Testo Chiara Di Giovannantonio Foto Giancarlo Malandra
Piccoli gioielli disseminati lungo il territorio, ricchi di un fascino antico e segreto, ed una storia ancora tutta da raccontare, magari in vista di un futuro rilancio turistico.
Sono forse un centinaio i villaggi disabitati e i piccoli borghi fantasma in tutto l’Abruzzo, con una concentrazione maggiore nelle zone montane. Questi luoghi, abbandonati nel corso del tempo, conservano ancora tutto il loro fascino. Simili nel silenzio e per l’atmosfera che li caratterizza, ogni paese possiede un’anima diversa e ha una storia unica da raccontare. Tra strade deserte, edifici abbandonati e case silenziose, si inizia da Serra, nel comune di Rocca Santa Maria (Te). Si tratta di un antico borgo risalente al Medioevo, che spicca a quota 1096 metri sopra una cresta che domina il fosso da cui sgorga e nasce il torrente Vezzola, all’interno del parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Poco prima di entrare nel paese, in posizione dominante sorge la Chiesa del San Salvatore, rimodernata nella prima metà del novecento e recentemente sottoposta a lavori di restauro. Il borgo si sviluppa in lunghezza, tutte le case sono adiacenti all’unica strada che attraversa il paese. Il sito è ricordato già nel 1124, quando la famiglia dei “Teutoneschi” era concessionaria di terre di proprietà della Chiesa aprutina. Un tempo, il paese apparteneva all’antica università di Rocca Bisegna sotto la giurisdizione del vescovado di Teramo, con le frazioni e i territori di Faiete, San Biagio, Pomarolo e Macchia Santa Cecilia. Solo nel 1813 Serra è entrato a far parte del comune di Rocca Santa Maria. Oggi qui vive un solo abitante ma durante il periodo estivo alcune persone tornano per trascorrevi le vacanze. Insieme a Martese e a Tavolero, Serra è uno dei tre paesi inseriti nel progetto “Borghi”, promosso nel 2007 dall’amministrazione provinciale di Teramo per incrementare un turismo verde fra Parchi e riserve naturali. In particolare, è in programma il completamento del restauro del paese a fini ricettivi, per farne un albergo diffuso sullo stile di Santo Stefanio di Sessanio in provincia de L’Aquila. Come Serra, in provincia di Teramo ci sono tanti altri villaggi solitari. Vallenquina, per esempio, una piccola frazione di Valle Castellana (Te), è stata trascurata per decenni nonostante il suo ricco patrimonio e la sua storia nota fin dai tempi del brigantaggio. Il borgo, che alcuni dicono si chiamasse anticamente Vallonchina o Valle Equina, si trova lungo una strada di comunicazione presidiata fin dal XII secolo, che per centinaia di anni ha consentito l’accesso al Piceno e alla Val Vibrata da Roma. Conosciuto già in età medievale, il paese situato a 869 metri di altezza è riconoscibile anche da grande distanza grazie alla presenza del Castello Bonifaci, un edificio molto particolare fatto costruire in stile neogotico agli inizi del 1900 dal filosofo e letterato Vincenzo Bonifaci. Forse edificata su resti più antichi, la costruzione ha una torre quadrata con merlature e conta una trentina di vani con tanto di feritoie. La data del 1856 è incisa sull’architrave di una porta situata con l’aquila ghibellina. Nel cortile posteriore del castello, oggi di proprietà della famiglia Angelini, è presente una chiesetta in ristrutturazione, edificata probabilmente ai tempi di Carlo V d’Asburgo sotto la dominazione spagnola. È la Chiesa di San Nicola di Bari, caratterizzata da un tetto a capanna sorretto da capriate in legno. Sulla facciata quadrata dell’edificio è inserito un piccolo campanile, dotato di una sola campana. L’interno, costituito da un’aula unica priva di abside, ha l’altare leggermente rialzato. Il borgo in sé si presenta come un piccolo agglomerato di case ben ristrutturate, quasi tutte in pietra arenaria, disposte in modo ordinato lungo l’unica breve via che attraversa il paese. Il piccolo abitato, che nel 1940 contava centoventi abitanti, oggi risulta semi-deserto. Un’altra piccola cittadina fantasma, nel cuore della Val Vibrata, ormai disabitata da molti anni è Faraone Antico, nel comune di Sant’Egidio (Te). Il paese, composto complessivamente da una ventina di edifici, era stato parzialmente danneggiato da un terremoto nel settembre del 1950 e fu poi abbandonato nel corso degli anni ’60. L’accorato interessamento del parroco di allora don Giovanni Reali fece affluire a Faraone copiosi contributi pubblici che consentirono gradatamente a molti dei suoi abitanti di dar vita ad un nuovo centro a poca distanza. È un vero e proprio borgo fortificato di chiara impronta medioevale, del tutto disabitato ad eccezione di una sola famiglia. Dopo aver attraversato un profondo fossato con un ponticello, si entra nel paese passando sotto un grande portale ad arco, sovrastato da una torre merlata. Se si osserva attentamente, incastonata nel muro restaurato, su una pietra logorata dal tempo si trova incisa la data del 1467, probabilmente l’anno di costruzione della cinta muraria. Al di là del portale si apre un’ordinata piazzetta su cui si affaccia un monolitico edificio munito di contrafforti di sostegno a scarpa e la Chiesa di Santa Maria delle Misericordie. A ridosso del luogo di culto, una parte della casa canonica è stata sottoposta ad interventi di recupero più o meno invasivi, che costituisce oggi l’unico edificio abitato di tutto il complesso. Nel bel mezzo del paese, in una delle tre strade che lo percorrono, spicca il palazzo dei nobili Farina, che insieme ai Ranalli ed ai Faragalli furono tra i più importanti proprietari terrieri della zona. Il soffitto al piano superiore ancor oggi mostra alcuni bellissimi decori policromi che lo adornavano. Le altre costruzioni, ormai quasi del tutto nascoste dalla vegetazione, sono ormai in balia del tempo e degli agenti atmosferici che giorno dopo giorno rischiano di cancellare un pezzo del nostro patrimonio storico e artistico.