Fuori la città frenetica e caotica. Dentro un grande murale a tempera frutto di un mese di lavoro, per un periodo condiviso con la vita frugale dei frati. La storia di Aligi Sassu e della sua opera custodita nella chiesa di Sant’Andrea a Pescara
testo di Elsa Betti, foto di Paolo Iammarrone
Padre Fiore ci accoglie nella chiesa di Sant’Andrea, oasi di quiete e ombra nel caldo pomeriggio pescarese. Lo spazio è ampio, la luce arriva dall’alto e diventa dorata nel tardo pomeriggio. Padre Fiore parla con la voce bassa mentre cammina adagio. Racconta delle decorazioni di Aligi Sassu e molti anni dopo di Gigino Falconi, del coraggio di aver scelto due personalità così forti per questi spazi, dei suoi timori per la conservazione dell’affresco realizzato da Sassu.
Quando parla di quest’ultimo i ricordi lo travolgono. “È passato tanto tempo – dice -. Ci sono anch’io lassù, di profilo… ma non mi riconosco, ero giovane”.
È davvero trascorso molto tempo da quando l’artista milanese arrivò a Pescara guidato dal suo gallerista Alfredo Paglione: non semplicemente un mercante che si occupava dell’opera di Sassu, ma amico e cognato prima di tutto.
Il gallerista è abruzzese e porta Sassu a visitare la chiesa di Sant’Andrea, moderno centro spirituale nel cuore della città di Pescara, lo presenta ai padri oblati di Maria Immacolata e al fratello, padre Fiore Paglione. Dopo poco tempo, il vescovo di Pescara, Monsignor Jannucci, e padre Giovanni Moretta degli Oblati commissionano a Sassu la decorazione della nuova cappella dedicata al Concilio Vaticano II; era il 1964 e il sinodo era ancora in corso nella vicina Roma.
Soggetto della decorazione è ovviamente il Concilio, che Sassu realizza in un mese, durante il quale alloggia con i frati, condividendo con loro una vita frugale e dedita al lavoro. Padre Fiore lo ricorda con affetto: “Era silenzioso e discreto nei suoi interventi, pronto a vivaci battute, dedicava le giornate al suo lavoro, spiritualmente unito ai padri nella maestosa Basilica Vaticana. A volte eravamo costretti ad andare a chiamarlo per farlo scendere dai cavalletti. Le ore di pausa dal lavoro le dedicava alla nostra biblioteca”.
Per gli ambienti ecclesiastici gli anni del Concilio erano anni di fermento: al clima di fiducia nei confronti di un futuro nuovo per la Chiesa, si accompagnava anche la paura di chi intravedeva un possibile stravolgimento; a Sassu il compito di documentare questo momento fondamentale.
La parete in legno della chiesa si interrompe, ed ecco apparire in una festa di bianchi, rossi, gialli ed ocre, la cappella in cui, su tre pareti, Sassu realizza un grande murale a tempera di 3,50 x 14 m. Nella parete centrale dipinge San Pietro tra Papa Giovanni XXIII, ideatore del Concilio, e Papa Paolo VI, suo successore; sulle pareti di destra e sinistra l’intera assise dei padri conciliari e dei cardinali.
La superficie è affollata di figure animate i cui sguardi si incrociano, si perdono verso il centro della chiesa, si rivolgono al visitatore. Visi realistici, vivi e attenti; occhi impauriti, severi, ma, nello stesso tempo, sereni e complici, proprio a voler testimoniare l’atmosfera in cui era immerso il sinodo. Ben 72 i ritratti delle figure più eminenti del Concilio, e tra questi Sassu inserisce se stesso e le fisionomie di diversi personaggi a lui vicini, come ad esempio il parroco della Chiesa di S. Andrea, Padre Giovanni Moretta, ed appunto Padre Fiore Paglione.
