testo e foto di Ivan Masciovecchio.
Già protagonista l’anno passato di una esibizione memorabile con tanto di rivisitazione del mitico arrosticino di pecora (leggi qui per saperne di più), si è aperta con un videomessaggio di Massimo Bottura in compagnia di tutto il suo staff la terza edizione di MEETinCUCINA, il congresso culinario ideato dal giornalista Massimo Di Cintio e promosso in collaborazione con Andrea Di Felice e Lorenzo Pace, rispettivamente presidente e segretario dell’Unione Cuochi Abruzzesi; un «Forza Abruzzo!» che da Modena ha riempito i cuori della folta platea di giovani cuochi e addetti ai lavori, presenti in massa all’interno del centro espositivo della Camera di Commercio di Chieti, sede dell’evento.
Tra gli ospiti d’onore, Enrico Crippa del ristorante Piazza Duomo di Alba (CN) – accompagnato da Antonio Zaccardi, suo sous chef abruzzese originario di Castiglione Messer Marino (CH) – ha offerto un saggio della propria bravura manipolando merende contadine, aromi di tartufi e venti di Langa, chiudendo con delle piccanti sfumature di paprika in Abruzzo, un omaggio in forma di risotto realizzato utilizzando eccellenze regionali come zafferano e peperoncino.
Dopo di lui è toccato al giovane Daniele D’Alberto del BR1 di Montesilvano (PE), all’esordio sul palco del MEETinCUCINA. L’intrigante Odioilriso è stato il piatto proposto in anteprima assoluta perché «il riso è il vero banco di prova per un cuoco, è il piatto dell’amore, considerate le attenzioni e la cura che ci vogliono nel prepararlo». Una proposta particolarmente complessa, tutta giocata su quattro diverse consistenze di pomodori e limoni e contrasti di gusto, tra paprika dolce, basilico rosso e salsa di agrumi, al contrario del successivo sgombro, pompelmo e rape rosse offerto in assaggio alla platea, dove è risultata la materia prima l’assoluta protagonista, esaltata da pochi ingredienti (ristretto di pompelmo, salsa di rapa rossa, olio al rosmarino e menta) ed una cottura ultra leggera.
Unica donna inserita tra l’elenco dei relatori, Cinzia Mancini della Bottega Culinaria Biologica di S. Vito Chietino (CH), nei suoi due piatti ha condensato un percorso di ricerca lungo dieci anni, dal 2007 di baccalà e peperoni – una sorta di cannellone realizzato con una sfoglia di peperone ripieno di baccalà opportunamente mantecato – fino ai fagioli di Paganica di oggi, una straordinaria zuppa di fagioli realizzata con un unico ingrediente, che poi è quello che dà il nome stesso al piatto. «Nasce da una serie infinita di prove in cucina, dal mio desiderio di entrare fin dentro la materia. Anche la pasta è ottenuta con una farina di fagioli passata al forno per tre ore a 90 gradi per renderla ammassabile, dalla quale ho ottenuto dei tubetti che poi sono stati essiccati». Con lei sul palco è salito anche Matteo Griguoli, agricoltore aquilano e responsabile del Presidio Slow Food del fagiolo di Paganica di recente costituzione, di cui abbiamo parlato qui qualche mese fa.
Habitué del congresso, la famiglia Spadone del ristorante La Bandiera di Civitella Casanova (PE) era degnamente rappresentata dal giovane chef Mattia e da papà Marcello. Il duo delle meraviglie ha messo a segno una doppietta ad alto tasso godereccio, proponendo cappelletti all’amatricina – ovvero un’amatriciana con la Ventricina del Vastese – altro Presidio Slow Food che abbiamo raccontato qui – al posto del guanciale e un pecorino di Farindola stagionato 48 mesi invece di quello romano – seguiti da gallo e granaglie, un sapiente dialogo tra ragione e sentimento, memoria e innovazione, tecnica e manualità, dove dalla cottura primordiale della brace si passa indistintamente all’uso di un distillatore a bassa pressione necessario per ottenere una salsa di pollo concentrata, per un’esplosione totale di gusto e territorio. Gran piatto!
Molto emozionante è stata l’esibizione di Mauro Colagreco del Mirazur di Menton (Francia), secondo ospite speciale della giornata, anche lui supportato dal suo giovane chef de partie Luca Mattioli, abruzzese di Francavilla al Mare (CH). Per la prima volta in Abruzzo, terra del bisnonno Luigi Colagreco, originario di Guardiagrele, il miglior chef di Francia e sesto nel mondo secondo la classifica The World’s 50 Best Restaurants ha appassionato la platea con il racconto del suo cammino à rebours nei luoghi delle proprie origini, un percorso emotivo che gli ha riservato «un’accoglienza meravigliosa. Queste poche ore passate qui sono bastate per farmi capire che l’Abruzzo è la mia terra».
