Tesori d’Abruzzo ha incontrato Valerio Di Mattia presidente di Aria, l’associazione dei ristoratori d’Abruzzo, per capire come sta reagendo il comparto della ristorazione dopo la chiusura forzata dovuta all’emergenza sanitaria della pandemia. Di seguito riportiamo la nostra conversazione.
Quali sono le criticità che voi ristoratori vi trovate ad affrontare?
«La chiusura delle attività di ristorazione ha senz’altro prodotto uno shock economico che non ha precedenti dal dopoguerra ad oggi. Siamo di fronte ad una situazione imprevista, di difficile gestione, che comporterà senz’altro una profonda riflessione in ordine sostanzialmente a due temi centrali. Si avrà infatti una importante riorganizzazione dell’ospitalità e dei principi dell’accoglienza destinati a ricollocarsi in maniera più ordinata e razionale, seguendo gli input che la vicenda sanitaria impone. Da questo punto di vista, non mi sentirei di essere allarmato eccessivamente perché credo che, se sapremo gestire bene le opportunità, potremmo avere addirittura nel medio lungo termine miglioramenti sensibili anche sotto il profilo della qualità dei servizi messi a disposizione della clientela, aumentando in generale il livello del comfort. L’altro tema che invece credo sia di più difficile gestione cade nell’ordine della problematiche economiche. E’ innegabile che questa crisi sanitaria abbia nei fatti prodotto danni economici importanti nei bilanci aziendali che possono essere prudenzialmente valutati nella perdita di quote di fatturato annuo che vanno dal 30% al 60% ed oltre. E’ chiaro che le aziende, nella maggioranza dei casi, non avranno la forza di rientrare nel mercato riassorbendo autonomamente le perdite economiche derivate dalle chiusure ordinate con DPCM. Per tentare di risalire la china ritengo sia indispensabile una seria, attenta politica di sostegno volta a traghettare le imprese in acque calme. Vedremo tra pochi mesi il valore effettivo degli strumenti messi a disposizione e quali benefici si trasferiranno concretamente nel mondo dell’impresa. Questa condizione di difficoltà economica generalizzata desta molte preoccupazioni poiché potrebbe innescare in breve una crisi di sistema di ampia portata.»
La stagione estiva ha sempre rappresentato un’opportunità di lavoro stagionale ma quest’anno la situazione si configura radicalmente diversa, sia in termini di riduzione dell’offerta di lavoro che di rimodulazione dell’attività in rispetto delle nuove norme di sicurezza. Quale quadro può farci della situazione occupazionale del comparto?
«Al momento la ristorazione sta tornando molto lentamente alle riaperture gestendo in maniera attenta, rigorosa direi, il livello dei costi aziendali, anche agevolandosi della cassa integrazione messa a disposizione dal governo. Quindi a fronte della prevedibile riduzione delle entità dei flussi del turismo e della conseguente, scontata contrazione dei fatturati, avremo nel comparto una sensibile riduzione della capacità d’impiego. E’ una situazione che va scongiurata per diverse motivazioni sia umane sia imprenditoriali. Molte aziende potrebbero perdere le tante professionalità che il settore può vantare. Questo significherebbe rinunciare agli standard professionali costruiti in molti anni di collaborazione e di formazione. Il nostro settore della ristorazione infatti vive l’organizzazione del lavoro in maniera continuativa, attraverso rapporti professionali spesso prolungati nel tempo tali da creare veri e propri team aziendali stabili. Tutto questo lavoro di preparazione e di sviluppo della professionalità potrebbe andare perso e non potrà essere certamente ricostruito in poco tempo. D’altro canto l’applicazione delle norme sulla sicurezza hanno avuto nell’ultimo mese una attuazione molto più ragionevole rispetto alle proiezioni orrorifiche precedenti. Tutti abbiamo sobbalzato nei mesi scorsi di fronte alla diffusione di immagini di ristoranti ospedalizzati, resi molto simili a sale operatorie. Col dovuto buon senso successivamente si è riusciti a svolgere un lavoro di riflessione utile a mantenere insieme il bisogno di garantire sicurezza e la gradevole consuetudine delle pratiche dell’accoglienza. Le norme emanate nella maggioranza dei casi non sembrano complesse o inapplicabili. Dal confronto tra impresa ed istituzioni sono venuti fuori regolamenti asciutti, pragmatici e quindi ragionevolmente gestibili.»
In una nota della sua associazione rivolta agli assessorati regionali al turismo e all’agricoltura, lei propone alcune idee per aiutare il settore a superare la crisi. In particolare propone un ripensamento del concetto di filiera locale che colleghi le aziende della ristorazione alla produzione agroalimentare regionale. In questo modo, da un impegno ad utilizzare solo materie prime locali, seguirebbe un rafforzamento di tutta l’economia abruzzese e la possibilità di equiparare i ristoranti agli agriturismi, con conseguente vantaggio fiscale. Ha ottenuto riscontri positivi su questa proposta? Ci sono accordi all’orizzonte?
