Quel che spesso rende affascinante certi angoli d’Abruzzo è la straordinaria commistione tra natura e opera dell’uomo. Chiese e castelli, di per se già assai belli e suggestivi, vengono valorizzati dal contesto paesaggistico nel quale sono inseriti. Ci sono addirittura monumenti costruiti adattando il terreno o, viceversa, sfruttando la naturale conformazione del territorio. Nascono così delle meraviglie a tutto tondo, dove natura e ingegno dell’uomo formano un tutt’uno per la gioia dei visitatori. Uno di questi tesori è l’eremo di San Venanzio a Raiano
a cura della redazione
Nei pressi del paese, nella suggestione di una natura qui davvero incontaminata, la Valle dell’Aterno crea una gola stretta e selvaggia che separa, sui due versanti, i monti Mandra Murata e Mentino da un lato, e le Spugne e monte Urano dall’altro. Incastrato tra le due sponde rocciose del fiume sorge, quasi sospeso su di un ardito ponte ad arco, l’eremo di San Venanzio. La chiesa, meta ancora oggi di frequenti pellegrinaggi, è dedicata al giovane Venanzio; egli si convertì al Cristianesimo e decise di ritirarsi in queste remote lande con il maestro Porfirio, ma nel 259 fu arrestato e martirizzato a Camerino, sua città d’origine, dopo aver appreso della morte del padre.
Al culto di questo Santo martire, ancora oggi molto sentito dai fedeli che qui accorrono un po’ da tutto l’Abruzzo, si lega un’antica tradizione che vuole riconoscere in alcuni segni impressi nella roccia le impronte stesse del Santo.
In una perfetta simbiosi tra la religiosità popolare ed il contesto naturale, la festa di San Venanzio, celebrata il 18 maggio, si radica nei cosiddetti patronati delle pietre, dell’acqua e della vegetazione. Ripercorrendo le orme della vita di San Venanzio e ripetendo un tipico rituale detto della pietra, i pellegrini si sdraiano su quella che si crede sia l’impronta del corpo lasciata dal Santo, detta letto di San Venanzio, e prendono poi posto sul sedile di Santa Rina per ottenere la guarigione da vari mali fisici. Arrampicandosi poi sulla parete rocciosa che si erge sulla sponda opposta, essi raggiungono la grotta della Crocetta nella quale si crede che Venanzio si ritirasse in solitudine. Sebbene la più antica notizia di una chiesa dedicata al Santo risalga ad una bolla di papa Adriano IV del 1156, nel circondario di Raiano il culto del martire doveva essere vivo e sentito già secoli prima, sorto in parallelo a quello per altre vittime delle persecuzioni contro i primi Cristiani. In passato qualche studioso aveva avanzato l’ipotesi che l’eremo fosse stato costruito attorno al XII secolo, ma la mancanza di resti medievali e l’analisi della configurazione del luogo sacro lascia invece supporre che sia nato nel Quattrocento o forse nel secolo successivo.
Se la più antica traccia databile con certezza è infatti fornita dagli affreschi che risalgono al XV e XVI secolo, tra cui spicca la raffigurazione degli Evangelisti, la chiesa è stata snaturata da vari restauri e rifacimenti del Seicento, come svelano il soffitto e i tre altari, uno maggiore e due laterali.
Usciti dalla chiesa si segue il camminamento che la fiancheggia e, passando per le celle anticamente abitate dagli eremiti, si arriva ad una grotta detta cappella delle Sette Marie, dove si conserva una pregevole opera d’arte che raffigura il Compianto sul Cristo morto, per la quale è stata individuata la data del 1510. Se si è appassionati di arte, lo si può confrontare con un’opera simile che si trova nella vicina Pratola Peligna, nell’Oratorio della Madonna delle Grazie. Essa è più recente, risale infatti al 1540, ed è composta da ben 17 figure in terracotta che, secondo gli storici dell’arte, sarebbero opera dello scultore Gian Francesco Gagliardelli da Città Sant’Angelo. La loggia esterna si affaccia sul fiume e da qui parte la Scala Santa, scavata nella roccia, che porta fino all’acqua del fiume e viene percorsa in salita dai pellegrini.
Questi gesti rituali sono legati all’evocazione della discesa agli inferi, dai quali si risale purificati, ma anche alle pratiche religiose per mezzo delle quali i pellegrini invocano la guarigione dai loro mali attraverso i riti con la pietra (detta litoterapia) e l’acqua. Un esempio è l’immersione degli arti doloranti o malati nelle acque del fiume Aterno e la benedizione dei malati con l’acqua di San Venanzio, alla quale si riconoscono poteri curativi.
Se la festa di San Venanzio viene celebrata il 18 di maggio, è anche vero che qui tutto il territorio circostante la grotta è considerato sacro in ogni momento dell’anno: acqua, roccia, terra, sassi e vegetazione sono oggetto di riti di protezione e guarigione. Ad esempio, le spighe che nascono vicino alla grotta dette anche “spighe di San Venanzio” sono considerate benefiche e salutari: i fedeli sono soliti raccoglierne dei piccoli mazzetti che poi conservano in casa come protezione. Ovviamente il rito della litoterapia era praticato normalmente, fino a poco tempo fa.
Il contatto con le cavità della grotta era considerato terapeutico per dolori reumatici e artritici. In particolare, lungo la strada verso il Santuario ci sono tre piccole edicole in roccia che recano, secondo la tradizione, le impronte di gomito, capo e piede del Santo. In quest’ultimo foro l’usanza invita ad introdurre dei piccoli sassi perché si impregnino dell’influsso benefico del Santo. I sassolini venivano poi ritirati una volta ripresa la strada di ritorno dal Santuario. Anche l’acqua dell’Aterno secondo i fedeli ha proprietà taumaturgiche.