testo di Ivan Masciovecchio.
Superato il comune di Penne, lungo la strada che conduce sul versante orientale del Gran Sasso, Farindola sembra non arrivare mai. Ma è proprio qui, tra le pieghe tortuose di queste curve a gomito e la vastità di prati a perdita d’occhio che prende forma, e sapore, quello che nel giro di pochi anni è diventato il (cacio) fiore all’occhiello di un’intera comunità, meta ormai imprescindibile per qualsiasi viaggiatore gourmet che si rispetti.
Stiamo parlando del gustoso Pecorino di Farindola – la cui produzione è stata messa a dura prova dal maltempo dello scorso gennaio, tra crolli di stalle e perdita di diverse centinaia di capi ovini –, celebrato in agosto tra i vicoli del centro storico attraverso ben due eventi distinti e complementari. La sagra I Frutti del Gregge è il primo in calendario, in programma dal prossimo giovedì 3 a lunedì 7 agosto. Giunta alla sua ottava edizione, la manifestazione organizzata dalla Pro Loco cittadina, oltre all’allestimento di mostre fotografiche, laboratori di arti e mestieri, spettacoli musicali, animazioni e DJ set, vedrà anche il coinvolgimento di cinque chef abruzzesi chiamati a cimentarsi ai fornelli durante le diverse serate, proponendo un menù pensato per l’occasione offerto in abbinamento con i vini di altrettante cantine abruzzesi. Saranno presenti Antonio Catone dell’Osteria del Leone di Penne (giovedì 3), Carmine Ferretti del ristorante Carmine di Loreto Aprutino (venerdì 4), Peppino Tinari del ristorante Villa Maiella di Guardiagrele (sabato 5), Gennaro D’Ignazio del ristorante Vecchia Marina di Roseto degli Abruzzi (domenica 6), Marcello Spadone del ristorante La Bandiera di Civitella Casanova (lunedì 7).
A seguire, da venerdì 11 a domenica 13 agosto si alzerà il sipario sulla decima edizione di Pecorino&Pecorini, la rassegna enogastronomica organizzata dall’associazione culturale La Zanzara con il patrocinio del comune di Farindola, che vuole differenziarsi dalla classica sagra privilegiando la dimensione del dopo-cena attraverso un intrigante percorso tra gusto, arte e cultura. Tre serate a base di divertimento, bellezze paesaggistiche, antichi sapori e buona musica, dove oltre al tradizionale formaggio si potranno degustare varie sfumature di vino Pecorino proposte da più di venti cantine regionali.
Conosciuto ed apprezzato già in epoca romana con il generico nome di formaggio dei Vestini, il Pecorino di Farindola acquisisce nome proprio ed esplicita cittadinanza nei primi anni del secolo scorso, quando il paese vantava la più alta concentrazione di ovini della zona, oltre ad una vasta disponibilità di pascoli rigogliosi. Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, il progressivo spopolamento dell’area ne ridusse drasticamente la produzione, determinando il crollo del suo valore commerciale e la sostanziale scomparsa. Meritoriamente, sul finire degli anni novanta, si è avviato un lento processo di recupero e valorizzazione, grazie anche all’interessamento ed all’opera dell’associazione Slow Food.
La sua caratteristica principale consiste nell’essere probabilmente l’unico formaggio al mondo, sicuramente il solo in Italia, ad utilizzare il caglio liquido di suino. Il Consorzio di Tutela, nato nel 2002 grazie alla collaborazione tra i comuni dell’area tipica di produzione (Farindola, Montebello di Bertona, Penne, Villa Celiera, Civitella Casanova, Carpineto della Nora in provincia di Pescara e Arsita, Bisenti e Castelli in quella di Teramo), il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, l’allora Agenzia Regionale per i Servizi di Sviluppo Agricolo (A.R.S.S.A) e la già citata Slow Food, prevede un disciplinare di produzione che segue tutte le fasi della lavorazione, a cominciare dalla materia prima, ovvero il latte. Che può derivare solo da pecore allevate stabilmente per tutto l’anno all’interno dell’area tipica di produzione, di razze comunque diverse, compresi gli incroci tra quelle autoctone come la Pagliarola Appenninica ed altre da latte o carne, purché nutrite solo con alimenti della tradizione locale, ovvero pascolo, fieno, paglia, mais, orzo, grano, fave, crusca di grano, avena. Tassativamente vietati gli alimenti insilati e le materie prime derivanti da lavorazione industriale di cereali e semi oleosi, così come prodotti provenienti da organismi geneticamente modificati. Una volta raccolto, il latte viene opportunamente filtrato e portato a circa 31-33 gradi, mescolandolo continuamente.
È qui, in questa fase della lavorazione, che entra in gioco il caglio di maiale che permette al latte di coagulare e di formare la cosiddetta cagliata. Il caglio è ottenuto dalle mucose dello stomaco del maiale, lavate, tagliuzzate a listarelle, salate e messe in infusione con una miscela di aceto e vino bianco per circa 3-4 mesi. Rotta la cagliata, la massa viene posta in fiscelle o canestrelli dove viene salata a giorni alterni su entrambe le facce e fatta riposare. Estratta dalla fiscella, la forma viene posta su assi di legno dove inizia un processo di stagionatura che può durare da tre mesi ad un anno, durante il quale verrà unta periodicamente con un olio extravergine di oliva ed eventualmente aceto al fine di evitare la formazione di muffe e, allo stesso tempo, conferire alla pasta morbidezza ed aromi.
Quello che, però, rende davvero unico il Pecorino di Farindola è la sua straordinaria capacità di saper raccontare un territorio, la sua storia millenaria giunta fino ai nostri giorni, i gesti semplici ed i piccoli segreti di una lavorazione lenta e meticolosa, riservata in origine esclusivamente alle mani di donne capaci di trasmettere alla forma di cacio il proprio sapere antico, tanto da imprimere il proprio nome sull’etichetta del prodotto finito. Paolina, Domenica, Ioletta e le altre; sono loro le storiche artefici di questa meraviglia, le madri di questo ambasciatore del gusto. Ed è a loro che dobbiamo dire grazie se ancora oggi il miracolo si rinnova.