«Diciamo che la nostra associazione Aria non ha inventato tout court questo dibattito, ma si è inserita con la propria proposta in un movimento di opinioni molto ampio e qualificato, anche di livello internazionale, che sempre più chiede di tutelare i valori unici della biodiversità e delle produzioni agricole sostenibili legate al rispetto e alla cura dell’ambiente naturale. Questo movimento culturale vede nel concetto di tipicità una grande opportunità per valorizzare e promuovere le economie interne ai territori anche attraverso un sodalizio virtuoso con gli ambiti del turismo enogastronomico da sempre alla ricerca di produzioni e ambienti capaci di esprimere concetti di qualità alimentare. Sappiamo dunque che esiste in ogni regione, e naturalmente anche nella nostra Regione Abruzzo, un livello di ristorazione che definiremmo “territoriale”, molto avanzata e molto attenta ai rapporti con i produttori locali e con le filiere agroalimentari. Questo livello di ristorazione, impegnato da tempo a sostenere i concetti di tipicità, di sostenibilità ambientale e di beneficio alimentare delle produzioni autoctone, vorrebbe cogliere l’occasione per riconvertirsi definitivamente a rapporti associativi stabili col mondo dell’agricoltura e della pesca locale. Si tratta sostanzialmente di ampliare il concetto di “filiera produttiva” ricomprendendo in essa, attraverso la medesima parametrazione fiscale agevolata, anche la ristorazione di territorio, la quale sarebbe definitivamente demandata all’acquisto delle produzioni ed al consumo di importanti quote di quelle che definiamo tipicità. Credo che oggi ci siano tutte le condizioni per portare questo noto ragionamento alla sua completezza. Si potrebbe far nascere finalmente la grande alleanza tra agricoltori e ristoratori. Questa proposta di Aria, a mio avviso, rappresenta una presa di posizione molto importante per mettere in connessione strutturale due settori complementari. Le reazioni alla proposta sono molto positive e stiamo sviluppando il tema anche attraverso contatti e sollecitazioni che abbiamo ricevuto da altre regioni come le Marche, l’Emilia Romagna e il Friuli Venezia Giulia. Sappiamo anche che in Toscana ci sono iniziative simili così come in Piemonte. Dunque speriamo che si possa nel breve termine pervenire ad un dibattito nazionale capace di motivare la legge.»
Include in questa proposta anche la cucina marittima e ritiene che il pesce pescato o allevato in Abruzzo possa coprire l’intera domanda della ristorazione abruzzese?
«Naturalmente quando parliamo di filiere produttive, in esse individuiamo anche i produttori del mare che rappresentano una parte imprescindibile della cultura territoriale d’Abruzzo, così come la schiera di raccoglitori dei prodotti naturali e spontanei dei nostri parchi. Sull’Adriatico, dagli splendidi lidi sabbiosi del teramano alla meravigliosa Costa dei Trabocchi, l’Abruzzo può narrare storie e passioni per il mare attraverso paesaggi, comunità, ambiti d’impresa variegati e straordinari.Per quanto riguarda il tema della riconversione dell’intera ristorazione regionale bisogna tener presente che il nostro comparto d’impresa rappresenta un settore vastissimo, con tante sfaccettature e molte attitudini, tutte di pari dignità e capacità organizzativa. Le filiere locali non potrebbero immediatamente sostenere la riconversione dell’intero comparto. Credo sarebbe un’azione troppo ampia e difficoltosa. D’altro canto alcuni ambiti del comparto stesso potrebbero rivelare poco interesse per la riconversione essendo orientati legittimamente verso altre opportunità commerciali. Dunque apparrebbe più credibile iniziare a coordinare un sodalizio stabile con quella parte di ristorazione che abbiamo individuato col nome di “ristorazione di territorio” poiché posta storicamente in relazione con le filiere. Già questo sarebbe un primo grande successo ed un punto di partenza. Successivamente, attraverso ulteriori adeguamenti, si potrebbero ampliare gli orizzonti delle collaborazioni.»
Con le nuove disposizioni di sicurezza per gli esercizi commerciali ci si è concentrati molto sulla modalità di somministrazione di cibo e bevande da asporto con conseguente aumento del consumo di packaging usa e getta, fatto che, sommato ad altri fattori, costituisce un passo indietro rispetto alla tendenza della politica plastic free precedente all’epidemia. Quali dati ci può fornire sull’Abruzzo rispetto a questa modalità di vendita del prodotto e qual è la sua riflessione sulle strade da intraprendere nel prossimo futuro per ridurre l’impatto ambientale di queste scelte di consumo?
