Testo di Sandro Galantini
Tutto iniziò nei primi giorni del gennaio 1886. Le precarie condizioni di Tunisi ed Algeri avevano spinto il ministero dell’Interno a decretare le quarantene per le navi giunte in Italia dal litorale nordafricano, poi ammesse solo a seguito di esame medico sugli equipaggi, e in seguito per quelle provenienti dal Brasile dove era deflagrata la febbre gialla. Nonostante ciò il colera si era diffuso in Veneto, in Puglia, a Genova e Cagliari per cui si disposero trattamenti contumaciali per ogni nave approdata in porto.
Le misure prese non impedirono tuttavia la diffusione del morbo, veicolato a San Benedetto del Tronto da 5 pescatori. Il primo caso, inizialmente taciuto a Francesco Paolucci, medico “primario” della città, si ebbe il 4 agosto e già il 21 seguente gli infetti erano 30 con 6 decessi sui 53 casi con 27 morti contati nel territorio provinciale. Per cui lo stesso giorno il prefetto di Ascoli Piceno emano’ un’ordinanza che vietava tra l’altro fiere, processioni e feste per evitare assembramenti.
A quel punto la paura dell’invasione colerica si diffuse anche a Giulianova dove la sera di domenica 22 agosto si registrò un grave problema di ordine pubblico. Quel 22 agosto 1886, secondo il resoconto datone tre giorni dopo dal “Corriere Abruzzese”, una «turba di spettatori e una lunga fila di monelli con in testa una bandiera e un tromba» si mosse in corteo da Giulianova alta al grido di «viva l’Italia» raggiungendo la stazione per impedire ai passeggeri provenienti dalle Marche di scendere dal treno.
A vigilare sulla situazione erano i carabinieri Giuseppe Saggio, Carlo Berlendis, Giulio Agostinelli e Carlo Brusaferro agli ordini del brigadiere Eutrinio Cerceo. La situazione in breve degenero’ perché alcuni, i più esagitati, presero a sassate l’edificio. A quel punto i carabinieri intervenirono e due dimostranti, fermati dai militi, ingaggiarono con questi una lotta per sottrarsi al fermo e nella colluttazione un carabiniere venne morso ad una gamba. Se la forza pubblica, aggiungeva il “Corriere Abruzzese”, non si fosse «armata di prudenza – e di somma prudenza», la ribellione «sarebbe stata causa di fatti ben più dolorosi».
Grazie al loro intervento i carabinieri, poi insigniti di encomio solenne, erano riusciti dunque a contenere la situazione denunciando cinque persone, rinviate a giudizio e processate a Teramo il 18 novembre, quando il colera era ormai cessato lasciando una lunga scia di lutti (184 morti nella sola S. Benedetto). Due i condannati. Francesco Cerasari, muratore ventiquattrenne, a due mesi di carcere e risarcimento danni. Stessa pena, ma senza risarcimento, per il coetaneo Raffaele Fedele, pure lui muratore. Assolti invece Giuseppe Crocetti, muratore di 29 anni, Giustino Palestini, marinaio ventiseienne, ed Abramo Biancone, 27 anni e pure marinaio.