testo e foto di Ivan Masciovecchio.
«A causa del cambiamento climatico in atto ormai da diversi anni, operando nel pieno rispetto della filosofia artigianale, diventa sempre più difficile intervenire sulla materia prima senza stravolgerla. Se questa tendenza non si invertirà, io credo che in un futuro non troppo lontano sarà impossibile continuare a produrre vini come li faccio io. Di conseguenza, non potendo più lavorare come la mia famiglia ha sempre fatto, sarò costretto a fermarmi». Lasciano in bocca una spiacevole sensazione di amarezza le parole che Francesco Paolo Valentini pronuncia al termine della straordinaria degustazione di ben undici annate di Cerasuolo d’Abruzzo, organizzata nei giorni scorsi presso l’hotel Miramare di Città S. Angelo (PE) dalla Confraternita del Grappolo con la collaborazione del giornalista enogastronomico Massimo Di Cintio.
Concetti espressi anche in altre occasioni dallo storico agricoltore di Loreto Aprutino, esposti con l’onestà e la consapevolezza di chi spesso si è trovato ad operare in direzione ostinata e contraria in un mondo permeato invece da conformismo ed opportunismi. «Quando dico che il clima sta cambiando vengo preso quasi per pazzo. E mi arrabbio molto con i giornalisti che scrivono di ogni annata come della migliore del secolo perché io osservo il fenomeno dal punto di vista dell’artigiano e considero questo un atto di irresponsabilità verso la collettività. Noi agricoltori siamo una sorta di avamposto e se riscontriamo delle anomalie abbiamo il dovere morale di comunicare quello che sta avvenendo, senza pensare solo al nostro orticello, ai nostri interessi ed alla nostra vigna».
Riavvolgendo il nastro della serata, nell’introdurre le undici annate di Cerasuolo d’Abruzzo – 2014, 2011, 2008, 2007, 2006, 2005, 2003, 2002, 1995, 1980, 1979 – Francesco Paolo Valentini ne ha sottolineato alcuni aspetti caratteristici della produzione, ripercorrendo l’approccio familiare verso un vino spesso considerato di serie B o addirittura un non-vino. «Premettendo che lo abbiamo ritenuto sempre un vino che si esprime al meglio in un arco di tempo piuttosto breve, mio padre prima di me ed in seguito anch’io, abbiamo sempre cercato di dedicargli massima attenzione perché fa parte della tradizione abruzzese, della nostra cultura. È un vino che non mi dà pace, verso il quale cerco sempre di trovare una strada diversa, una vinificazione ottimale».
Caso più unico che raro, Valentini realizza il suo Cerasuolo unicamente dalla vinificazione in bianco delle uve rosse; solo mosto fiore senza la benché minima macerazione delle bucce. «Non l’ho mai fatta perché secondo me con l’aggiunta di vinacce questo vino perde le sue tipicità floreali e fruttate, acquisendo invece caratteristiche organolettiche più prossime al vino rosso». Per poter lavorare in assenza di bucce ed ottenere comunque il tipico colore rosso ciliegia, è necessario operare al meglio in vigna, «perché, come diceva mio padre, è lì che nasce il vino ed è lì che devi concentrare tutte le tue attenzioni, la tua pazienza ed il tuo tempo». Quindi massimo impegno per rendere la cuticola dell’acino più spessa possibile in modo da concentrarvi tutte le materie coloranti; separata dal frutto, la buccia verrà inserita in un torchio verticale idraulico e pressata sofficemente, ottenendo un liquido che in seguito verrà miscelato con il mosto fiore.
«Per quanto riguarda la vinificazione – ha proseguito Valentini – utilizziamo solo i lieviti presenti naturalmente sull’uva; essendo marcatori degli aromi, se aggiungessimo quelli prodotti industrialmente finiremmo per avere vini con caratteristiche organolettiche simili ad altri. La fermentazione è spontanea, senza controllo della temperatura, e non nascondo che più passa il tempo e più diventa difficile e rischiosa perché, soprattutto con i rosati, sempre più spesso avvengono degli arresti di fermentazione, con tutti i rischi che ne conseguono».
Sostenitore convinto del legno, l’invecchiamento avviene in botti di quercia della prima metà dell’800 di grandezza variabile dai 35 ettolitri per i vini rossi e rosati ai 70 ettolitri per i bianchi. «Non uso altri contenitori se non come appoggio, perché secondo me il legno consente un miglior scambio di ossigeno, un po’ come il sughero. Il cemento potrebbe essere valido se non fosse per l’obbligo di vetrificare, poiché il vetro isola troppo ed in presenza di una fermentazione senza controllo si rischia di avere temperature troppo elevate. Da questo punto di vista l’acciaio potrebbe andare bene perché ha una maggiore dispersione termica però non restituisce nulla, è freddo».
Alla prova d’assaggio, accompagnati dalla lettura delle note di famiglia appuntate nel corso degli anni su diari e registri aziendali con l’indicazione dei parametri tecnici e dell’andamento climatico, tutti i vini hanno stupito per la loro originalità e freschezza, caratterizzandosi nel bene e nel male come figli di annate uniche ed irripetibili, ognuna delle quali contrassegnate da eventi atmosferici, lavorazioni, umori, gesti, pensieri e parole sempre differenti.
Come il Cerasuolo 2008, funestato da ben otto grandinate che non hanno comunque impedito di realizzare anche un ottimo Trebbiano; oppure il problematico 2007, definito poetico e struggente dal giornalista Sandro Sangiorgi durante una degustazione di qualche anno fa ad Alba Adriatica (leggi qui per saperne di più), nato sotto il soffio costante del garbino che in agosto portò la temperatura addirittura a 46 gradi, salvatosi anche grazie ad una irrigazione di soccorso mai utilizzata prima. «Lo spettacolo delle vigne era devastante – ricorda Valentini – tanto che io cercavo di andarci solo nel pomeriggio, quando le foglie tornavano a distendersi, perché vederle completamente accartocciate mi procurava proprio una tristezza infinita». Oppure ancora le annate 2005 e 2006 ovvero l’ultima firmata con papà Edoardo e la prima senza di lui, dopo ben 35 vendemmie affrontate insieme a partire dal lontano 1981.
Una sorta di archeoenologia della memoria di straordinaria intensità, capace di riscaldare i cuori e rinfrescare i palati, che al di là del suo intrinseco valore potrebbe essere ricordata per essere stata anche l’ultima verticale possibile di Cerasuolo, data l’esiguità delle bottiglie prodotte e l’ormai scarsa disponibilità.
«La vigna è magister vitae – ha concluso Valentini – ed il vino prodotto artigianalmente mi ha insegnato tante cose che vanno oltre l’enologia. È l’equilibrio, l’armonia tra gli opposti, la fonte essenziale della longevità e della stabilità di un organismo. Nel cercare di ricreare il più possibile questa coerenza, sta il lavoro lento e paziente dell’artigiano». Ad ascoltarlo in sala anche il figlio Gabriele al quale ha rivolto l’ultimo pensiero. «Quale sarà il suo futuro bisogna chiederlo a lui. Come padre, la più grande ricchezza che posso trasmettergli è la libertà di scegliersi autonomamente quella che sarà la sua vita».