di Piergiorgio Greco
Monsignor Bruno Forte, il giorno del suo insediamento alla guida della diocesi di Chieti-Vasto, chiese scherzosamente al popolo convenuto: “È forse necessaria la traduzione?”. La risposta fu unanime: “Nooooo!”. Era superfluo spiegare ad un abruzzese il significato di quel proverbio napoletano “Se pò campà senza sapè pecché, ma non se pò campà senza sapè pecchì”. Oltre alla traduzione, tutti avevano forse solo intuito anche il senso profondo di quella sfida: vivere per qualcuno, prima ancora che vivere per qualcosa. Alla lunga storia della terra abruzzese la Provvidenza non ha negato la grazia di conoscere tanti uomini che hanno vissuto intensamente la vita per amore di qualcuno: Cristo. La Chiesa li chiama “santi” o, a seconda di alcune circostanze, più semplicemente “beati”: uomini riusciti che non hanno sprecato la loro esistenza, uomini che hanno amato Cristo più di ogni altra cosa, uomini che in forza di questo amore hanno servito il mondo. La Chiesa mette sull’altare questi uomini perché, da madre amorevole, è come se volesse dire a tutti: ecco, guardate loro, fate come loro e la vostra vita sarà piena, feconda, riuscita.
Attorno a tanti di questi uomini nel corso dei secoli sono sorti luoghi dove l’incontro con il Divino risulta come “facilitato”: santuari, chiese, monasteri, abbazie, eremi, edicole e cappelle, l’Abruzzo è costellato da mille segni sacri, che tratteggiano ancora oggi straordinari itinerari di fede dal fascino intenso, che solo una visione riduttiva e consumistica può declinare come “turisticii”.
Tesori d’Abruzzo dedica proprio a questi uomini e a questi luoghi, per carpirne il senso profondo e portarlo all’attenzione dei viandanti curiosi del terzo millennio. Se però i luoghi più facilmente parlano da soli, grazie all’imponenza di architetture e simboli millenari e in virtù di una pubblicistica abbondante, meno immediato è oggi l’“incontro” con i tanti santi e beati nostrani. E sono proprio tanti. Sin dalla diffusione del cristianesimo, nei quattro angoli della regione non sono mancati santi che talvolta si sono fatti conoscere fino agli estremi confini del mondo, e altre volte sono stati dimenticati dai loro stessi conterranei. Santi venerati in chiese maestose, e santi ricordati solo in un dipinto sbiadito in un altare nascosto. Santi dal nome quasi impronunciabile e arcaico, eppure vivi in qualcuno che di quel nome porta la memoria. Santi il cui ricordo si perde nella notte dei tempi, e santi che sfidano gli uomini di oggi. Pur nella naturale incompletezza di un articolo giornalistico – di cui si chiede preventivamente scusa – di questi uomini nati o vissuti in terra d’Abruzzo è bello far memoria, per suscitare curiosità in quanti desiderano incontrare il loro volto lungo i sentieri della vita.
Nel ricostruire dunque un possibile atlante storico-geografico, particolarmente arduo risulta individuare i santi dei primissimi secoli, quelli della diffusione del cristianesimo, quando la nostra terra fu tra le prime ad imbattersi nei seguaci di Gesù. Impresa resa ancora più difficile dal fatto che per almeno un millennio sono state le chiese locali e non quella universale a regolare il culto dei santi, al punto che la memoria di numerosi di questi difficilmente supera i confini del territorio comunale. Ad ogni modo, in origine santo era soprattutto sinonimo di martire. Durante la persecuzione dell’imperatore Decio, durata dal 249 al 251, perse la vita per amore di Cristo, San Massimo, nato ad Aveia (l’attuale Fossa, in provincia dell’Aquila) intorno al 228. Il santo è il patrono della città e della diocesi dell’Aquila, e le sue spoglie riposano nella cattedrale del capoluogo di regione. Sempre nell’Aquilano, precisamente a Trasacco, si consumò il martirio dei Santi Rufino e Cesidio, uccisi nel corso della persecuzione dell’imperatore Massimino (235-237): a loro è dedicata una chiesa dove si ritiene che potrebbero essere sepolti. Fino a non molti anni fa a Tornareccio, in provincia di Chieti, il 9 giugno veniva portato in processione il teschio di Sant’Annicola Vergine e Martire, che nei primi secoli subì un atroce martirio: fu fatta dilaniare dalle belve ad opera di feroci persecutori in una spelonca nei pressi del paese dove si era ritirata a pregare. La reliquia della santa è tuttora conservata nella chiesa parrocchiale di Santa Vittoria.
