testo e foto di Ivan Masciovecchio.
Archiviata con i consueti toni trionfalistici da tutto esaurito e da numeri più che positivi per la galassia Slow Food (+ 75% di nuovi soci rispetto al 2012, + 40% di vendite per la casa editrice, 220.000 passaggi totali nei cinque giorni d’apertura), anche questa decima edizione del Salone Internazionale del Gusto e Terra Madre lascia ora il campo alla classica domanda marzulliana da dopo evento, ovvero che Salone è stato. Soffermandosi esclusivamente sulla parte dedicata al Mercato Italiano, dislocato in sequenza da nord a sud all’interno dei tre padiglioni principali del Lingotto, l’evento ha messo in luce una serie di contraddizioni con le quali la stessa associazione braidese è chiamata ormai a confrontarsi quotidianamente, stretta da un lato da una mission che l’impegna nella tutela di produzioni buone, pulite e giuste, e dall’altro dall’esigenza di far quadrare comunque i conti di una macchina sempre più complessa ed esigente, che porta ad accettare più o meno obtorto collo il sostegno di multinazionali (che evidentemente non sono tutte da condannare) e banche come Intesa San Paolo, presente nell’elenco degli istituti di credito che contribuiscono al finanziamento di aziende produttrici di armamenti nucleari secondo il rapporto Don’t Bank on the Bomb del movimento mondiale no profit ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear weapons), come riportato anche da questo articolo di Repubblica on line. Contrapposizioni che lo stesso Carlo Petrini nel suo libro Cibo e Libertà (ed. Slow Food), parlando di un Perù paradigmatico, attribuisce a Mistura – la fiera gastronomica internazionale di Lima – scrivendo che l’incredibile successo di questo evento sta iniziando a rivelare anche non poche contraddizioni, poiché gli organizzatori usufruiscono tra gli sponsor di alcune multinazionali quantomeno “sospette”.
Succede quindi che nel gran bazar del gusto – tra centinaia di stand presi d’assalto da visitatori gourmet sempre più esigenti che pur carichi di buste e bustarelle confessano che preferirebbero una maggiore selezione delle aziende espositrici – è possibile leggere sulle etichette di un salume Presìdio Slow Food del Sud Italia, nonché di un noto produttore dell’Emilia Romagna, la presenza di conservanti (oltre al sale) E 250 (Nitrito di sodio), E 251 (Nitrato di sodio), E 252 (Nitrato di potassio); tutti legalmente autorizzati e monitorati periodicamente dall’EFSA (Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare) e di per sé non dannosi per la salute umana (i nitriti vengono inseriti per scongiurare il rischio del botulino), ma che – come indicato dal sito dell’AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) – sia a causa dell’azione del metabolismo sia attraverso la cottura, possono comunque andare incontro ad una serie di trasformazioni chimiche che li convertono in composti considerati cancerogeni. Quindi occhio sempre all’etichetta e moderazione nei consumi.
Spostandosi dalle parti dell’Oval, dove si sono concentrate emozioni e culture provenienti da ben 175 delegazioni in rappresentanza di ogni angolo del mondo e dove è stata allestita una suggestiva Arca del Gusto con oltre 1500 prodotti da salvare da una probabile estinzione, l’aria che si respirava era sicuramente più fresca e genuina. Tra una conferenza sui Pastori custodi – che ha visto la presenza degli allevatori abruzzesi Nunzio Marcelli e Gregorio Rotolo – ed un incontro sul land grabbing, anche qui però era possibile incappare in qualche brutta sorpresa, come la foto pubblicata a lato testimonia. Ripetiamo, tutto legittimo, ma quella lunga lista di additivi uno magari se l’aspetta da un Cacciatorino qualsiasi e non da piccole realtà artigianali inserite all’interno della rete di Terra Madre.
Venendo all’Abruzzo ed alla sua presenza a Torino, l’esiguità dello stand e la sua posizione tristemente confinata in fondo al padiglione 2, ci ha fatto tornare in mente la celebre sequenza di Ecce Bombo di Nanni Moretti, quando il suo alter ego Michele Apicella, indeciso se andare o meno ad una festa, chiede al telefono al suo interlocutore se lo si nota di più partecipando ma restando in disparte, magari vicino ad una finestra con fare malinconico, oppure non andandoci proprio. Al contrario del protagonista del film – che, per la cronaca, alla fine sceglie di restare a casa – evidentemente anche quest’anno si è ritenuto opportuno essere presenti, confidando comunque nella straordinaria vetrina offerta dalla kermesse torinese.
A giudicare dall’affluenza, soprattutto in occasione dei turni di pranzo e cena, la visibilità pare effettivamente non averne risentito. Ma, al di là della bontà della proposta enogastronomica offerta dagli chef nostrani, in una vetrina qualcosa deve pur essere esposto. E qui, ahimè, dobbiamo ripeterci rispetto a quanto già scritto in occasione del Vinitaly dello scorso aprile (leggi qui il nostro racconto). L’allestimento, infatti, è risultato tra i più anonimi di sempre, con lo spazio dei laboratori e delle degustazioni predisposto praticamente in un retrobottega privo di luce e senza uno straccio di immagine accattivante che esaltasse le bellezze del nostro territorio, dove non si è stati in grado nemmeno di assicurare l’audio alla presentazione del filmato realizzato dal regista Marco Chiarini sulle virtù teramane in programma sabato mattina.
