Da un luogo teatro di martirio per i primi cristiani, intrecciando la storia con il prosciugamento del fucino e il terremoto del 1915, nasce il centro di culto dedicati ai santi martiri Cesidio e Rufino. Storie di recuperi e modifiche nel tempo, fino al parroco di oggi e alla sua continua opera di scavo
di Leonello Farinacci, foto Giovanni Lattanzi
Oltre 1700 anni fa, Supinum – l’odierna Trasacco, nel Fucino fu teatro di un gravissimo fatto di sangue. I soldati dell’imperatore romano Massimino il Trace irruppero nel locale dove il sacerdote Cesidio e il vescovo Rufino stavano concelebrando la messa, alla presenza di una piccola comunità di cristiani del luogo. Tutti i partecipanti al rito sacro vennero massacrati. Correva l’anno 237 d.C. Le vittime furono sepolte nello stesso luogo del martirio, nei sotterranei della dimora che sembra appartenesse allo stesso Claudio, ai tempi del tentativo di prosciugamento del lago Fucino. Proprio in quel luogo, secondo reperti e sulla base di atti ufficiali concernenti le varie donazioni elargite dai primi conti di Celano alla comunità cristiana, venne realizzato un centro di culto nel nome dei Santi Martiri Cesidio e Rufino. Soltanto nel XIII secolo si procedette alla costruzione, nello stesso sito, di un più ampio edificio, che ricorda lo stile sobrio del Duecento, pienamente adatto alle accresciute esigenze. L’intero impianto, compresi i servizi, gli alloggi e le parti destinate più propriamente al culto cristiano, fortemente cresciuto tra gli abitanti, assunse la denominazione di “basilica”, che, nei secoli successivi, subirà una serie di ristrutturazioni e modifiche sovrastrutturali non sempre in linea con lo stile iniziale. Nel 1618 la basilica da tre navate viene ingrandita a quattro ad opera dell’architetto Cicerone De Blasis, con annessi il coro, la sagrestia e i due bracci del transetto. Altri interventi si renderanno necessari dopo il terremoto del 1915. La basilica avrebbe rischiato di perdere il suo originario impianto a causa delle troppe sovrastrutture intervenute nel corso dei secoli se non si fosse provveduto, tra gli anni 1967/69, ad opportuni restauri, che ci hanno riconsegnato il suo antico profilo architettonico. All’esterno si presenta ad est della sua piazza quadrangolare nella struttura a capanna, in cui la navata centrale è dominante sulle altre, parzialmente coperte dall’Oratorio della Concezione e dalla torre campanaria quadrangolare. La basilica ha una porta centrale, detta “portale delle donne”, che, come il resto, ha subito nel tempo continue trasformazioni; di un certo pregio tre stipiti scolpiti, una colonna con scanalature ricche di fregi naturalistici, tematiche fantastiche, figurine di uomini e di donne, che mostrano il loro sesso come segno distintivo. Di contro, il “portale degli uomini”, un misto di stili, colpisce per la sua granitica maestosità. Connotati evidenti: una strombatura con colonnine tortili, stipiti di vario spessore fino all’archivolto, tre arcate su capitelli recanti decorazioni floreali e zoomorfe. Ad un primo impatto sembra prevalente lo stile rinascimentale, con diffuse presenze di amorini, figure femminili con corpi di uccelli (arpie?) e, nella parte destra, l’Orifiamma di San Bernardino da Siena, al centro teste di angeli e cromie, resti sicuramente di un affresco del XV secolo; un po’ più sotto due mascheroni con corolle floreali. L’interno della basilica, in buona parte riportato allo stile originario, liberato dalle ridondanze barocche, è suddiviso in quattro navate, mentre il pavimento mostra tracce dell’antica costruzione. La navata centrale, a capriate scoperte, reca lateralmente piastrelle rettangolari di terracotta con fiori. D’intesa con la Sovrintendenza d’Abruzzo, l’abate della basilica, Duilio Testa, procederà al restauro delle capriate. Le navate laterali risalgono al XIII secolo, mentre la quarta è stata aggiunta nel XVII secolo. Entrando dal portale delle donne s’incontra la cantoria e, a destra, l’accesso al campanile. Il monumento di Santa Caterina di Alessandria, di stile tardo gotico, è collocato nella navata di destra, seguito da un affresco, forse del XIV, di autore ignoto, raffigurante San Michele Arcangelo; mentre sopra l’ingresso degli uomini, in un’apposita lunetta, campeggia un’Annunciazione dai temi ben noti. Nella seconda e terza campata sono ben visibili affreschi tematici sulla Redenzione. Il primo, di stile rinascimentale, concerne l’Evangelista San Luca, mentre nella terza campata, dedicato a San Giuseppe, si ammira un altare di stile rinascimentale, sovrastato da una tela di scuola romana(sec. XVI). Proseguendo verso l’anti presbiterio ci si imbatte nel fonte battesimale, mentre una normale porta ci introduce nei due ambienti più significativi: la cripta e la sagrestia. La cripta insiste su tre locali. Il primo con un altare in cui sono custodite le reliquie dei Santi Martiri di Trasacco; il secondo introduce al terzo con l’urna di cristallo contenente altre reliquie. La sua volta, a forma di botte, mostra frammenti di colori con immagini di San Cesidio sacerdote e di San Rufino, vescovo in abiti pontificali. Nella sagrestia colpisce l’imponente armadio, che occupa un’ intera parete. Suddiviso in nove specchi dalle paraste, con disegni molto delicati e diversificati, reca nel riquadro centrale la figura di San Cesidio, cerchiata da due rami di palma, a significare il martirio, mentre nella parte più bassa è riprodotta l’effigie di San Rufino ed a Nord quella, forse, di Sant’Alessandro. Di pregiato legno dorato, del XVII secolo, quattro specchi dipinti che mostrano San Cesidio, San Rufino, le Sante Aquilina e Niceta ed una figura non precisata. La storia dei due Santi Martiri è descritta nelle lunette, insieme con le vicende locali del XVII secolo, mentre nella parte alta della volta un affresco propone la glorificazione dei Santi Martiri entro le mura di Trasacco. È di una evidente trasparenza iconografica un sarcofago alto medioevale con la superficie divisa in due riquadri, ricchi di simboli: due leoni in combattimento, due pavoni alla fonte,in un contesto silvestre. Certamente, la presenza più significativa nella basilica è quella dell’ambone risalente alla metà del XIII secolo. Oltre alle figure della mitologia cristiana: l’Agnello Crocifero, l’Angelo ed il Leone, l’Aquila ed il Toro, simboli dei quattro Evangelisti, appaiono finemente riprodotti in mosaici bicolori. Nella quarta navata sono ben quattro gli altari, di cui tre dedicati, rispettivamente, alla Madonna delle nevi, alla Madonna delle Grazie e a San Tommaso, mentre in fondo alla navata di sinistra è custodita la statua in legno di San Cesidio,opera del 1425. In chiusura ci piace segnalare la meritoria opera di scavo e di selezione dei reperti antichi da parte del parroco della basilica, Abate Duilio Testa, che sta realizzando tredici reliquiari di un metro ciascuno per raccogliere le ossa dei martiri restaurate, consolidate e sigillate. Di notevole portata il ritrovamento di una lancia conficcata in un osso di San Cesidio e di frammenti di stoffa, risalenti al III secolo.