Tre i piatti realizzati: ostrica e pere, un classico del Mirazur dal 2012; bettrave crapaudine con salsa al caviale, una barbabietola cotta sotto sale, pensata (e trattata) come fosse una carne; naranjo en fleur, dolce simbolo del locale arricchito e personalizzato con lo Zafferano dell’Aquila. Tre esempi diversi e complementari di una cucina estremamente personale, inclassificabile, nata nella testa e nel cuore di un argentino permeato da storie di frontiera. «Io la definirei totalmente libera, caratterizzata da concetti come eleganza e semplicità, realizzata senza l’ausilio di tecniche strepitose, evitando di complicare le cose più di quello che sono perché alla fine, come nel caso del secondo piatto, è pur sempre di una barbabietola che stiamo parlando».
Non poteva mancare il maiale nero abruzzese, allevato allo stato semi brado e lavorato personalmente nella campagna con vista sulla Maiella, nella proposta di Arcangelo e Peppino Tinari, altra grandissima famiglia della ristorazione abruzzese riunita nel feudo di Villa Maiella di Guardiagrele (CH). Pancetta di maiale nero e consommé di gamberi e agrumi seguito da pecorino, cicoria e cozze, hanno rappresentato una doppia escursione andata e ritorno tra i mari e i monti d’Abruzzo, vagamente contaminata da inserti fusion, grazie anche all’utilizzo del kuzu, un tubero giapponese usato come addensante, passato comunque al vaglio della nonna di Arcangelo, vero anello di congiunzione tra passato e futuro del giovane chef.
L’ultima esibizione prima del gran finale è toccata al giovane Gianni Dezio del ristorante Tosto di Atri (TE), nel breve volgere di un paio d’anni passato da ospite in sala a relatore sul palco. Nella sua cucina Abruzzo e Sudamerica dialogano incessantemente in un gioco di contaminazioni e traduzioni che ne fanno sicuramente un unicum nella nostra regione. Il ceviche di baccalà ideato apposta per il congresso e probabilmente in carta dalla prossima primavera ne è un esempio lampante, dove il piatto della tradizione sudamericana viene riadattato sulla base di un classico della cucina abruzzese come la ciaudella (o panzanella), privata però del pomodoro e dell’aceto in favore di un succo di agrumi che gli conferisce più acidità e freschezza.
100% Abruzzo, anzi, 100% Atri è invece terra dei Calanchi, il dolce ispirato nella forma e nella sostanza proprio alla morfologia del territorio protetto dalla Riserva naturale dal 1995, dove prospera una biodiversità vegetale straordinaria, capace di offrire, tra le altre cose, capperi, liquirizia, erba Sulla, more selvatiche, mentuccia; profumi e sapori riproposti con straordinaria nitidezza in quello che si appresta a diventare uno dei piatti simbolo del locale.
Di ritorno dal congresso internazionale Madrid Fusion – unico cuoco italiano presente – è stato Niko Romito del Reale Casadonna a Castel di Sangro (AQ) a chiudere i lavori di questa terza e lunga edizione di MEETinCUCINA. Verza e patate il piatto presentato esclusivamente con l’ausilio di un video, ormai un classico del suo concetto di semplicità in cucina. Nel mentre, alcune riflessioni sull’Abruzzo gastronomico «che cresce sempre di più» senza che gli amministratori pubblici però se ne accorgano, dove «noi rappresentiamo le macchine, ma spetta alle istituzioni costruire le autostrade per farci correre»; i successi del format Spazio; gli scambi e la crescita reciproci con i ragazzi della scuola di formazione; il progetto sulla ristorazione ospedaliera e la standardizzazione delle procedure per rendere la cucina di qualità accessibile a tutti. E soprattutto la consapevolezza che, oggi più che mai, dopo le tragedie delle scorse settimane, bisogna sapersi raccontare al di fuori dei nostri confini. «C’è bisogno di una visione, di un progetto condiviso di medio e lungo periodo, di uscire dal provincialismo, di avere un obiettivo e perseguirlo». Poi caccia al selfie e arrivederci al prossimo meeting, con la consapevolezza che l’Abruzzo dell’enogastronomia c’è ed ha voglia di dire la sua.
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