Con l’avanzare dei secoli, s’intensifica il numero e la conoscenza di santi e beati nostrani. L’Abruzzo, del resto, proprio nel medioevo ha dato “il meglio di sé”: la sua conformazione morfologica, infatti, ha favorito l’insediamento di un gran numero di monasteri e luoghi di culto rupestri ideali per la contemplazione e l’eremitaggio. Il tutto mentre cominciavano a strutturarsi le diocesi, guidate da figure di santi rimaste per sempre nella memoria popolare. Vescovi insigni, di cui si hanno pochissime notizie, furono nel VI secolo San Giustino di Chieti, le cui spoglie riposano nell’omonima cattedrale, e nel VII secolo San Panfilo di Sulmona, cui è dedicata la chiesa madre. Qualcosa in più si sa di San Berardo dei Marsi, sepolto nella cattedrale di Santa Maria delle Grazie a Pescina (Aq), dove il monaco benedettino in seguito divenuto vescovo di Avezzano era nato nel 1079. Quasi contemporaneamente, un altro Berardo segnava la storia della santità abruzzese: San Berardo vescovo di Teramo, patrono della diocesi, morto nel 1123. Il suo cranio e il suo braccio riposano nella cattedrale del capoluogo aprutino. Anche sua sorella è annoverata tra i santi: Santa Colomba (1100-1116), che si ritirò in eremitaggio alle pendici del monte Brancastello, nel massiccio del Gran Sasso, dove morì a soli sedici anni pregando e digiunando: qui è tuttora visibile una cappella a lei dedicata. Quasi in contemporanea, dall’altra parte della montagna si consumò la bella vicenda terrena di un altro eremita: San Franco da Assergi. Nato a Roio (Aq) tra il 1154 e il 1159, questo personaggio scelse di vivere in una stretta cella in una grotta tra le rocce, di digiuno e preghiera: ora i resti del suo corpo sono chiusi in un’urna nella chiesa di Santa Maria Assunta ad Assergi.
Il XIII secolo diede i natali a due grandi beati: Roberto da Salle e Angelo da Furci. Il primo (1273-1241), venuto al mondo nel piccolo centro del Pescarese, fu discepolo di Celestino V (1215-1296), santo non originario dell’Abruzzo ma la cui vicenda umana si svolse prevalentemente nella nostra regione (il suo corpo riposa nella basilica di Collemaggio a L’Aquila): di Pietro di Morrone, Roberto imitò l’umile scelta eremitica alle pendici della Maiella, ed ora riposa nella chiesa parrocchiale di Salle Vecchia. Angelo da Furci (1246-1327), religioso agostiniano, si è distinto come teologo e oratore soprattutto a Napoli, da dove all’inizio dell’800 le spoglie tornarono per essere accolte nella chiesa madre di Furci. Un secolo più tardi, la fama di San Giovanni da Capestrano (1386-1456) si diffuse presto in tutta Europa dove esortò i cristiani a combattere contro i musulmani alle porte. Del suo corpo si sono perse le tracce ma a lui è dedicato il bel convento a Capestrano. Dedito alla vita contemplativa, invece, fu il Beato Nicola da Forca Palena (1349-1449), fondatore dell’ordine degli eremiti di San Girolamo, di cui si conserva una reliquia nella chiesa parrocchiale di Palena. Riposa nella chiesa a lei dedicata a Goriano Sicoli (Aq), Santa Gemma (1375-1439) reclusa per la vita intera in una cella accanto alla chiesa, da dove poteva vedere soltanto l’altare. Sono diversi i beati abruzzesi del XV secolo, quasi tutti vissuti attorno a L’Aquila in un periodo di grande vigore spirituale per la predicazione di San Bernardino da Siena. Preghiera e contemplazione sono stati la cifra dell’esistenza terrena del Beato Timoteo da Monticchio, francescano, nato nei pressi di L’Aquila nel 1444 e morto a Ocre nel 1504, dove le sue spoglie riposano nel convento di Sant’Angelo insieme a quelle del Beato Ambrogio da Pizzoli, qui morto qualche anno prima, e del Beato Bernardino da Fossa (1421-1503), famoso in tutta la penisola italiana per i suoi sermoni. È tumulato nel convento di San Giuliano a L’Aquila, invece, il corpo del Beato Vincenzo da L’Aquila (1435-1504), di cui si ricorda, oltre all’umiltà, lo spirito di profezia, mentre nel monastero di Sant’Amico della stessa città riposa un’altra grande figura del periodo, che si ispirò proprio al Beato Vincenzo: la Beata Cristina Ciccarelli. Agostiniana nata a Lucoli (Aq) nel 1480, Cristina caratterizzò tutta la sua esistenza per la preghiera e l’amore ai poveri, fino alla sua morte che sopraggiunse nel 1543. E agostiniano era anche il Beato Andrea da Montereale, venuto al mondo nel 1402 a