Testo Stefano de Pamphilis Foto Gino Di Paolo
L’affascinante slancio culturale abruzzese della seconda metà dell’ottocento trovò il pittore Torquato de Felice apostolo delle ispirazioni della sua terra nel nuovo mondo.
L’Abruzzo, si sa, nell’ultimo ventennio del XIX secolo visse un periodo di grande splendore artistico e culturale, ad oggi sicuramente mai raggiunto né eguagliato. Accanto ai maestri Michetti, Cascella e Patini, un gruppo di giovani talentuosi e rampanti avrebbe forgiato i suoi pennelli, come fulmini nella fucina di Vulcano, al fuoco delle grandi scuole artistiche dell’epoca. Immerso nei volti ferini delle donne e degli uomini di Tocco da Casauria, il 14 marzo 1867 nasceva Torquato de Felice, figlio di quel Luigi che fu amico e benefattore dei Michetti e che, dopo la prematura morte del capofamiglia Crispino, aveva aiutato con una borsa di studio il giovane e già talentuoso Francesco Paolo a partire per Napoli, dove avrebbe potuto approfondire la sua formazione artistica.

Il pittore, all’apice della sua carriera, riconoscente per l’aiuto ricevuto in gioventù vorrà ricambiare il favore prendendo sotto la sua ala protettrice Torquato. In una lettera datata 20 settembre 1893 inviata a Vincenzo Rosati, noto abruzzese che in quegli anni fondava in Atri la Scuola di Arti e Mestieri, scriveva: “Carissimo Rosati. Ieri fui ad Atri con un giovine artista mio compaesano. Egli, Torquato De Felice di Tocco Casauria, concorre all’insegnamento del disegno in quell’Orfanotrofio del quale sarai tu il Direttore, e ciò è bene. Ora, ti raccomando questo amico più pel merito che ha che per l’affetto che gli porto…”. Ma il giovane artista non insegnerà mai ad Atri e alla fine dell’anno successivo partirà da Napoli con la nave Neckar I alla volta degli Stati Uniti giungendo il 3 novembre 1894. Forse quel nome tanto altisonante, scelto in onore del sommo Tasso, sarebbe stato anticipatore di grandi imprese, come quelle dei paladini in terra santa, e avrebbe portato la terra d’Abruzzi oltre i confini d’Italia, per scavalcare i mari d’europa e sbarcare nel Nuovo Mondo. E fu così che, portando con sé gli echi di quel circolo d’intellettuali che dava voce a Ciampoli, Finamore, Cerasoli, tra le visioni ancora nitide di un Abruzzo ancestrale e dannunziano seduttore in quegli anni dell’Italia intera, il de Felice sarebbe giunto, come professore di belle arti presso la Syracuse University, nell’omonima città dello stato di New York. In questo luogo così distante per usanze e tradizioni ma parimenti ricco di fermenti creativi, Torquato de Felice trovò uno spazio fertile ed accogliente dove poter esprimere la propria arte. Non dimenticando mai le sue origini, nel 1910, dopo aver proposto nell’anno precedente proprio per la città di Syracuse, la realizzazione di un monumento che fosse simbolo dello spirito avventuriero italiano rappresentato dalla figura di Cristoforo Colombo, visitò a Firenze lo scultore Vittorio Renzo Baldi, allievo del più celebre Cesare Zocchi, per commissionargli la figura in bronzo.
Tornato a Syracuse con il bozzetto e avendo ricevuto l’approvazione per la realizzazione dell’opera, partì nuovamente per la Toscana, dove sarebbe stato costretto a vivere con la famiglia fino al 1921 a causa del primo conflitto mondiale ma dove avrebbe anche conosciuto una nuova fase della sua produzione artistica. Dopo la grande depressione economica, che aveva reso impossibile il trasporto dei bronzi e dei grandi blocchi marmorei dall’Italia, il monumento sarebbe stato inaugurato solo nel 1934 unicamente grazie all’intervento di Benito Mussolini e del governo italiano che finanziarono il viaggio verso New York. L’unica condizione del Duce fu quella di apporre l’iscrizione “Christoforo Colombo, discoverer of America”. Il giorno dell’inaugurazione alla presenza del console di New York, il Cav. Pier Pasquale Spinelli, altro orgoglio abruzzese nativo di Lanciano, e di circa 25 mila persone, venne letto un vibrante messaggio di Achille Starace, Segretario del Partito Nazionale Fascista. Tra quella moltitudine, numerosi erano gli italiani e di sicuro tanti gli abruzzesi che condividevano il sogno di Torquato de Felice, scomparso nel 1925, allora affermato professore, un tempo giovane allievo e amico di Francesco Paolo Michetti, che fu anima di quell’Abruzzo che fiero aveva mescolato il mondo della sua arte e della sua poetica.