Presa d’assalto dai cinghiali, la coltivazione di uno dei prodotti agroalimentari abruzzesi d’eccellenza corre il rischio di estinguersi, con interi raccolti persi ed una produzione ridotta drasticamente del 50%. Il grido d’allarme è arrivato da Ettore Ciarrocca, presidente dell’associazione Produttori della lenticchia di Santo Stefano di Sessanio e referente del Presìdio Slow Food, che ha denunciato l’indifferenza totale di enti e istituzioni davanti al problema dei famelici ungulati, presenti a centinaia intorno ai campi di lenticchie, arrivati quest’anno anche nelle zone abitate del borgo aquilano.
Slow Food Abruzzo-Molise scende in campo a sostegno dei produttori di uno dei più vecchi presìdi regionali affinché il Parco del Gran Sasso e Monti della Laga e la Regione Abruzzo producano interventi drastici per salvaguardare la produzione di un legume dalla caratteristiche uniche.
«Non si tratta di una lenticchia qualsiasi ma di un biotipo preciso che si seleziona in questa zona da tempi immemori – dichiara Eliodoro D’Orazio, presidente Slow Food Abruzzo-Molise –. Basti pensare che le coltivazioni di legumi, e in particolare di lenticchie, in questa porzione dell’Aquilano sono già citate in documenti monastici dell’anno 998. Siamo in piena emergenza, con i produttori allo stremo e il rischio reale di perdere un prodotto importante e identificativo di questo territorio, con inevitabili ricadute sull’economia locale e il progressivo abbandono delle aree interne già in difficoltà. Parco del Gran Sasso-Monti della Laga e Regione Abruzzo devono fare qualcosa e anche in fretta».
Le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio si caratterizzano per essere piccole, saporite e di colore scuro. Per le loro ridotte dimensioni e l’estrema permeabilità, non hanno bisogno di alcun ammollo preliminare. Crescono oltre i mille metri di altitudine. Attorno al borgo mediceo hanno trovato un habitat ideale, fatto di inverni lunghi e rigidi – al termine dei quali, alla fine di marzo, avviene la semina – e di primavere brevi e fresche.