Testo di Francesco Proia Foto di Renzo Blasetti
Dal prosciugamento del terzo lago d’Italia, al prestigioso
riconoscimento IGP delle patate del Fucino, dai resti dell’archeologia
industriale del Principe Torlonia all’innovativo progetto Galileo,
l’avanzato sistema satellitare europeo di navigazione che si contrappone
al sistema GPS degli USA. Ecco perché il Fucino è ben più di un ex lago.
Prima di diventare l’orto d’Italia il Fucino, con i suoi 150 km², era il 3° lago d’Italia per estensione e uno dei laghi carsici più grandi d’Europa. Strabone, padre dei geografi moderni, lo definì “un mare trasportato tra i monti”, e fu necessario edificare numerosi fari sul perimetro, per orientare i pescatori durante le notti di pesca. Virgilio definì “vitree” le acque del lago e infatti, il pesce pescato, era particolarmente apprezzato in tutto il centro-Italia, soprattutto in Vaticano, dove arrivava fresco grazie alle tinozze piene d’acqua del lago. Ma non avendo emissari naturali il Fucino divenne famoso in tutta Europa per le sue terribili inondazioni che, di tanto in tanto, distruggevano villaggi e coltivazioni. Il primo ad ipotizzarne il prosciugamento fu Giulio Cesare, che con questa mossa progettava l’indipendenza di Roma dal grano del nord-Africa. Nel corso dei secoli l’impresa venne creduta irrealizzabile da Augusto, tentata e quasi riuscita da Claudio, ripresa inutilmente da Adriano e da Traiano e nel corso di 17 secoli rese vani gli sforzi di Federico II di Svevia e di tantissimi altri sovrani. Solo Torlonia, a distanza di oltre duemila anni, portò definitivamente a termine un’opera che per 18 secoli era rimasta in piedi come l’ultima sfida delle capacità umane alla natura. Ma l’impresa di Torlonia, seppure affidata ai migliori ingegneri idraulici dell’epoca, affondava le radici in quella romana, tant’è che venne battezzata operazione “Gran Cesare”.Venne allargato l’emissario romano, che con i suoi 6.560 metri di lunghezza fino al 1871, anno in cui venne aperto il traforo del Frejus, era rimasto il tunnel sotterraneo più lungo del mondo. L’impegno di spesa fu così importante che Torlonia fu costretto a chiudere la sua banca, da oltre 60 anni la più importante d’Italia. Fu allora che questi esclamò la sua frase più celebre “O Torlonia prosciuga il Fucino, o il Fucino prosciuga Torlonia”. Nel 1883, dopo aver scaricato nel fiume Liri un totale di circa un miliardo di metri cubi d’acqua, Torlonia divenne proprietario di circa 14.000 ettari di terreno. Con oltre 100 km di canali, 250 km di strade, 240 ponti e quasi 700 km di fossati, il progetto di bonifica è molto più ampio di quello che sembra, ed è solo grazie a questo monumento a cielo aperto se oggi è ancora possibile dominare le acque del Fucino, che altrimenti, tornerebbero prepotentemente al loro posto.
