Foto: Giancarlo Malandra Testi: Roberta Bellantuono
C’era una volta un peschereccio in partenza verso il mare aperto nel pomeriggio di un giorno qualunque, con a bordo degli uomini addestrati alla fatica e alla rinuncia, ‘con un solco lungo il viso come una specie di sorriso’ per citare De André, che di questi volti ne aveva fatto uno stato d’animo interiore.
Giancarlo è con loro, ha chiesto al mare di poter partecipare alla pesca con la lampara e lui gli ha risposto inviandogli un armatore disposto a farlo salire sul suo peschereccio e dei marinai pronti ad accoglierlo. Il segreto del viaggio nel buio della sera e poi nella notte fonda alla ricerca di sardine e alici, le uniche ammagliate dall’accecante bagliore della lampara, è racchiuso negli scatti della fedele macchina fotografica, un terzo occhio meno soggettivo ma più onnicomprensivo, forse persino dei sentimenti, impressi nel gioco di luci e ombre.
Si scelgono rigorosamente notti senza luna piena, per essere i soli a dominare la luce e a catturare l’attenzione degli esserini che popolano la superficie del mare: la lampara è composta da lampadine del tutto particolari, inconoscibili per grandezza e potenza, che, appena sprigionata la sua luce, produce un banco, come una palla di pesci, che si raggruppano attratti. E proprio lì, senza apparente sforzo, i marinai, scesi con scialuppe bianche e silenziose in mare, tirano su le reti e con queste, loro, il bottino di pesce che le acque tranquille consegnano.
Un mare poco fondo, quasi un grande lago, l’Adriatico, lontano dall’irruento e spaventoso mare del Nord, di quello dalla Bretagna in su, così fedelmente amato e immortalato da Jean Gaumy, fotografo francese dell’agenzia Magnum, che ha racchiuso nel suo libro ‘Mare Aperto’, le immagini più suggestive della pesca, in quelle acque così agitate. Lo stesso libro trovato da Giancarlo Malandra in un fortunato incontro casuale in libreria e che ha colpito da subito la sua immaginazione: quei pescherecci a ponte aperto raccontati in 14 anni di lavoro sono stati un colpo di fulmine difficile da dimenticare, fonte d’ispirazione e creazione, la stessa impressa in questo reportage fotografico.
Ciò che non può essere impresso, riesce, invece, a essere suggerito, soprattutto lì dove il nero vince su tutto, i contorni si perdono anche dentro a un silenzio immaginato, ai gabbiani sempre presenti di notte e di giorno e al rumore assordante del motore che si riesce, dopo poco, a escludere dalla sfera sonora. Alcuni volti, immersi nel buio della notte e della fatica, sono di migranti, raccontano di storie di mare, di lotta, di cammino e di dolore: gli stessi che intraprendono questo lavoro faticoso, ormai per pochi, per i pochi che si tramandano come un testamento il dna del mare e che ne conoscono gioie e dolori.
Il sogno di Giancarlo di raccontare la pesca e di farlo attraverso la frontiera inesplorata del mare aperto nella notte, culmina quando la sensibilità dell’occhio umano s’incrocia con la sfrontatezza della natura, che piega chi cerca di mangiare con essa.
“Pensava sempre al mare come a la mar, come lo chiamano in spagnolo quando lo amano. A volte coloro che l’amano ne parlano male, ma sempre come se parlassero di una donna”, come per Ernest Hemingway ne ‘Il vecchio e il mare’, potrebbe essere per i marinai, lontani dalle loro famiglie, in un lavoro che si ama e si odia alla stessa misura, come una donna, troppo esigente, eppure bellissima.