Nati in principio come vero e proprio cibo di strada, nutrimento sostanziale dei pastori durante i lunghi spostamenti previsti dalla transumanza, oggi gli arrosticini (altrimenti chiamati le rrustelle), oltre ad essere considerati una proposta gastronomica d’eccellenza, rappresentano un simbolo culturale e identitario dell’intero territorio regionale
Anche se la tradizione considera la fascia pedemontana della provincia di Pescara, nella zona dell’altipiano del Voltigno, quale originaria area d’elezione, nel tempo il caratteristico profumo di questi rustici spiedini arrostiti al fuoco lento della brace posta nella rustillire (una sorta di barbecue stretto e lungo ma senza griglia, ph. di A. Waibl) si è diffuso in tutto l’Abruzzo e successivamente ben oltre i confini regionali, conquistando golosi ed unanimi consensi.
Anticamente la materia prima proveniva esclusivamente da animali (pecore o castrati) giunti alla fine del proprio ciclo produttivo. Oggi, invece, a causa di una domanda sempre più crescente e particolarmente esigente, è previsto anche l’utilizzo di pecore di giovane età, in grado di garantire carni tenere e di grande qualità. Carni provenienti da ovini che, è bene ricordarlo, sempre più sono importati dall’estero, o da altre parti d’Italia, proprio per soddisfare una richiesta che, in special modo durante i mesi estivi, aumenta in maniera esponenziale.
A parte la bravura del cuoco fuochista nel non farli bruciare (una distrazione di troppo e il danno è fatto), gli arrosticini migliori sono assemblati utilizzando tutte le parti dell’animale (spalla, pancia e coscia). I pezzi, tagliati rigorosamente a mano, vengono infilzati lungo uno spiedino di legno alternandoli con piccoli frammenti di grasso in grado di restituire un gusto morbido ed equilibrato. Per evitare di far indurire troppo le carni, il sale viene aggiunto solo a fine cottura. Vanno mangiati caldi, magari accompagnati in tavola con delle scrocchianti bruschette di pane casereccio condite con abbondante olio extravergine d’oliva. (I.M.)