Questa volta apriamo lo “scrigno d’Abruzzo” per svelare un tesoro di architettura medioevale, immerso in un meraviglioso paesaggio ai margini del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga. Parliamo dell’abbazia di San Bartolomeo nel comune di Carpineto della Nora
Testo di Luana Cicchella, foto di Gino Di Paolo
In questo periodo del-l’anno, quando l’arsura estiva pervade le spiagge e le strade della città si fanno chiassose, a pochi chilometri di distanza si possono raggiungere luoghi come questo, dove rigenerarsi immersi in una quieta e fresca atmosfera. Il rilassante silenzio è in-terrotto solo dal piacevole cinguettio degli uccelli e dal vento lieve tra le foglie. Il borgo e l’abbazia si trovano su un altura a 512 m slm ai piedi del Monte Fiore. La poderosa costruzione, ombreggiata dalle chiome di carpini e querce, s’impone sul piano di un piccolo terrazzamento lungo il fiume Nora. Tutt’intorno lo scenario è fatto di sinuosi profili collinari, alternati a tratti di pareti rocciose che annunciano la montagna. In questo luogo un tempo viveva una comunità di monaci le cui giornate trascorrevano in un’operosa quotidianità scandita tra chiesa, cel-le, orti, scriptorium e laboratori. Dell’originario complesso monastico rimane ben poco. Nonostante ciò la reduce chiesa e la torre tronca sono tracce potenti di quel passato. Basta avvicinarsi per percepire quanto forme, materie e spazi trasmettano quell’evo medio in cui il complesso visse il suo massimo splendore. Passeggiando intorno, trattenendosi nel piccolo portico o muovendosi all’interno, ci si ritrova subito avvolti nell’arcaico ambiente. Così, condotti mille anni indietro, si ha quasi l’impressione di poter incrociare da un momento all’altro un monaco affaccendato nelle sue cose, orante in un angolo della chiesa o di vedetta da una delle feritoie della torre. La torre e le mura dell’abbazia compaiono d’improvviso a lato della strada che sale verso i monti. Al primo sguardo la mole possente e compatta della struttura, con i suoi robusti semipi-lastri a terminazione piramidale, non sembra suggerire un luogo di culto ma piuttosto una costruzione militare e difensiva. Certamente un tempo in quell’ameno luogo tra le vivaci acque del torrente e la fitta boscaglia, sperduti sul tracciato di un passaggio difficile tra la costa e le montagne, transitarono molti pellegrini, vaga-bondi e compagnie armate di cavalieri e predatori. Per questo oltre alla funzione di preghiera ed accoglienza il monastero aveva certo anche finalità di difesa. L’abbazia secondo quanto riferito nelle fonti, tra cui la Chronica del monastero scritta dal monaco Alessandro fino al 1193, venne fondata nel 962 d. C. dal Conte Bernardo di Penne. Nella Chronica si riferiscono anche le numerose donazioni che l’abbazia ricevette da illustri personaggi locali e sovrani. Una copia di questo prezioso scritto si trova nella Biblioteca Brancacciana di Napoli.
L’ ARCHITETTURA E IL SUO ORNAMENTO
All’esterno, i due fornici d’ingresso, interrompono la rigida compattezza del prospetto anteriore. La massiccia cortina della parte posteriore è in-vece ritmata dall’alternansi del piano sporgente dell’abside con quelli arretrati delle pareti del transetto. Nella porzione centrale, due lun-ghi semipilastri quadrangolari incor-niciano un piccolo rosone e una finestrella ad arco stretto leggermente strombata. Questi due elementi alleg-geriscono e donano maggiore sobrietà alla poderosa struttura. Lateralmente la parete è occupata solo da poche semplici finestre rettangolari. In alto svetta un piccolo campanile a vela in laterizio, realizzato in epoca più tarda rispetto al complesso originario. Non sappiamo fino a quale periodo è stato attivo il monastero, ma nel corso del Medioevo ha certamente subito interventi, aggiunte e trasformazioni.
Come molti altri gioielli dell’architettu-ra medioevale d’Abruzzo, fino alla prima metà del ’900 il monumento è rimasto in una condizione di degrado e abbandono, per questo è stato sot-toposto ad importanti operazioni di restauro. Gli interventi, effettuati negli anni ’70 del secolo scorso, sono visibili nelle integrazioni della cortina muraria, nella ricomposizione delle finestre e altre parti dell’edificio.
Come di consueto per le chiese di questo periodo un bel portale anticipa lo spazio interno. L’opera si compone di una struttura portante semplice, con due stipiti ed un architrave rettilinei in pietra locale. Sulla candida superficie si dispiega una fantasiosa trama d’ispirazione miniaturistica con elementi vegetali in cui sono incastrate figure di animali. Simboli della lotta tra il bene e il male queste iconografie erano al tempo una sorta di preludio e monito al fedele, prima dell’ingresso al luogo sacro. Dalle fauci di un leone si dipana un sofisticato tralcio con foglie attorcigliate di gusto classico. Le ramificazioni ondulate creano cornici tonde entro le quali s’insinuano vari animali fino a giungere al centro dell’architrave in cui è il rilievo con l’Agnus Dei; il tralcio prosegue quindi col suo fantastico bestiario, fino a ri-congiungersi con un grosso cespo d’acanto alla base dell’altro stipite. Lo spazio interno è scandito in tre navate da piloni rettangolari, mentre il transetto è diviso da tre ampie campate coperte con volte a crociera costolonate. Queste parti dello spa-zio interno furono probabilmente re-alizzate in un rifacimento più tardo, riconducibile forse al XIII secolo. All’interno l’atmosfera raggiunge il suo culmine di raccoglimento, adatto alla preghiera e alla meditazione. Si evidenziano soprattutto le arcate, le coperture a crociera e le nervature sporgenti che, unite al nudo candore delle pareti e alla spinta verso l’alto degli archi a sesto acuto, danno a questo spazio un aspetto del tutto imprevisto rispetto alla rude e compatta mole esterna. Sulle pareti interne le uniche decorazioni sono cornici a zig zag, palmette e fiori tripartiti che richiamano alla mente certi ornati dell’Abbazia di San Clemente a Casauria. Qui quasi sicuramente operarono in periodi di-versi le maestranze che lavorarono anche nell’abbazia casauriense ed in quella di Santa Maria di Arabona. Una piccola scalinata porta nello spazio raccolto e spoglio della cripta, composta da vani voltati a botte.
Se decidete di concedervi una ri-lassante esplorazione alla scoperta delle unicità culturali e paesaggistiche dell’entroterra pescarese, non potete non fermarvi a godere lo spettacolo della potente badia nella terra del carpinus.