È uno dei centri storici più antichi della costa teramana, ma soprattutto il più ricco di monumenti e opere d’arte, vero scrigno di tesori. Il duomo, che si affaccia sull’omonima piazza, rappresenta uno dei complessi monumentali più importanti d’Abruzzo perché somma in così poco spazio un’incredibile varietà di meraviglie artistiche, dall’architettura alla scultura, ma soprattutto in fatto di pittura. Dedicato a Santa Maria, si fonda su una cisterna di epoca romana e la sua costruzione, iniziata alla fine del XI secolo, proseguì per tutto il Trecento. Di grande pregio la facciata, con il portale principale e il rosone, i tre portali laterali e la duecentesca torre campanaria, ma la sua vera meraviglia risiede nei colori delle pitture che si ammirano ovunque all’interno, sulle pareti e sui pilastri; i più antichi sono quelli del “Contrasto dei Vivi e dei Morti” sulla parete in fondo alla navata di sinistra. Il capolavoro assoluto risiede però nel grande ciclo che ricopre totalmente le pareti del coro: le Storie di Maria e le Storie di Cristo dipinte tra il 1460 e il 1465 dal maggiore pittore del Quattrocento abruzzese, Andrea Delitio
testo di Enrico Trubiano
Il dipinto più antico che la cattedrale conservi occupa la parte terminale della navatella di sinistra: con la sua composizione si sviluppa sulla parete di fondo e sull’altra che divide la navatella stessa dal coro. Per la data di esecuzione si oscilla fra il 1270 e il 1280 circa, cioè per un periodo nel quale appena finiti i lavori del prolungamento della chiesa, Raimondo de Podio stava lavorando al portale più antico del fianco e questo dimostra la tempestività con la quale la pittura entrò nella cattedrale atriana appena terminata. Soggetto dell’affresco è il “Contrasto dei tre vivi e dei tre morti” ossia l’incontro di tre gentiluomini, che si recano alla caccia con il falcone, con tre scheletri che li rimproverano per la loro vita spensierata e gaudente e li ammoniscono, con il loro aspetto e con brusche parole, a pensare alla loro prossima fine. Il racconto pittorico dà origine ad una poesia di intonazione popolareggiante che finisce per essere una critica aspra alla spensierata vita delle corti. Qualunque sia il luogo di origine di quel componimento poetico duecentesco, esso sta a dimostrare che il contrasto tra la vita spensierata delle corti, e la fine alla quale ogni uomo deve soggiacere, era penetrato nella cultura popolare assumendo quasi il tono di una rivincita del povero. E ciò è di particolare interesse, perché il tema, nella sua versione originaria, non era di origine popolaresca, ma era nato nell’ambiente delle corti di Francia come monito ad elevare i propri pensieri alla considerazione della vita futura, sollecitata dalla macabra quanto improvvisa apparizione. Il motivo avrà poi larga diffusione e darà materia alla nota composizione del Campo Santo di Pisa e all’altra, meno conosciuta, del Sacro Speco a Subiaco. La redazione dell’affresco atriano appare ancora strettamente legata alla cultura di corte, perché i tre morti sono in piedi e diversamente scarnificati, ed il secondo signore reca in mano il falcone, motivi questi che ricorrono costantemente in svariate miniature francesi del Duecento inoltrato. Di derivazione miniaturistica è anche il fregio a fiorami che corre nella fascia superiore dell’affresco atriano, insieme al gusto per il dettaglio che si riscontra nella resa delle vesti dei tre vivi. Analoga derivazione ha, inoltre, il raggruppamento dei tre morti, dei quali due soli ne restano oggi nell’affresco di Atri. Sotto l’aspetto qualitativo non si può dire che l’affresco con i tre vivi e con i tre morti sia di livello molto alto: troppo evidente è l’incapacità di intendere e di interpretare una miniatura gotica quasi certamente francese; è tuttavia un documento importante che getta luce sulla rapidità di penetrazione e sul modo di assegnazione delle forme gotiche. L’importanza dell’affresco atriano risiede proprio nell’intonazione locale che ha assunto un tema derivante da un clima culturale completamente diverso. Il secondo gentiluomo è forse la figura più tipica e significativa dell’intera composizione, perché in essa il gesto stereotipo dello stupore e della meraviglia si comunica alla sopravveste che si apre in strane curve angolate in modo da scoprire la bianca fodera, forse di pelliccia. Il pittore mostra di possedere una vasta cultura ed in particolar modo di aver avuto sentore di altre esperienze regionali, dalle quali, come i tre maestri di Bominaco o gli altri di Santa Maria ad Cryptas presso Fossa, traeva tanta parte della sua capacità espressiva. L’esperienza dei modi gotici, ai quali era ispirato tutto quello che sotto l’aspetto compositivo gli servì di modello, rafforza la sua inclinazione originaria senza peraltro snaturarla. Ciò gli permise di differenziarsi dai modi bizantineggianti che ancora dominavano la regione e di maturare una sua maniera personale ed allo stesso tempo efficace.