Uscita pressoché indenne dai danneggiamenti del sisma del 6 aprile 2009, rimane ancora oggi a testimonianza della grandezza di un ordine, quello dei monaci benedettini e della forza di un popolo, come quello abruzzese, capace, con la propria caparbietà di fronteggiarsi non solo con le più alte istituzioni della storia, ma anche con le più violente forze della natura
di Francesca Larcinese, foto Giovanni Lattanzi
Affidandoci alla puntigliosa indagine storica dell’Antinori apprendiamo, che un monastero, in Mamenacus, antico nome di Bominaco – fra i borghi più suggestivi della piana di Navelli -esisteva certamente già nell’anno 1001 quando ricevette una donazione da parte di Oderisio, conte di Valva. Ma la storia del monastero con la sua abbazia ed il piccolo oratorio è una storia che oggi definiremmo ”tormentata”: divenuta dipendenza dell’abbazia di Farfa, al principio dell’XI secolo, già nel 1093 il monastero venne donato al capitolo di San Pelino e al vescovo di Valva: i monaci tuttavia non vollero mai soggiacere a tale decisione al punto che la definitiva sottomissione al vescovo valvense avvenne soltanto nel 1342. Di lì a poco il monastero venne assegnato da papa Martino V alla diocesi dell’Aquila, cosicché, quando il condottiero Braccio da Montone iniziò nel 1426 la propria guerra contro la città dell’Aquila, anche Bominaco ed il suo cenobio ne rimasero coinvolti, risultandone fortemente danneggiati. La vita del monastero proseguì ancora per tutto il XV secolo, ma l’assoggettamento diretto alla Santa Sede voluto nel 1456 da papa Callisto III diede ai monaci l’impulso all’abbandono del cenobio che così si estinse nel suo aspetto di complesso monastico, proseguendo invece la propria esistenza come semplice parrocchia. Nonostante la fierezza dei monaci e la resistenza alle decisioni pontificie, essi trassero taluni benefici dall’appartenenza alla diocesi di Valva, che fornì loro, già sul finire dell’XI secolo, i fondi necessari per la costruzione di un grande edificio ecclesiale, la chiesa di Santa Maria Assunta: esso costituì il perno del monastero, eretto alla sua destra, di cui oggi non rimangono che scarse tracce delle mura.
L’edificio è diviso in tre navate da colonne su cui ricadono archi a tutto sesto, sul fondo della chiesa si aprono le tre absidi semicircolari, ciascuna preceduta dal cosiddetto “arco trionfale”, un ampio arco che introduce allo spazio del presbiterio che precede la vera e propria “conca absidale”, ossia lo spazio di forma semicircolare in cui termina ciascuna navata.
La navata centrale, più ampia delle due laterali, costituisce un lungo nastro su cui, dall’ingresso all’abside, sono stati collocati gli elementi più rilevanti dell’arredo scultoreo della chiesa: il portale con l’archivolto decorato quasi a sbalzo con un grifo e motivi fitomorfici; l’ambone a base rettangolare; il cero pasquale portato sul dorso da un leone; il ciborio che sovrasta l’altare con la sua copertura a base ottagonale; la cattedra ed infine l’esterno dell’abside stessa su cui è stato squadernato un elegante repertorio di foglie, fiori, viti ad incorniciare le finestre che le danno luce.
Oggi il visitatore ha la possibilità di vedere la chiesa nel nitore proprio dell’architettura romanica: un restauro, condotto fra il 1932 ed il 1934, si concluse con lo smontaggio degli stucchi barocchi che erano stati giustapposti al suo interno nel corso del XVIII secolo, e dunque con una completa obliterazione della storia dell’edificio, passante anche attraverso l’aggiornamento alle forme barocche.