Le feraci terre del Fucino spazzavano via ogni record: il grano raccolto dopo il prosciugamento aveva paglia alta fino a due metri e una produzione di grani per spiga doppia rispetto a tutte le varietà fino ad allora coltivate. Come si spiega? La terra del Fucino è “vecchia” di soli 150 anni, inoltre fino ad allora era stata il fondale di un lago, “concimato” naturalmente per migliaia di anni da un intero e ricchissimo ecosistema sommerso. Le apprezzatissime patate del Fucino, che dal 2016 hanno ottenuto il prestigioso riconoscimento IGP, sono considerate tra le migliori al mondo anche per le loro incredibili caratteristiche organolettiche. Dopo qualche anno, però, come ci ha raccontato egregiamente Silone in Fontamara, tra i Torlonia e i “cafoni del Fucino” si crearono delle tensioni che sfociarono nelle celebri lotte contadine. A quel punto Torlonia preferì abbandonare il Fucino e le terre vennero consegnate ai contadini. Nessuno però poteva prevedere che, dopo il boom economico legato all’agricoltura, sulla Marsica si sarebbe abbattuta una delle più grandi catastrofi della storia d’Italia. Il 13 dicembre del 1915, alle 7:53 di quel gelido mercoledì mattina, la terra sprigionò una potenza equivalente a 32 milioni di tonnellate di dinamite, circa il doppio della bomba sganciata su Hiroshima, esattamente nel punto in cui, fino a pochi anni prima, riposava il lago Fucino. I sismografi registrarono il 7° grado della scala Richter e l’11° di quella Mercalli. La Marsica contò oltre 30.000 vittime, ad Avezzano rimase in piedi una sola casa, 10.000 morti su 11.000 abitanti, tra cui anche il sindaco. Prosciugamento e terremoto possono essere collegati? Nessuno è in grado di dimostrarlo scientificamente ma è ovvio che, privare il terreno un miliardo di metri cubi d’acqua in pochi anni, è indubbiamente un evento che ha poco a che fare con la natura.
Oltre all’agricoltura oggi nel Fucino c’è anche l’industria. Sulle ceneri dello zuccherificio e della cartiera Torlonia, di cui ancora oggi è possibile apprezzare i resti di un’interessante archeologia industriale, sono nate strutture all’avanguardia come Telespazio. Quello che oggi tutti conoscono come Fucino Space Centre, è nato agli inizi degli anni 60, anticipando di un paio d’anni quelli statunitensi. Sette anni dopo la NASA poté trasmettere in diretta mondiale l’allunaggio solo grazie alle antenne del Fucino. La scelta della conca fucense non fu certo casuale, ma valutata con studi accurati da cui risultò l’ottima protezione naturale alle interferenze fornita dalle montagne circostanti. Telespazio, con una superficie di circa 370.000 m² e più di 90 antenne, è ancora oggi il primo e più importante centro spaziale civile al mondo. Oltre alla gestione dei servizi di lancio e controllo in orbita dei satelliti e dell’osservazione della terra, oggi il servizio più prestigioso è sicuramente il coordinamento del sistema Galileo, l’avanzato sistema satellitare europeo di navigazione che si contrappone al sistema GPS degli USA. Ma è sul fondo del lago Fucino che da sempre sono sommerse storie e leggende incredibili. Nel 52 d.C. l’imperatore Claudio, per l’inaugurazione dell’emissario, organizzò sul Fucino la più grande naumachia della storia.
Secondo le cronache dell’epoca tutta Roma si recò sulle rive del lago, per assistere allo spettacolo in cui 19.000 schiavi si diedero battaglia su 50 vascelli costruiti per l’occasione. Fu allora che venne pronunciata una delle frasi più celebri di Hollywood: “Ave caesar, morituri te salutant”, che Svetonio riporta una sola volta e solo per la celebre naumachia del Fucino. Una delle leggende più interessanti, invece, è quella dell’antica città di Archippe, che compare anche nell’Eneide di Virgilio e che, come successe ad Atlantide, venne inghiottita dalle acque. Ma quella più incredibile è legata al “mostro del Fucino”, che in qualche modo anticipa quella di Loch Ness di oltre duemila anni. Nel poema Alessandra di Licofrone, risalente al III secolo a.C., si narra di un ipotetico fiume, indicato in greco come ‘Python’, ossia pitone, di acqua purissima che attraversava il lago senza mischiarsi con le sue acque. Dalla traduzione, alla creazione di un mostro, il passo fu breve, soprattutto se in alcuni punti del lago accadevano fenomeni insidiosi, come alcuni mulinelli che si creavano nella località Petogna, in cui il lago possedeva il suo unico inghiottitoio naturale. Tutto ciò, mischiato all’ignoranza della popolazione, aveva consacrato la leggenda del temibile mostro. Eppure Plinio in alcune opere racconta che tra gli innumerevoli pesci di questo lago ce ne fosse uno sconosciuto e molto particolare che possedeva otto pinne. Realtà o leggenda? Non lo sapremo mai visto che il lago del Fucino, purtroppo, ormai non è più tra noi.