Mascioni, nei pressi dell’Aquila, e sepolto nella chiesa parrocchiale di Montereale: egli dedicò la sua vita alla predicazione in Italia e in Francia, guadagnandosi il titolo di “maestro in sacra teologia”. Nacque nel 1476 a Villamagna, in provincia di Chieti, il Beato Lorenzo: francescano, operò molti miracoli tra il paese natale e Ortona, dove morì nel 1535 e dove ora è sepolto nella cattedrale di San Tommaso. La spinta evangelizzatrice della Controriforma ha regalato all’Abruzzo un beato missionario, Rodolfo D’Acquaviva, e due grandi santi conosciuti in tutto il mondo, San Camillo de Lellis e San Francesco Caracciolo, fondatori di altrettanti ordini religiosi. Il Beato Rodolfo d’Acquaviva, gesuita nato ad Atri (Te) nel 1550 dalla nobile famiglia dei Duchi, fu ucciso insieme ad altri quattro confratelli in India nel 1583, dove si era recato per attività missionarie. San Camillo de Lellis, fondatore dei Ministri degli infermi e iniziatore della scienza infermieristica moderna, è nato nel 1550 a Bucchianico, in provincia Chieti, e morto a Roma nel 1612. Originario di Villa Santa Maria (Ch), dove è visibile la casa natale, San Francesco Caracciolo (1563-) è compatrono di Napoli e fondatore dei Chierici regolari minori, più conosciuti come padri caracciolini, che si contraddistinguono per un quarto voto, oltre a quelli di povertà, obbedienza e carità: non accettare alcuna dignità ecclesiastica. Un pregio che si aggiunge ad un “patronato” speciale: San Francesco è protettore dei cuochi. Anche se abruzzese non era, San Gabriele dell’Addolorata (1838-1862) è senz’altro uno dei nostri santi più amati, al punto da essere nominato patrono della nostra terra insieme a San Camillo. Chiudono il panorama dei santi e beati “moderni” abruzzesi il Beato Nunzio Sulprizio (1817-1836), nato in provincia di Pescara a Pescosansonesco (dove riposano le sue spoglie) e morto giovane sopportando grandi sofferenze nel fisico, indicato da papa Leone XIII come “modello per la gioventù operaia”, il martire San Cesidio Giacomantonio (1873-1900), nato a Fossa (Aq) e ucciso in Cina dalla setta dei Boxer, e la Serva di Dio Maria Ferrari (1824-1896), nata e vissuta a L’Aquila, dove fondò le Suore Zelatrici del Sacro Cuore di Gesù. I modelli di santità abruzzesi del XX secolo sono quasi tutti accomunati dalla giovane o giovanissima età. Aveva appena quindici anni Pasqualino Canzii quando il buon Dio lo chiamò a sé. Nato a Bisenti (Te) nel 1914, il seminarista morì nel 1930 a Penne: dal 1999 Pasqualino, che ora riposa nella chiesa di Santa Maria degli Angeli di Bisenti, è Servo di Dio, e la sua causa di canonizzazione è in dirittura d’arrivo. Di poco più grande fu il Servo di Dio Dino Zambra, nato a Chieti nel 1922 e morto a Lecce a soli 24 anni: di lui si ricorda la grande umiltà, lo spirito di carità e la cultura non usuale per una persona della sua età. Anche per Dino Zambra, le cui spoglie sono nella chiesa di Santa Maria Arabona a Manoppello (Pe), l’esito del processo di beatificazione è ormai imminente. “Voglio diventare santa, e grande santa” ripeteva a tutti la Serva di Dio Santina Campana, giovane laica nata ad Alfedena (Aq) nel 1929 e morta a soli 21 anni a Pescina, dove riposa nella chiesa di San Giuseppe. Per la Chiesa, don Gaetano Tantalo, nato a Villavallelonga (Aq) nel 1905 e morto a 42 anni, è già “venerabile”: sacerdote zelante e instancabile, durante la Seconda guerra mondiale non disdegnò di accogliere una famiglia di ebrei fuggita da Roma e di offrirsi come ostaggio volontario ai tedeschi intenti a fare una retata contro i partigiani. Il suo corpo ora è nella chiesa dei Santi Leucio e Nicola a Villavallelonga. Il processo di beatificazione del Servo di Dio Nicola d’Onofrio, nato a Villamagna (Ch) nel 1943 e morto a Roma a 21 anni, è iniziato nel 2000: come per i suoi “colleghi di santità”, l’esito non dovrebbe tardare molto a venire, visti i numerosi miracoli attribuiti alla sua intercessione. Nel frattempo, sono tanti i fedeli che pregano sulla sua tomba nel convento camilliano di Bucchianico. L’insigne giurista sulmontino Giuseppe Capograssi (1889-1956), infine, è stato uno dei sedici “testimoni” del ‘900 proposti all’attenzione dei partecipanti al convegno ecclesiale di Verona: di lui si ricordano le lezioni di filosofia del diritto accompagnate da una non comune fede e sensibilità.