testo di Ivan Masciovecchio.
Cinta affettuosamente dalle acque del Tordino e del torrente Vezzola, Teramo – l’antica Interamnia romana – sembra esibire quasi con pudore le innumerevoli bellezze che pure è in grado di offrire. A cominciare dallo spettacolare Paliotto d’altare in argento di Nicola da Guardiagrele, capolavoro assoluto del Quattrocento abruzzese custodito all’interno dello splendido Duomo cittadino e che da solo farebbe la fortuna di qualsiasi altra città d’arte del mondo. Così come la piccola chiesa di Sant’Anna dei Pompetti, nel cuore del centro storico ed archeologico cittadino, parte del complesso dell’antica Cattedrale di Santa Maria Aprutiensis che, tra le diverse meraviglie, sulla parete interna addossata in fondo al bastione della Torre Bruciata accoglie uno splendido affresco della Madonna del Latte affiancata da Santa Apollonia e Santa Lucia, databile tra il XII-XIV secolo ed attribuito a Giacomo da Campli.
Unanimemente riconosciuta come l’espressione più elevata della tradizione abruzzese, caratterizzata ed arricchita dalle influenze delle diverse dominazioni succedutesi nel tempo, l’offerta culinaria della città tra i fiumi trae essenzialmente origine ed ispirazione dalla terra, abbondante com’è di carni, verdure, legumi ed erbe aromatiche. Una proposta povera – figlia di un passato agropastorale ormai remoto ma mai dimenticato – ed allo stesso tempo straordinariamente ricca di piatti unici e genuini, nonché di preparazioni dai gusti decisi ma incredibilmente equilibrati, esaltate dagli odori provenienti dai fertili e profumatissimi orti familiari cittadini.
Perdersi all’interno delle sue tipicità rappresenta senza dubbio un’esperienza complessa e totale; eterogenea come il piatto che più di tutti ne esprime davvero l’assoluta peculiarità. Stiamo parlando delle Virtù, capaci di conquistare senza riserve anche Carlo Petrini – presidente onorario, ideatore e fondatore del movimento internazionale Slow Food – il quale, scherzando (ma non troppo) durante una delle sue ultime visite in Abruzzo, si propose come loro ambasciatore nel mondo, rimarcandone l’aspetto ecologicamente ed eticamente sostenibile, «perché evitare sprechi alimentari è uno dei comportamenti più virtuosi che ci possano essere». «Un concetto che da cuoco posso definire tanto moderno quanto antico» ribadisce a Tesori d’Abruzzo Marco Cozzi, giovane chef teramano che nel suo Spoon porta avanti con tenacia e passione una cucina contemporanea nel rispetto delle materie prime e della propria storia culinaria fatta di sapori ed emozioni.
Le Virtù raccontano storicamente dell’incontro tra l’inverno che finisce e la primavera appena arrivata, quando al termine del lungo periodo di freddo mani sapienti di donne univano gli avanzi delle provviste stipate in dispensa con le primizie offerte dalla nuova stagione, dando vita ad un piatto unico – oggi considerato di altissima cucina – completo, ricco ed incredibilmente armonico, inserito da giugno 2013 nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (PAT) elaborato dal Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali.
Un trionfo di gusto, profumi e consistenze, molto più di un semplice minestrone, che si compie nella festa del primo maggio (anche se in passato veniva preparato e gustato durante tutto il mese) quando non c’è casa teramana in cui non se ne assapori una o più porzioni belle abbondanti, condividendole in maniera orgiastica con familiari e conoscenti, facendo attenzione a non dimenticarsi di inviarne qualche mestolata agli amici più cari, anche per non rischiare di veder compromessi per sempre legami d’affetto che sembravano inscindibili. «Per Teramo e per noi teramani le Virtù sono un simbolo di cui andar fieri – afferma ancora chef Cozzi –. Fanno parte dei ricordi della mia infanzia, dal momento di gioia con la famiglia riunita attorno alla tavola, alle vie della città piene di gente con i pentoloni da regalare o portare a casa; memorie di una convivialità che oggi purtroppo ci è preclusa».
Anche per Laura Del Vinaccio, teramana DOC e titolare del Borgo Spoltino di Mosciano Sant’Angelo – dove le Virtù sono proposte nel solco degli insegnamenti tramandati dal compianto chef Gabriele Marrangoni – il rapporto è viscerale, collegando il suo ricordo del primo maggio a quello della Maratonina Pretuziana, che nel 2019 ha toccato l’edizione numero 44. «Chi non è teramano e non è cresciuto a Teramo non può capire quello che accade quel giorno in questa città – confida a Tesori d’Abruzzo con un pizzico di nostalgia –. Da adolescente, ma anche negli anni a seguire, venivo svegliata dagli odori che arrivavano dalla cucina dove la nonna preparava le Virtù. Per me era il profumo della festa. Dopo essermi preparata ascoltando l’altoparlante che seguiva la maratonina, uscivo per incontrare gli amici lungo le strade del centro, tutte inebriate da quella gustosa fragranza percepita al mattino. Tra i vicoli ed il corso San Giorgio si incrociavano podisti in corsa ed adulti con le pentole chiuse da strofinacci che si recavano in case d’amici per lo scambio di porzioni. E passeggiando si arrivava infine in piazza Sant’Anna, animata per decenni dalla signora Dina De Sanctis, una grande donna che preparava le Virtù per quasi tutta Teramo e ne faceva omaggio a chiunque passasse da quelle parti, rifornendo anche il manicomio lì vicino ed il carcere».