L’artista dipinge il Concilio Vaticano II regalando all’Abruzzo non solo un importante esempio di arte sacra contemporanea, ma anche un documento storico di grande attualità. Con la cappella del Concilio, Sassu può dedicarsi alla sua passione per la grande decorazione e adottare un modo di procedere che ritroviamo in tutta la sua pittura murale. Come nelle opere di Monteponi, Nughedu e Thiesi in Sardegna, l’artista si abbandona ad un realismo di matrice popolare, soffermandosi su ogni particolare, sui gesti e sulle espressioni dei cardinali, rivelando il gusto per lo studio delle fisionomie e sfruttando l’accorgimento di agganciarsi alla realtà più prossima all’osservatore, attraverso l’inserimento di volti noti del territorio e riconoscibili dai fedeli.
Sassu era convinto che il concetto stesso di pittura non potesse essere disgiunto da quello di comunicazione, amava l’idea di poter realizzare un’arte in grado di parlare a chiunque, ben radicata nella storia nazionale e soprattutto nella contemporaneità: in questi termini la pittura muralista di Sassu trova a Pescara un esempio fondamentale circa la possibilità di relazionarsi con i devoti che tutti i giorni avrebbero poi visitato Sant’Andrea.
Il soggetto del Concilio, scelto dai committenti, era ben noto al pittore che aveva realizzato una prima tela dedicata a questo tema nel ’42, intitolata Il Concilio di Trento. Nel 1941-42, il clima era quello opprimente della guerra, e Sassu intendeva denunciare il silenzio della Chiesa durante il Fascismo. Da questo momento in poi e ininterrottamente fino agli anni ’90, l’artista tornerà molte volte su questo tema, realizzando assemblee vescovili dai toni infiammati, i colori ricchi, in cui la fiducia nella Chiesa viene soffocata sotto un pesante strato di oro e porpora. Lo stile riflette la volontà di denuncia: le figure si disfano in un monocromatismo che come fuoco cancella la volontà descrittiva.
In un espressionismo pieno di emotività, Sassu, con l’abilità di un caricaturista, ci presenta in pochi tratti personaggi grotteschi, asfissiati dallo sfarzo delle loro stesse vesti e delle tiare appuntite e minacciose, ci catapulta nella sequela di rituali in cui la sacralità si muove tra fasto e mondanità.
Clima ben diverso si respira a Pescara: il Concilio era in atto, l’atmosfera era distesa e di grande aspettativa nei confronti dell’iniziativa del Papa che aveva aperto i lavori, auspicando un’apertura della Chiesa alla contemporaneità, agli uomini e alle chiese nel mondo, lanciando un vero e proprio messaggio di modernizzazione. Inoltre quel Concilio, diversamente dagli altri dipinti in precedenza, godeva di una visibilità senza precedenti, la televisione lo portava nelle case di tutto il pianeta. Sicuramente il rituale, le processioni composte di mitrie bianche, la folla che accoglieva il consesso e gli interni di San Pietro animati dalla candida schiera di alti prelati, doveva aver colpito molto la fantasia del pittore che fino al ’62 non aveva mai potuto assistere personalmente all’antica e pomposa cerimonia più volte riprodotta nelle sue tele. L’affresco di Pescara risente di quel clima, raffigura una riunione più serena, soffermandosi su un momento in cui si scorge l’umanità dei protagonisti che ci sono mostrati quasi in un break rubato alla rigidità del cerimoniale.
Anche qui i toni sono gli stessi utilizzati nelle opere precedenti: i bianchi degli abiti dei Vescovi e i rossi dei cardinali, ma sul muro della cappella essi sono smorzati, l’oro diventa giallo e il rosso non predomina sulle figure, anzi si sofferma sulle pieghe del tessuto, esalta ed incornicia i volti sui quali Sassu si concentra affettuosamente.
Gli occhi si sono abituati alla luce dorata, ai colori di Sassu, l’attenzione è rivolta alle parole di padre Fiore e quando usciamo dalla chiesa, trovarsi nel centro della città è un piccolo trauma. Allora il pensiero va a Sassu e alla sua permanenza con i frati, alla pace che respirava mentre dipingeva il suo affresco.