I colori accesi del verde e dell’azzurro, la maestosità delle montagne disegnano la cornice della sua struttura, adagiata dolcemente in equilibrio perfetto tra architettura, natura e spiritualità
Una maestosa e secolare quercia, ricovero sicuro di ricche nidiate in primavera, colpisce inevitabilmente chiunque si fermi, lungo la strada per Penne, a rivolgere una sua preghiera nella chiesa di Santa Maria D’Aragona, poco distante dal centro di Arsita. La pace, la tranquillità, il senso di grandezza che l’albero dispensa nell’osservarlo si collegano magnificamente alla semplicità architettonica e alla spiritualità che tale luogo sacro riesce ad emanare. Recentemente riaperta al culto dopo una fase di ristrutturazione voluta tenacemente dal parroco Don Arturo Fatibene, il turista, così come il fedele, sono subito accolti dalla facciata sulla quale si aprono due piccole finestre ad arcata, in basso ai lati dell’ingresso. Si può notare, però, come l’intera struttura, realizzata con mattoni a vista, venga ingentilita da un portico di epoca posteriore rispetto alla data di costruzione dell’edificio, probabilmente risalente al XV-XVI secolo. Il porticato, oltre che a fungere da riparo nelle giornate soleggiate, dona leggerezza architettonica a tutto l’insieme grazie soprattutto all’arcata centrale. Spingendoci con lo sguardo verso l’interno si è subito colpiti dalla navata unica con copertura a capriate e mattoni decorati da un rombo in rosso su fondo bianco, mentre è certamente gotico l’arco trionfale. Proseguendo a piccoli passi, ecco primeggiare sul pavimento una lastra di pietra con la croce, opportunamente collocata per indicare il vano dell’ossario. Ad impreziosire le pareti della Chiesa concorrono le tracce di un affresco a carattere popolare, sulla parete di destra, i cui resti donano ancor più il sapore di un tempo ormai lontano. Secondo gli storici potrebbe risalire al tardo quattrocento, ma l’assoluta mancanza di selezione stilistica rende impossibile indicare un’origine cronologica. È possibile, però, riconoscere una figura femminile velata, leggermente china mentre porge una mano sul ventre, quasi in senso materno, e l’altra sul petto. L’abito presenta un’apertura che dà visibilità alle maniche e ad una cintura, mentre a sinistra della testa si ravvisa uno scapolare. Ciò che non va dimenticato è che proprio da questa Chiesa proviene una bella terracotta dipinta abruzzese, realizzata nel 1531, ora conservata nella parrocchiale e raffigurante una Madonna in trono con il Bambino in grembo. Particolarità evidente è quella di esser costituita da mani snodabili e corpo mobile. Una caratteristica che la riconduce alla tipologia di produzione di Madonne di Silvestro dall’Aquila e alla corrente così detta di Nocella. Una sensazione di pace, infine, coinvolge il turista invitandolo a tornare.