«Credo che l’improvvisa necessità di organizzare il servizio delivery e quello del cibo da asporto abbia colto un po’ tutti di sorpresa, sia i ristoratori sia i fornitori. Nei primi giorni addirittura non era possibile reperire il materiale utile al lavoro, essendo andato esaurito in poco tempo. Alla fine la fretta e la confusione hanno prodotto un effettivo arretramento rispetto alle politiche del “plastic free” che negli ultimi tempi avevamo accettato di sviluppare anche attraverso pubbliche azioni di sensibilizzazione. Questa condizione di arretramento però non dovrebbe spingere ad abbandonare definitivamente il “plastic free”. Anzi, a mio avviso, l’azione va nuovamente rilanciata coinvolgendo certamente anche tutte queste nuove formule di servizio gastronomico a domicilio. Tutto sommato però credo che, nonostante il momentaneo successo del servizio delivery, questo nuovo concept di ristorazione non possa soppiantare la piacevolezza dell’esperienza gastronomica legata alla socialità che ritualmente ed incessantemente viene celebrata ogni ristorante del mondo. Presto si potrà tornare in tranquillità al ristorante per godere delle delizie della tavola, della competenza del servizio di accoglienza e dell’insostituibile piacere della convivialità. Per quanto riguarda i materiali poi osservo tutto con curiosità ma in fondo resto un appassionato estimatore delle ceramiche, quelle di Castelli soprattutto.»
Quali altre strategie ritiene siano di utilità per rilanciare il settore?
«Credo che, oltre alle importanti tematiche di cui abbiamo discusso, sia giusto anche affrontare alcune inevitabili riflessioni circa le condizioni di ritardo che rallentano la crescita del comparto della ristorazione abruzzese. Rispetto a tutto ciò che avviene in molte regioni virtuose d’Italia e nelle stesse regioni della dorsale Adriatica, l’Abruzzo non riesce a fare sistema e resta ancora molto indietro, imbrigliato in logiche secondarie, spesso faziose e oltremodo divisive, che continuano a rivelare una certa immaturità e la cronica debolezza del nostro sistema. Gli chef di Aria appartengono ad una nuova generazione in cammino verso la ricerca di una esperienza di rinnovamento e di crescita territoriale condivisa. L’azione formatrice degli esempi è per noi molto importante. Per questo motivo ci confrontiamo e valutiamo attentamente le dinamiche di altre realtà extraregionali impegnate in azioni di promozione notevolmente più strutturate per capacità di programmazione e per la sagacità dello spirito d’iniziativa. Ci siamo orientati quindi verso aspetti preziosi e redditizi per il comparto come il concetto di “fare rete”, la cooperazione e la collaborazione tra colleghi, la capacità di avere confronti stabili col settore locale delle produzioni agroalimentari, con gli Enti preposti alla valorizzazione, col mondo della cultura, del giornalismo e della ricerca. Ci sembra quanto mai necessario recuperare una visione ampia sulle nostre potenzialità di crescita.Diciamo però che oltre al confronto con le dinamiche esterne, va anche considerata la possibilità di individuare un atteggiamento diverso e positivo sul nostro territorio regionale. Senza allontanarsi dall’Abruzzo infatti il nostro comparto può contare su un riferimento importantissimo, capace di fornire indicazioni esemplari. Infatti l’esperienza tristellare che oggi rappresenta il Casadonna Reale appare agli occhi dei giovani chef abruzzesi come un vero, concreto riferimento culturale per un territorio rimasto nel tempo isolato. E’stata messa in campo da Niko Romito una competenza creativa ed imprenditoriale di caratura superiore che in definitiva ha delineato la capacità di dare all’Abruzzo un nuovo appeal, una nuova percezione fondata sui punti di forza di un territorio magico e su una sublime capacità gastronomico-narrativa. La nostra regione alla fine ha beneficiato di questa azione proiettandosi in un contesto internazionale con una nuova, avvenente immagine contemporanea. Questa esperienza fondamentale resta un esempio per i tanti giovani chef che hanno deciso di ritornare a lavorare in Abruzzo: il nostro territorio può trovare in sé le potenzialità utili a superare gli aspetti autolimitanti che notoriamente lo opprimono. Crediamo che l’idea di potenziare un atteggiamento di consapevolezza dovrà passare attraverso la creazione di un linguaggio nuovo. Costruire un linguaggio nuovo già di per sé significa cambiare la realtà delle cose. Dobbiamo quindi abituarci a sostenere atteggiamenti di fiducia e di entusiasmo verso le emergenti risorse culturali ed ambientali, umane ed imprenditoriali di una regione gastronomica alla ricerca della maturità.»
(S.T.)