Descriverne la ricetta e, soprattutto, la lavorazione è operazione quasi impossibile. L’Associazione dei Ristoratori Teramani dentro le mura – il sodalizio nato nel 2009 dall’unione di diversi osti del centro storico allo scopo di promuovere e valorizzare le specialità locali, attualmente inattiva – tempo fa ha provato a stilarne addirittura un disciplinare riconoscendo però, al contempo, che questo piatto «si fregia della piacevole comparazione tra le varie preparazioni», essendo il risultato di un vero e proprio rito collettivo che si rinnova ogni anno ed al quale tutte le famiglie cittadine prendono parte. «È per questo che mi dissocio dalle polemiche dei teramani su quali siano le vere Virtù – conclude Laura – anche perché ho mangiato delle ottime Virtù anche fuori Teramo. Io ho sempre pensato che le vere Virtù siano quelle che vengono dalla bontà delle persone che con amore le cucinano per scambiarle o magari gustarle insieme agli amici per scegliere poi quali siano uscite meglio, ma soprattutto sono quelle che doniamo a chi non può permettersene nemmeno un piatto, proprio come faceva la signora Dina. È questo l’ingrediente che cerco di mettere sopra ad ogni altra cosa, il cuore…».
Al di là della generosità, per la riuscita del piatto è fondamentale l’utilizzo di materie prime di qualità, ricercate e prenotate nei mercati contadini da fornitori di fiducia già sul finire del mese di aprile. La lista degli ingredienti appare davvero senza fine comprendendo – senza pretesa di esaustività – legumi secchi (fagioli, ceci, lenticchie, cicerchie) e freschi (fave, piselli), verdure ed ortaggi freschi (bietola, indivia, scarola, lattuga, borragine, cicoria, spinaci, carciofi, zucchine, carote), erbe aromatiche (aglio, cipolla, aneto, maggiorana, prezzemolo, menta, salvia, timo, sedano, basilico, pepe bianco, noce moscata, chiodi di garofano); passando per prosciutto crudo, osso, orecchie, cotenne e piedini di maiale, carne di manzo macinata, diverse varietà di pasta di grano duro (avendo l’accortezza di spezzettare quella di lungo formato), pasta fresca all’uovo e/o semplicemente impastata con acqua e farina. Ogni alimento viene cotto singolarmente secondo tempi e modalità differenti; per questo occorrono almeno un paio di giorni per completare tutta la complessa elaborazione del piatto il quale, dopo aver riunito gli ingredienti amalgamandoli in uno spazioso paiolo, offrirà il meglio delle sue potenzialità se lasciato riposare per circa un’ora.
Dalla cucina al cinema, le Virtù sono state raccontate anche in un bel documentario dal titolo “Le Virtù, la città in un piatto”, realizzato dal regista teramano Marco Chiarini in occasione dell’Expo milanese del 2015 e visibile a questo indirizzo https://vimeo.com/413489409. Nato da un’idea di Giorgio Chiarini e Luigi Ponziani e prodotto da Slow Food Condotta Pretuziana – oggi purtroppo non più in attività – con il sostegno di Regione Abruzzo, Camera di Commercio di Teramo e la stessa Slow Food, in circa quaranta minuti condensa tutta una serie di testimonianze – dall’esperta di cucina tradizionale al docente universitario fino all’antropologo, passando ovviamente per ristoratori, massaie e ortolani teramani – sulle origini storiche e sulle caratteristiche dell’iconico piatto.
Utilizzando anche immagini di repertorio provenienti dal fondo dei filmini familiari della Biblioteca Delfico di Teramo, ci si ritrova nel 1988 in quella piazza Sant’Anna raccontata altresì da Laura Del Vinaccio, quando un piatto di Virtù costava solo 3.000 lire. In video scorrono, tra gli altri, i volti ed i pensieri virtuosi dello storico ristoratore Elio Pompa – purtroppo morto un anno dopo l’uscita del film – e del figlio Paolo il quale ricorda come l’inizio del movimento del turismo gastronomico legato alle Virtù sia legato originariamente al padre, che all’interno del ristorante Centrale per primo ne propose una versione gourmet capace di andare oltre quella che si realizzava in casa. E poi ancora quelli di Rosita Di Antonio, custode della cucina tradizionale teramana, dei ristoratori Michele Eligio Filipponi e Marcello Schillaci, dell’antropologa Alessandra Gasbarroni, del rettore dell’Università di Teramo Dino Mastrocola, del giornalista Antonio D’Amore, del bibliotecario Marcello Sgattoni, del professore universitario Giuseppe Profeta. Fino alle parole del già citato Carlin Petrini che affidano le Virtù all’eternità dichiarandosi affascinato «dall’umanità che c’è dietro al piatto. È una preparazione generosa, che si offre agli altri, che si apre alla partecipazione, senza egoismo. Io penso che debbano diventare un metodo valido in ogni angolo del mondo».