Fatti, non più soltanto parole. In occasione della Giornata mondiale della biodiversità prevista per il prossimo sabato 22 maggio, l’associazione Slow Food dichiara che è giunta l’ora di agire concretamente, presentando un proprio documento di posizione intitolato “Se la biodiversità vive, vive il pianeta”.
Parlare di biodiversità, infatti, significa parlare di vita: non soltanto dell’uomo, ma di tutte le specie animali e le varietà vegetali esistenti al mondo. Dagli alberi secolari ai grandi mammiferi fino ai funghi, ai batteri ed ai lieviti che abitano il suolo, tutti – ed in modo correlato – contribuiscono ad assicurare la prosecuzione dell’esistenza sul nostro pianeta. Eppure le azioni per difendere la biodiversità continuano a non essere sufficienti, in Italia come ovunque nel mondo. «Anzi – dichiara Serena Milano, segretaria generale della Fondazione Slow Food per la Biodiversità – stiamo assistendo ad un attacco continuo nella inutile rincorsa a produrre di più nell’immediato, senza tener conto dell’ambiente, della terra, della crisi climatica. Tante parole e nessun cambio di rotta».
La biodiversità ha tante facce e quella di cui si occupa Slow Food ha a che fare con il cibo che mangiamo tutti i giorni. La buona notizia è che tutti possono impegnarsi per la sua salvaguardia, scegliendo di acquistare e consumare – o, perché no, produrre – alimenti che la valorizzino. La buona volontà individuale, però, non basta; occorre anche una politica forte, capace di intervenire nel presente con la consapevolezza del futuro che ci attende. Un aiuto concreto sarebbe potuto arrivare dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) presentato a fine aprile dal governo italiano all’interno del quale una delle sei missioni riguarda la “rivoluzione verde e transizione ecologica”.
Secondo Slow Food, però, il PNRR non affronta alla radice le cause delle crisi che stiamo vivendo, né promuove la transizione ecologica, ma si limita ad essere un piano di ammodernamento del paese, per lo più seguendo un modello di sviluppo la cui insostenibilità è ormai evidente. Nel documento, il termine biodiversità ritorna 25 volte ed a più riprese se ne evoca la tutela; eppure dal testo sembra trasparire la mancanza di una visione veramente ecologica. Emblematica da questo punto di vista l’assenza di richiami all’agroecologia, «l’unica pratica agricola che può rigenerare la terra e l’ambiente circostante» come sottolinea Francesco Sottile, membro del Comitato esecutivo di Slow Food Italia. Perché solo imboccando questa via, abbandonando quindi l’approccio intensivo alla produzione alimentare e salvaguardando la biodiversità degli ecosistemi, si potrà realizzare la tanto auspicata transizione ecologica.
Tornando al cibo ad a ciò che mettiamo nel piatto, relativamente alla biodiversità coltivata, sempre a parere dell’associazione braidese il 75% delle colture agrarie presenti a inizio ’900 è ormai perso e tre specie – mais, riso, grano – oggi forniscono il 60% delle calorie necessarie alla popolazione del globo. Il 63% del mercato dei semi è nelle mani di quattro multinazionali che ne possiedono anche i brevetti; si tratta delle stesse società che detengono la proprietà degli OGM e sono leader nella produzione di fertilizzanti, pesticidi e diserbanti. Può stupire, visto che il mercato globale è dominato da 4 varietà commerciali, ma nel mondo esistono 5.000 varietà locali di patate. E le banane? Su 500 varietà, sul mercato ne troviamo soltanto una, la Cavendish. Conservare un’ampia variabilità genetica è indispensabile per mantenere un sistema agricolo resiliente in grado di sfamare il pianeta, facendo fronte ai cambiamenti climatici, alle malattie ed alla futura carenza di risorse naturali.
Oppure pensiamo alle razze animali dove più di una su cinque (il 26% delle 8.803 razze registrate a livello globale) è a rischio di estinzione. Questo perché l’agroindustria punta su poche razze commerciali selezionate per le altissime rese di latte o i tempi rapidi di crescita (e dunque di produzione di carne), allevate in modo intensivo senza accesso a spazi aperti, trattate con antibiotici (e fuori dall’Europa anche con ormoni), alimentate con mangimi ottenuti da coltivazioni geneticamente modificate e trasportate su lunghe distanze. Un modello insostenibile che, oltre a causare sofferenze agli animali, ha portato la zootecnia a produrre il 14,5% di emissioni di gas a effetto serra ed a contribuire in maniera pesantissima alla deforestazione.
Gli esempi sono infiniti. Si potrebbe parlare di come la biodiversità ci circondi anche quando non ce ne accorgiamo. È il caso di prodotti come pane, caffè, formaggio, vino e birra, tutti cibi fermentati grazie a funghi, lieviti e batteri che si trovano nel suolo, nei pascoli e negli ambienti di produzione. Oppure della biodiversità che ci viene regalata dagli insetti impollinatori: il 40% della produzione agricola dipende da api, vespe, farfalle, falene, coleotteri e formiche. «La biodiversità è ovunque e proteggerla attraverso l’agroecologia è l’unica soluzione che abbiamo per preservare il pianeta. Questo è il messaggio che Slow Food porterà alla quindicesima riunione della Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica (COP 15) a ottobre, dove verrà adottato un nuovo Quadro Globale per la biodiversità post-2020», conclude Serena Milano.
E per dare ancora maggior forza al proprio messaggio, l’associazione fondata da Carlo Petrini nel 1986 si impegnerà ad incrementare gran parte dei suoi numerosi progetti attivando entro la prossima edizione di Terra Madre Salone del Gusto 40 nuovi Presìdi Slow Food (attualmente sono 617 in 79 Paesi nel mondo), 400 nuovi prodotti sull’Arca del Gusto (5501 in 150 Paesi), 30 nuovi Mercati della Terra (74 in 28 Paesi) e 300 nuovi cuochi nell’Alleanza Slow Food dei Cuochi (1034 cuochi in 26 Paesi).