La giornalista teramana Laura De Berardinis esordisce con “Raccolgo conchiglie”, un libro di poesie molto “narrative” e dotate di una assai apprezzabile riconoscibilità di dizione e di una sorprendente ricchezza di immagini
di Simone Gambacorta
È il caso di citare un passo della nota introduttiva che l’autrice ha dettato a premessa del suo lavoro: “Ho scritto per esplorare, capire, ricordare, raccontare, provocare, godere, ritrovarmi, creare e per tante altre ragioni che resteranno intime. Se qualcuno mi dovesse chiedere se ‘Raccolgo conchiglie’ mi rappresenti, risponderei piuttosto che è il riflesso dei tanti specchi che ho appositamente concepito e posizionato nei punti strategici dell’anima per avere una migliore prospettiva e aiutarmi nel costruire la scena e la narrazione. Il desiderio, espresso sin dall’inizio, è stato quello do costruire un palco su cui meditare ad alta voce. Un luogo solitario che sento la necessità di condividere”. Le pagine che Laura De Berardinis ci consegna, sospese come sono tra il racconto e la poesia, testimoniano di come la scrittura debba e possa essere un cimento che estorce, a chi voglia praticarla con autenticità, un itinerario contundente e talvolta implacabile, un cammino di luci e ombre lungo il quale le insidie del dolore e dell’inquietudine si adunano attorno ai punti cardinali dell’esistere. Lo sguardo che abita questo libro rifugge l’enfasi e le bellurie di maniera e si adagia con disinibita sincerità sui moti di un’anima che non ha tema di rivelarsi. Le parole ambiscono ad aprirsi al lettore come se gli andassero incontro, come volessero donargli un’occasione per condividere gli spazi angusti e soavi con cui i giorni avvolgono il tempo di chi vive. I testi di Laura De Berardinis sono pennellate ansiose di rincorrersi tra cielo e terra, tra passato e presente, tra un io e un tu, tra la poesia del sogno e la prosa della realtà. Il loro è il respiro delle estati e degli inverni che scandiscono le stagioni dei nostri silenzi.
(Ricerche&Redazioni 2011, pp. 92, E 10)