde del mare ad infrangersi a pochissimi metri dal cantiere, probabilmente necessaria per la realizzazione di una struttura balneare. Dopo il caso dei bagni edificati vista mare all’altezza della ex stazione ferroviaria, proprio lungo il tracciato della pista ciclopedonale chiamata sempre più impropriamente Via Verde, continua lo scempio sulla Costa dei Trabocchi, il tratto di litorale della provincia teatina compreso tra Ortona e San Salvo che dovrebbe rappresentare il fiore all’occhiello dell’offerta turistica regionale grazie (ma non solo) alla presenza delle antiche macchine da pesca di dannunziana memoria; territorio comunque compreso, non andrebbe mai dimenticato, all’interno del Parco nazionale della Costa Teatina, istituito nel lontano 2001 ed in attesa da ben cinque anni della firma del decreto di attuazione.

Le foto dei lavori in corso pubblicate sul web dalla serata di ieri hanno scatenato un moto crescente di indignazione collettiva, condiviso anche dal Coordinamento per la Tutela delle Vie Verdi d’Abruzzo (TU.Vi.V.A.) composto da oltre 70 associazioni, comitati, imprese del turismo e cittadini comuni, che in una nota esprime «sconcerto per l’ennesima iniziativa di ciò che ci sembra un’occupazione invasiva e legata ad un vetusto progetto di sfruttamento delle spiagge del chietino. Ovviamente sono partite le prime segnalazioni agli organi di controllo per capire come sia stato possibile autorizzare tutto ciò, quando il Piano del Demanio marittimo prevede tra le altre cose una fascia di almeno 5 metri di rispetto dal bagnasciuga per permettere il libero transito lungo la spiaggia; il rispetto di determinate misure (1,5 mt in altezza) dal punto dell’onda di massima tempesta; la tutela del territorio costiero dall’erosione marina».

«La fascia costiera – continua la nota – è sottoposta ope legis a vincolo paesaggistico. La situazione venutasi a creare ci legittima a pensare quindi che non tutte le precauzioni, osservazioni e cautele prescritte dalle norme siano state attentamente valutate, anche a tutela dell’interessato alla concessione oltre che della collettività. Evidentemente non sono bastati i disastri che vediamo tutti i giorni a causa di un uso assolutamente insostenibile dell’ambiente per indurre a realizzare un cambio di indirizzo nell’utilizzo dei beni pubblici. Le amministrazioni che concedono le autorizzazioni per questi usi sconsiderati del demanio sono doppiamente colpevoli in quanto da una parte concorrono a devastare i territori con una visione miope e arretrata dello sviluppo turistico costiero, dall’altra contribuiscono allo sperpero inaccettabile di soldi pubblici per difenderle dall’erosione e dalle mareggiate, che gli stessi operatori balneari poi richiedono».