Ha l’umorismo milanese di Ugo Tognazzi, ma il cuore abruzzese di chi con tenacia e testardaggine ha costruito un successo acclamato nei teatri di tutto mondo. Donato Renzetti, nato nel 1950 a Torino di Sangro, è considerato uno dei più grandi direttori d’orchestra di questo secolo, figlio d’arte di Domenico, da musicista delle bande musicali abruzzesi è approdato alla Scala di Milano come timpanista
di Alessandra Portinari
Un artista che ha lavorato con Placido Domingo e Luciano Pavarotti, Dario Fo e Giorgio Albertazzi, dirigendo per Giovanni Paolo II e a Carlo Azeglio Ciampi. Il suo successo va oltre oceano, ma quando può corre a guardare il suo mare. “L’Abruzzo è un tesoro immenso ancora tutto da scoprire – afferma – . Quando torno a casa c’è sempre un posto nuovo da visitare, provando emozione di rara bellezza nel cogliere le risorse di una terra che non ha abbandonato le sue tradizioni. Qui la musica però ha perso tante scommesse, ho lottato invano in questi anni affinché la politica potesse dargli il giusto risalto. L’amarezza più grande resta quella di non essere riuscito a dare stabilità ad un’orchestra come quella del Marrucino di Chieti, così come sapere che Pescara non ha saputo costruire un teatro. Oggi porto avanti due progetti ambiziosi per risvegliare le coscienze e far conoscere repertori classici nei quattro capoluoghi abruzzesi, l’altro quello di costituire una grande orchestra dell’Adriatico con cento elementi, per eseguire brani mai ascoltati in questa terra”. Renzetti adora raccontare con ironia aneddoti legati alla sua carriera e spaziare tra i suoi miti: Giuseppe Verdi, di cui ama tanto l’Aida, Guido Cantelli, l’allievo di Toscanini e Carmelo Bene, al quale era molto legato.
Divertenti anche i suo ricordi all’Ariston di Sanremo nel 1971 quando faceva parte dei “4+4” di Nora Orlandi e con il cugino Maurizio Fabrizio, compositore di successi come “Almeno tu nell’universo” o “I migliori anni della nostra vita”. Ha vinto premi come: il Diapason d’Argento al “Marinuzzi” di Sanremo, il bronzo all’“Ansermet” di Ginevra, ma soprattutto all’unanimità il “X concorso Guido Cantelli” alla Scala di Milano nel 1980.
A questo concorso c’è stata la svolta: “Il giorno dopo la vittoria – prosegue il Maestro – avevo una marea di offerte. Prima avevo bussato ovunque, ma senza risposte e, d’un tratto, mi ritrovavo alle luci della ribalta”. I più grandi teatri del mondo lo hanno accolto con applausi scroscianti: dall’Opera di Parigi, al Covent Garden di Londra, dalla Carnegie Hall al Metropolitan di New York, che lo vedrà ancora impegnato dal prossimo febbraio. “
I miei trionfi li devo anche a due donne straordinarie: a mia madre Nina, oggi 87enne, e a Silvia Baleani, mia moglie. Quando l’ho conosciuta a Bologna nel 1977, dove diressi il Signor Bruschino di Rossini, lei era già un grande soprano. Il ruolo del direttore oggi, non si riesce a capire bene, ma è determinante per l’armonia del gruppo e per l’interpretazione della partitura, che va eseguita, come suggerisce il compositore, o con la propria fantasia musicale, dando spazio alla singola genialità”. Da ventiquattro anni insegna direzione d’orchestra all’Accademia musicale pescarese, dove approdano giovani da tutto il mondo e con lui hanno studiato allievi del calibro di Gianandrea Noseda, Massimo Zanetti, Michele Mariotti e Antonella De Angelis.