“No ad interventi spot, meglio aprirsi a soluzioni progressive adattate ai territori”. Lo dice il presidente del Parco Nazionale della Majella, Franco Iezzi sull’abbatimento
Domani l’argomento sarà all’attenzione della Conferenza Stato-Regioni, tra il ministero dell’Ambiente e i rappresentanti delle giunte regionali. Uno strumento di pianificazione indispensabile, pensato dopo 40 anni di tutela del lupo in Italia, che incontra le aspettative di diversi portatori di interesse e che affronta i successi della conservazione ma apre anche a nuove prospettive di gestione della specie. Oltre ai numerosi e significativi temi riguardanti la sua tutela, che sono stati aggiornati anche sulla base delle esperienze maturate sui territori, tra gli elementi di possibile gestione futura, desta perplessità l’ultimo riguardante l’abbattimento programmato di questo esemplare. Decisione, quest’ultima, che presumibilmente aiuterebbe a placare i danni alle attività zootecniche. In particolare si parla di un abbattimento del 5% massimo della popolazione totale presente in Italia per la quale il margine considerato varia dai 1007 ai 2472 esemplari. Considerando la stima minima, quindi, il lupi abbattuti potrebbero essere 50 e solo su richiesta da parte dei comuni che otterranno le cosiddette “deroghe” nel rispetto di alcune condizioni. Detto così sembrerebbe accettabile, ma c’è da chiedersi quale utilità avrà sulle attività zootecniche tale percentuale di abbattimento se non quella di rischiare di destrutturare le gerarchie del branco e aumentare il numero di lupi solitari i quali, in primis, potrebbero danneggiare gli allevamenti. E’ chiaro che parlare di un piano gestione del lupo senza conoscere dettagliatamente il numero di esemplari (il cui margine stimato è davvero troppo ampio), la natalità e la mortalità, diventa un’illusione soprattutto quando si parla di una tra le specie più protette in Unione Europea. Tra l’altro, sempre secondo la bozza del piano di gestione il bracconaggio rappresenta la prima causa di morte del lupo stimata al 15-20% e, a riguardo, invece, sarebbe il caso di rafforzare gli organi di sorveglianza piuttosto che indebolirli. Un altro problema da non sottovalutare è, infine, quello dell’ibridazione con i cani randagi che oltre a mettere a rischio la purezza della specie, rappresentano un pericolo reale per le zone antropiche per il maggior carattere confidente che contraddistingue gli ibridi. Sulla bozza del piano si legge inoltre: “La cultura occidentale, dominata dal concetto di dominazione della natura e incentrata sulle attività di domesticazione e coltivazione, ha posto il lupo in una posizione antagonista, di difficile dominazione e da combattere attraverso lo sterminio”. Ciò che viene contestato, principalmente, dal mondo tecnico-scientifico e soprattutto dai professionisti che da anni lavorano sul campo per favorire la coesistenza tra il lupo e le attività antropiche è l’approccio previsto in relazione all’abbattimento. La gestione del lupo richiede conoscenza del predatore, dei territori, delle aziende zootecniche e della loro vulnerabilità. In esempi di gestione come quello del Parco Nazionale della Majella si sono ottenuti, negli anni, ottimi risultati. Gli animali domestici sono presenti nella dieta del lupo per non oltre il 5%, gli indennizzi e i sistemi di prevenzione sono costantemente erogati e le modalità di coesistenza, come l’iniziativa di restituzione della pecora predata, gli incentivi ai miglioramenti sanitari degli animali al pascolo, la promozione dell’allevamento del cane da pastore abruzzese, sono da anni portati avanti in piena collaborazione con gli allevatori. Servono soluzioni progressive e adattate ai territori, più che interventi spot e tecnicamente non risolutivi.