Testo a cura di Maria Orlandi
Il pianista pescarese nei suoi itinerari musicali porta con se la magia della sua terra. Una colonna sonora permanente che regala emozioni.
Paolo Russo, classe 1969, ha una formazione in musica classica al conservatorio di Pescara e ritmica a Copenaghen. Inizia a suonare il piano a 9 anni e nel ’93 vive la prima breve esperienza a Copenaghen, dove torna tre anni dopo per frequentare il Rytmisk Musikkonservatorium e diplomarsi in pianoforte nel 2002. Nel 2001 intanto il primo incontro con il grande amore, il bandoneón: strumento che tuttora accompagna e ispira i suoi viaggi musicali, in cui si fondono i suoni caldi del Mediterraneo con quelli più sofisticati del Nord Europa. Ad oggi Paolo Russo conta 8 dischi e numerose collaborazioni internazionali, tra cui spiccano quelle con Paolo Fresu, Stefano Bollani, Jesper Bodilsen e con l’Orchestra Sinfonica della Università del Sud della Danimarca con cui ad aprile si è esibito nella prestigiosa Carnegie Hall di New York. Il suo ultimo album, Fellini goes jazz, di cui è produttore e arrangiatore, è un omaggio alle musiche che Nino Rota ha composto per i più bei film di Fellini e per la saga de Il Padrino di Francis Ford Coppola. Un progetto nato nel 2005, racconta Paolo «quando con il mio trio, Band Au Neon, siamo stati invitati a suonare al festival jazz di Copenaghen e, poiché siamo tre italiani che vivono qui, ci hanno chiesto di dedicare un tributo al cinema italiano; ho pensato, così, a Fellini e a Nino Rota, che è stato il principale compositore delle colonne sonore dei film di Fellini e l’autore delle musiche de Il Padrino.
Abbiamo assemblato i temi più belli, scegliendo però di non proiettare immagini durante le esibizioni live perché, secondo me, la forza della musica deve prescindere dall’associazione con l’immagine. L’anno scorso, poi, mi ha chiamato il direttore del Jazzhus Montmartre, club storico di Copenaghen dove si sono esibiti i migliori jazzisti americani che hanno vissuto qui, per partecipare al festival jazz e ho proposto questo omaggio a Fellini, estendendo il trio a quintetto». Dalla registrazione del live realizzato il 14 luglio del 2013 è nato il disco Fellini goes Jazz, composto da 12 tracce e diviso in due suite: una dedicata a Fellini e una a Il Padrino. «Le musiche di questi film – prosegue Paolo – attingono all’immaginario collettivo non solo italiano, perché sono pellicole di enorme successo e le melodie delle colonne sonore rievocano sentimenti senza tempo, immagini, visioni. È questa la forza del grande cinema, che continua a vivere nei cuori della gente anche fuori dallo schermo: è qualcosa che ti rimane dentro anche grazie alla musica. È importante, poi, sottolineare come lo stesso autore possa esprimersi in due maniere tanto differenti: una più grottesca, gioiosa, onirica come nelle musiche per Fellini, l’altra più drammatica, toccante, struggente come per la saga de Il Padrino. Per presentare il disco, ad aprile abbiamo tenuto un mini tour di tre date che è andato benissimo e ha ottenuto grande successo di pubblico. Un pubblico costituito da italiani, ma soprattutto da danesi. La musica interpretata in chiave jazzistica esalta le capacità musicali dei singoli elementi e, quando lasci spazio all’improvvisazione, è bello sentire esprimere l’italianità. I popoli nordici, meno forti in questo senso, apprezzano molto la vibrazione della spontaneità, prerogativa del jazz ma anche dell’essere italiano. Nei dischi live, poi, c’è sempre qualcosa in più rispetto allo studio, forse per la presenza del pubblico che diventa una parte integrante della co-creazione, perché si tratta comunque di cuori, persone, anime presenti nella stanza e da cui non si può prescindere». Il disco propone solo il primo set del concerto, che invece nel secondo set contempla l’inserimento di altri autori quali Ennio Morricone, Nicola Piovani, Piero Umiliani e altri, per cui non è escluso che ne venga pubblicato un seguito. Componenti del quintetto Band Au Neon, oltre a Paolo Russo, sono: Francesco Calì, pianista di Catania che suona piano e fisarmonica e vive a Copenaghen da diversi anni; Nico Gori, clarinettista di Firenze, che Paolo definisce “il nostro Lionel Messi” e con cui ha ha all’attivo diversi progetti, tra cui un quintetto cubano The Latin Syndicate; Jesper Bodilsen, bassista danese, con cui partecipa al progetto Scenografie che vede la presenza anche di Nico Gori, Stefano Bollani e Joe Barbieri; Emanuele Cisi, sassofonista di Torino, molto attivo tra l’Italia e gli Stati Uniti. «Un quintetto che mette insieme varie personalità, ma che si caratterizza per avere raggiunto un buon equilibrio tra disciplina e inventiva. Perché se togliamo il carattere di spontaneità e creatività ad un gruppo di jazzisti, abituati ad usare l’improvvisazione come principale fonte di espressione, il risultato può essere stantio; invece, se c’è un buon equilibrio tra le parti scritte e quelle improvvisate, c’è anche la capacità di cambiare atmosfera sul palco, cogliendo l’attimo, e tutto diventa più interessante per i musicisti e per il pubblico. Spesso i musicisti si perdono in sottigliezze, dimenticando l’obiettivo principale, ovvero consegnare un messaggio di vitalità al pubblico. Se il pubblico esce di casa per venire ad ascoltare la tua musica dal vivo è perché vuole vivere un’esperienza, non sentire le stesse cose incise sul disco».