Lo scenario incantevole delle montagne e la natura incontaminata custodiscono questo paese di remote origini, pronto ad ospitare chiunque ami l’arte, la tradizione popolare e la vita all’aria aperta
testo di Alessandra Angelucci
Sembra quasi udire lontane melodie medievaleggianti o sonorità armoniose che solo la poesia sa regalare, quando si attraversano le piccole strade dell’antico comune di Arsita e lo sguardo si perde nello scenario paesaggistico ed architettonico. Accarezzata dalle acque del fiume Fino ed abbracciata dalle vette rocciose degli Appennini, il paese, a quota 470 m, dona ai turisti una delle più belle e suggestive vedute della regione Abruzzo, nella distesa del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga: Monti Siella, Prena e Brancastello, Monte Camicia, Tramoggia e Monte Corno, fino alle rocce della minuta Pietracamela e dell’incantevole nevaio del Gravone: impossibile resistere al fascino dei tramonti e alle sfumature cristalline!
Le remote origini di questo suggestivo luogo, circondato da boschi e vivo nelle attività artigianali del ferro battuto e dell’intarsio, sono testimoniate dai reperti archeologici che nel 1886 vennero alla luce per raccontarci di attività umane nel territorio già in epoca pre-romana, dall’VIII al I secolo a.C. Proprio il ritrovamento di antiche monete romane dimostra che nei terreni dove attualmente sono situate Bisenti ed Arsita, un tempo, esisteva una grande città Vestina. Nel periodo italico, infatti, Arsita assunse il ruolo di terra di confine tra i Vestini ed i Pretuzi, tant’è che il nome del fiume che la costeggia (Fino) si farebbe derivare da in fluvio fine ossia “fiume di confine”.
Bacucco: così si chiamava originariamente questa località. Un nome che suscita ilarità nel pronunciarlo, se pensiamo che in parecchi dialetti della penisola questo termine significa “persona sciocca e di nessun conto”. Già presente nei documenti medievali, secondo l’etimologia più accreditata è legato all’abruzzese bacúcchë con cui i contadini indicavano una “casetta di paglia e argilla”, un “riparo di frasche” o una “capanna a piramide del pastore”. Secondo quanto sostenuto dalla tradizione, evidenti ragioni estetiche spinsero gli abitanti del luogo a richiedere all’Amministrazione di mutare il nome del paese. La popolazione, infatti, esposta a pubbliche derisioni, si vergognava di pronunciare la parola Bacucco al punto tale che un cittadino, chiamato in giudizio come testimone, affermò sotto giuramento di essere di Bisenti piuttosto che dichiararsi abitante di una bizzarra località così chiamata. Curiosa l’interpretazione etimologica che fornisce l’illustre Devoto, riconoscendo nella parola la risultante di due vocaboli medievali, “baco e cappuccio” ossia un copricapo a forma di verme o baco che ricorderebbe il profilo disegnato dalle case del paese nell’adagiarsi sul colle.
Nel Catalogus Baronum, però, il termine “Bacuc” compare in riferimento ad un dominio gestito nel 1173 da Oderisio di Bisenti, ma già a partire dal 1279, quando era Riccardo d’Acquaviva a rispondere di tale territorio, Bacucco fu amministrato da diverse signorie e casate fino al 1830, quando per effetto del regio decreto dell’11 gennaio, il Comune venne separato da quello di Bisenti, cui era stato precedentemente affidato. Solo nel 1905 un Decreto del re Vittorio Emanuele III accolse la domanda del Consiglio Comunale che trasformò la denominazione di Bacucco in quella di Arsita, termine molto probabilmente scelto perché sopravviveva già in Fiogliolarsita, località vicina. Un nome, comunque, di documentazione medievale, usuale nella zona di Atri e Penne, derivato da “arsus” ovvero “terreno bruciato”.
Cornice unica è senz’altro la natura: l’estensione dei boschi e la diversa altitudine consentono la vita di una fauna molto varia. I più appassionati potrebbero ricordare l’avvistamento dei camosci sul Monte Coppe o incontrare le tracce di bellissimi esemplari di lupo, mentre indimenticabili si presentano le passeggiate alle sorgenti del Fino o alle gole dell’Inferno Spaccato.
Volgendo lo sguardo al centro storico, esso ricorda nell’andamento strutturale la tipica disposizione di una roccaforte medievale anche se l’attuale abitato presenta un tessuto edilizio essenzialmente ottocentesco e moderno con rari edifici dalla muratura più antica. Le tracce della cinta che incasellava il borgo si ritrovano oggi nell’andamento ricurvo delle case esposte ad occidente, ma ancor più interessanti sono i resti di torri e ruderi di un antichissimo castello, detto Cima della Rocca. Un paese, dunque, dall’importanza storico-artistica e dall’ampio respiro spirituale se pensiamo anche alle diverse chiese che lo caratterizzano: quella parrocchiale dedicata a S.Vittoria, la cui facciata ottocentesca copre la precedente risalente al XVI sec. e al cui interno è conservata una scultura lignea di Cristo, di scuola napoletana, e la statua di S. Nicola, patrono di Arsita, festeggiato a Settembre; la chiesa della SS. Trinità in contrada S.Sebastiano, la cui cappella gentilizia settecentesca accoglie il visitatore con un portale ad ante lignee, dove bassorilievi raffiguranti angeli, mostri marini e simboli astrologici testimoniano la radicata cultura popolare di un tempo e, infine, la chiesa di S. Maria d’Aragona posta fuori dal paese, lungo la strada per Penne.