Contrariamente a quanto riportato ex post dal più diffuso quotidiano abruzzese, inoltre, alla presentazione del libro Montepulciano d’Abruzzo. Un grande vino (ed. Slow Food) non si sono visti né Carlin Petrini – che ne ha scritto una preziosa prefazione nella quale si lascia andare ad un ricordo del suo primo viaggio in Abruzzo – né tantomeno l’assessore regionale all’Agricoltura Dino Pepe, pure annunciato in arrivo sebbene in ritardo di un’ora. In compenso tra il pubblico (e nei successivi giorni di Salone) si è potuta notare l’attiva presenza del già assessore Mauro Febbo, giustamente ringraziato dal segretario regionale Slow Food Abruzzo e Molise Raffaele Cavallo in quanto amministratore in carica nel periodo in cui l’opera è stata ideata. Seconda monografia realizzata da Slow Food dopo quella dedicata al territorio piemontese delle Langhe, il libro è stato pensato nell’ambito della campagna di promozione del vitigno principe d’Abruzzo e finanziato con fondi europei legati al Piano di Sviluppo Rurale 2007-2013 in scadenza di settennato.
Qualche inesattezza di troppo (il Pecorino di Farindola non è più Presìdio già da qualche anno, l’immagine della Mortadella di Campotosto inserita tra i salumi frentani…) e soprattutto una resa grafica di gran parte delle immagini decisamente imbarazzante, non compromettono comunque la bontà di un’opera apprezzata pure da Tinto (della premiata coppia Fede & Tinto del programma Decanter di Radio2), presente all’incontro insieme a Niko Romito il quale, va detto, nei giorni della manifestazione ha rasentato l’ubiquità illustrando alla stampa in compagnia di Oscar Farinetti la prossima apertura del ristorante laboratorio Spazio nei locali di Eataly Roma, conducendo una lezione di cucina sulla cottura delle carni, presentando le prime bottiglie di Pecorino Igp Terre Aquilane 2013 Feudo Antico per Casadonna, seguendo i propri ragazzi della scuola di formazione durante un turno di pranzo al ristorante dello stand Abruzzo, presenziando (anche in video) lo stand di un noto pastificio suo partner nel progetto Unforketable. E chissà cos’altro ci siamo persi.
Girando in lungo e in largo i tre padiglioni destinati al Mercato Italiano – le immagini sono lì a dimostrarlo – il confronto con le altre regioni è apparso davvero impietoso, Calabria e Lazio docent. Se il ristorante dell’Emilia Romagna ha proposto tovagliette di carta con l’immagine della regione e la dislocazione geografica dei suoi prodotti Dop e Igp, noi abbiamo risposto con un elegantissimo ed anonimo tovagliato di stoffa, altroché carta! A fronte di un’offerta di weekend golosi da trascorrere sempre sulla via Emilia, l’Abruzzo non prevedeva neanche una mappa stradale o cartina geografica. Al Friuli Venezia Giulia, alla Sardegna, alle Marche che hanno occupato diversi metri dei rispettivi banconi con dvd ed altri materiali promozionali adatti ad ogni esigenza (mare, montagna, camper, bicicletta, natura, borghi), la nostra regione ha replicato con qualche rivista vecchia di due-tre anni e pochissimo altro.
Alla Liguria che ha presentato in conferenza stampa l’edizione 2015 di Slow Fish in programma a Genova dal 14 al 17 maggio, noi che sulla Costa dei Trabocchi a luglio avremo un nuovo appuntamento con Cala Lenta – una delle manifestazioni più importanti che Slow Food organizza nel Sud d’Italia – non abbiamo pensato di stampare neanche un flyer, non dico già con le date, ma nemmeno con un’indicazione generica, hai visto mai che qualcuno riuscisse poi ad organizzarsi per tempo mettendo in calendario una vacanza in Abruzzo? Anzi, per scongiurare il pericolo del tutto, abbiamo pensato bene di non prevedere nessun laboratorio del gusto sulla nostra tradizione marinara, concentrandoci esclusivamente sui sapori di terra. E come mai la Lombardia è riuscita a presentare materiale pubblicitario relativo ad itinerari turistici in treno attorno al lago d’Iseo includendo già offerte per il prossimo Capodanno, mentre con la nostra gloriosa Transiberiana d’Italia, inserita anch’essa dalla Fondazione FS Italiane nel novero dei treni storici, non si riesce a fare altrettanto? In sostanza, perché in Abruzzo la parola programmazione – con l’Expo ormai dietro l’angolo – risulta praticamente sconosciuta tanto nel settore pubblico quanto in quello privato? Va bene quindi essere presenti a questo genere di eventi, ma per fare cosa? La spesa vale davvero l’impresa?
Ci piacerebbe molto che su questo si aprisse una discussione in cui fossero coinvolti politici e amministratori, operatori turistici e ristoratori, soggetti pubblici e privati, slowfoodisti della prima e dell’ultima ora. Chissà, magari, un giorno. E invece, poiché dove c’è (Salone del) gusto non c’è perdenza, già si legge e sempre più si leggerà nei prossimi giorni del solito grande successo dell’Abruzzo, delle liste d’attesa per ristoranti e laboratori, della folla che ha preso d’assalto i produttori, dello Zafferano dell’Aquila esaurito in due giorni, dei complimenti del direttore della Stampa Mario Calabresi e dell’apprezzamento dell’ex ministro Cécile Kyenge. Tutti felici, tutti soddisfatti, dunque. Per carità, tutto vero e anche questo documentato, ma qui dobbiamo capire se davvero questa regione desidera ed è in grado di esplorare i margini di questa profondità, come cantato dai sempre grandi Yo Yo Mundi nello spettacolo conclusivo di domenica sera Terra Madre: sorella acqua, fratello seme, scritto in collaborazione con Cinzia Scaffidi del Centro Studi Slow Food, oppure se vuole continuare a galleggiare in superficie ritenendosi soddisfatta della bontà e del successo dei propri arrosticini.
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