Ecco Antonella De Angelis, ritenuta “Un direttore tra i più interessanti della sua generazione” dal Maestro Donato Renzetti, con il quale ha conseguito il diploma triennale di perfezionamento presso l’Accademia musicale pescarese con il massimo dei voti
di Alessandra Portinari, foto Francesca Grumelli
È stata scelta tra i migliori allievi per l’esecuzione del concerto finale del Master di Direzione d’Orchestra tenuto da Dominique Rouits, insegnante dell’Ecole Normale di Parigi. Nel Master “Interpretare Beethoven”, organizzato dall’Accademia Europea di Direzione d’Orchestra a Vicenza, tenuto dai Maestri Romolo Gessi e Lior Shambadal (Direttore stabile dei Berliner Symphoniker), è stata insignita del Diploma con “Menzione di Merito”, assegnato ai migliori quattro allievi su ventitré provenienti da Canada, Spagna, Francia, Svizzera e Italia. Dirige stabilmente l’Orchestra giovanile Amadeus, ha diretto l’Orchestra sinfonica di Pescara, l’Orchestra Duchi D’Acquaviva e l’Orchestra regionale Filarmonia Veneta. Fondatrice dell’Orchestra femminile del Mediterraneo- Ofm, quale ambizione di condivisione interculturale. Il racconto di tutte queste esperienze nelle sue parole.
Come nasce l’idea di un’orchestra femminile?
Dalla voglia di creare uno spazio privilegiato in cui delle artiste possano confrontarsi e condividere emozioni e scoprire se c’è una differenza sostanziale nel fare musica.
E questa differenza in tre anni di lavoro insieme siete riuscite a coglierla?
Direi di sì. Le donne a mio avviso hanno una grande capacità collaborativa. Nel fare musica sanno mettere in pratica una particolare empatia; di contro può mancare un piglio di protagonismo forse più tipico dei colleghi uomini. Avere la possibilità di un accrescimento consapevole delle proprie qualità può aiutare ad individuare il modo per esternarle.
E il motivo di un’orchestra interculturale?
Interculturale come rafforzativo di differenza e acquisizione di competenze per attuare un dialogo alla pari in cui, sospeso il giudizio ci si possa sentire un tutt’uno in ragione di un unico scopo, l’espressione artistica su un piano emotivo condiviso e arricchito da differenti sensibilità.
L’Ofm ha delle finalità non solo artistiche, ma anche di tipo umanitario quali “la musica per la pace la cultura e l’educazione”, da dove scaturisce questa esigenza?
Sicuramente da un mio percorso interiore personale in cui la crescita e la felicità vanno di pari passo con lo sviluppo della consapevolezza dell’esistenza dell’altro, della dignità della vita e del rispetto reciproco. Sono buddista praticante dal 1998 e questo ha fatto sì che tutto il mio essere, compresa l’artista, abbia messo in atto un senso di appartenenza al genere umano in senso spirituale, civile e di presa di responsabilità.
Come riesce ad esprimere tutto ciò con la musica?
Lavorando con l’orchestra quale piccola comunità, esempio e metafora di “cittadinanza condivisa”, in cui anche le relazioni che si mettono in gioco mirano allo sviluppo di qualità umane a prescindere da quelle tecniche. Come dire che si può eccellere nel lavoro, ma se siamo persone intimamente egoiste ed arroganti non ne sentiremo giovamento, non avremo rapporti autentici di rispetto e stima, ma solo relazioni di opportunismo. Così non costruiamo valore.
Lei è un direttore d’orchestra, unica donna abruzzese, fra poche in Italia, come ci si sente in questo ruolo tradizionalmente maschile?
Sicuramente nel mondo siamo in minoranza rispetto ai colleghi uomini. In Abruzzo non so se sono proprio l’unica. In quanto a capacità direttive le donne hanno sempre esercitato forme di potere, vedi la società matriarcale, ma anche nelle famiglie il più delle volte chi dirige, organizza e amministra le finanze sono le donne, quindi non vedo la ragione di tale stupore. Noi donne abbiamo grandi qualità organizzative e dirigenziali il problema è avere l’opportunità di esplicarle ed è questo il punto nevralgico. In un Paese in cui c’è ancora bisogno del concetto protezionistico di pari opportunità e di quote rosa, è chiara la volontà di non fare emergere chi merita. Se poi si aggiunge anche la paura della diversità (chiamiamo “clandestini” gli immigrati) sicuramente aspirare ad un “ruolo” tradizionalmente di altri non è facile.
Lei ha avuto la fortuna di studiare con uno dei più grandi didatti italiani, Donato Renzetti. Che rapporto ha avuto con il suo maestro?
Ho conosciuto Renzetti da giovanissima flautista nell’Orchestra giovanile Fenaroli; fu una grande emozione perché era la prima volta che suonavo in un’orchestra. Nelle prove finali quando arrivò lui, il Maestro, eravamo tutti timorosi. Appena alzò la bacchetta il suo sguardo magnetico ci rapì. Tanti anni dopo era lui ad indicarmi come impugnare quella bacchetta, come mettere il pollice, come concentrare l’energia. È stato un percorso pieno di metafore in cui ho sospeso completamente la mia razionalità dandole solo lo spazio per sintetizzare. Un percorso in cui ho messo in atto una profonda percezione della mia personalità in relazione alla sua, in cui tutto trasudava emozioni positive e delusioni poi trampolini di miglioramenti.
Quali sono i suoi progetti futuri?
Grazie a questo percorso di studi sto abbracciando vari progetti direttoriali, dall’Ofm orchestra d’archi con un repertorio classico e del Mediterraneo, alla musica Sinfonica all’Opera del Settecento.
Ha partecipato a vari master conseguendo sempre riconoscimenti di merito, in cosa spera?
Sicuramente ad ampliare le mie competenze musicali interpretative secondo lo sguardo delle grandi tradizioni europee e cercare sempre più di valorizzare la mia individualità perché non c’è cosa peggiore che imitare gli altri.
Come vede la situazione culturale italiana?
Difficile, il sistema culturale sta cambiando. Noi artisti dobbiamo cambiare modo di vedere la promozione e divulgazione artistica, ci dobbiamo far carico di una mentalità imprenditoriale propria dei paesi liberali.