testo di Ivan Masciovecchio.
Nati in principio come vero e proprio cibo di strada, nutrimento sostanziale dei pastori durante i lunghi spostamenti con le greggi, oggi gli arrosticini – altrimenti chiamati le rrustelle, rustici spiedini di carne ovina arrostiti al fuoco lento della brace posta nella rustillire, una sorta di barbecue stretto e lungo ma senza griglia – oltre ad essere considerati una proposta gastronomica d’eccellenza, rappresentano un simbolo culturale ed identitario dell’intero territorio regionale, anche se la tradizione considera l’area vestina della provincia di Pescara quale originaria zona d’elezione.
A tal proposito, a seguito di ricostruzioni e ricerche storiche condotte nel tempo, durante l’assemblea del 30 luglio scorso l’amministrazione comunale di Civitella Casanova (PE) ha formalmente dichiarato il comune vestino patria dell’Arrosticino. «La tesi è suffragata da evidenze emerse dallo studio di documenti di importante valenza storico-culturale – scrive il consigliere Alessio Granchelli – come lo Statuto Postridentino di Civitella Casanova risalente al 1566 e da atti e licenze rinvenute nell’archivio storico comunale, dai quali si evince il forte legame della nostra comunità all’attività della pastorizia. Il rigoroso Statuto favorì la crescita del centro cittadino e il dinamismo proprio dei cittadini più attivi dando impulso allo sviluppo di un discreto ceto medio. L’evoluzione dell’arrosticino si inserisce perfettamente in questo contesto come la tessera di un mosaico. Certo, occorrerà aspettare qualche secolo per giungere all’emissione delle prime licenze specifiche per la vendita ambulante di “carne cotta sotto forma di arrosticino”, appunto, ma la strada era in qualche modo ormai tracciata».
«Con l’invenzione poi del cociarruste (cuoci arrosticino) che semplificò notevolmente la pratica della cottura e la diffusione dei primi mezzi di locomozione a motore che agevolarono gli spostamenti, le licenze rilasciate dal comune di Civitella Casanova si moltiplicarono e si arrivò a vendere nelle principali città della regione fino a giungere ad avvolgere con i fumi delle braci anche qualche rione della Capitale».
«Questo atto è solo l’avvio di un percorso di valorizzazione delle specificità del nostro territorio – conclude il consigliere – che vuole fungere da volano di ripresa economica della comunità e soprattutto delle imprese del settore che tanto hanno sofferto e continuano a subire la difficile situazione della pandemia. Non è stata affatto facile portare avanti l’attività di ricerca sui documenti storici, ma ci abbiamo creduto fin dall’inizio e nonostante l’esito non fosse scontato non ci siamo mai fermati, riuscendo così a porre le basi per questo importante progetto promozionale».
Tornando all’arrosticino, anticamente la materia prima proveniva esclusivamente da animali (pecore o castrati) giunti alla fine del proprio ciclo produttivo. Oggi, invece, a causa di una domanda sempre più crescente e particolarmente esigente, è previsto anche l’utilizzo di pecore di giovane età, in grado di garantire carni tenere e di grande qualità. Carni provenienti da ovini che, è bene ricordarlo, sempre più spesso provengono da fuori regione, proprio per soddisfare una richiesta che, in special modo durante i mesi estivi, aumenta in maniera esponenziale.
A parte la bravura del cuoco fuochista nel non farli bruciare, gli arrosticini migliori sono assemblati utilizzando tutte le parti dell’animale (spalla, pancia e coscia). I pezzi vengono infilzati lungo uno spiedino di legno alternandoli con piccoli frammenti di grasso in grado di restituire un gusto morbido ed equilibrato. Per evitare di far indurire troppo le carni, il sale andrebbe aggiunto solo a fine cottura. Vanno mangiati caldi, magari accompagnati in tavola con delle scrocchianti bruschette di pane casereccio condite con abbondante olio extravergine d’oliva. Si possono preparare anche di fegato, sempre di pecora, con la cipolla al posto del grasso. Una variante gourmet per molti ma non per tutti.