testo e foto di Ivan Masciovecchio.
Non avrà la nobiltà di uno Chardonnay o di un Sauvignon e neanche l’attuale appeal di un Pecorino; non avrà nemmeno l’intensità e l’aromaticità di un Riesling o di un Gewürztraminer; eppure il vitigno più bistrattato d’Italia alla prova dei fatti è capace di produrre bianchi emotivi ed energici, protagonisti di una tenuta eccezionale e di un’evoluzione sorprendente, come scrive il giornalista Sandro Sangiorgi nell’introduzione del libro Manteniamoci giovani. Vita e vino di Emidio Pepe (ed. Porthos), recentemente presentato in anteprima presso lo stand Abruzzo del Vinitaly (leggi qui per saperne di più).
Stiamo parlando del Trebbiano d’Abruzzo, ospitato qualche sera fa a Roma nei nuovi spazi dello storico ristorante Amando al Pantheon e protagonista assoluto di una degustazione condotta dal critico del Gambero Rosso Alessandro Bocchetti in compagnia del vice curatore della guida vini dell’Espresso Giampaolo Gravina, comprendente una selezione di otto differenti bottiglie di altrettanti produttori, alla quale ha fatto seguito una cena a base di piatti classici della cucina romana come bruschetta alla vignarola, fagioli del purgatorio con aringa e cipolla rossa, rigatoni all’amatriciana.
Vini non omologati tra loro, rappresentativi delle diverse sfumature del paesaggio abruzzese, ma tutti uniti da una caratteristica comune, ovvero quella tipica nota di tostato che nel tempo abbiamo colpevolmente dimenticato (al contrario dei francesi che invece l’hanno esaltata nei vini di Borgogna, decretandone così la loro fortuna), spesso scambiandola per inesistenti quanto inopportuni passaggi in legno. Oltre naturalmente ad una semplicità ed una facilità di beva che rappresentano sicuramente l’aspetto più divertente della sua anima genuina.
Suddivisa in due batterie da quattro assaggi ciascuna e partendo dai vini più vecchi per giungere progressivamente ai più giovani, la degustazione – affrontata con approccio sufficientemente informale – si è aperta con il Trebbiano Emidio Pepe 2009, un vino ancora in splendida forma caratterizzato da toni agrumati, acidità netta e da un finale iodato che rimanda direttamente nelle acque del mare Adriatico. E’ stata la stessa Sofia Pepe, figlia di Emidio, a raccontarne la filosofia di lavorazione. «Abbiamo cominciato a produrre Trebbiano nel 1964; la vinificazione è fatta tutta senza l’ausilio di macchine. I grappoli, raccolti a mano, vengono messi in una vasca di legno di 3,5 quintali e qui pigiati con i piedi (utilizzando stivali di gomma) da quattro persone. La fermentazione avviene naturalmente in piccole vasche di cemento da 22-25 ettolitri, senza il controllo della temperatura. Il vino quindi fa il suo percorso senza che nessuno interferisca nella sua evoluzione. Resta lì due anni in modo che abbia il tempo di decantare; dopodiché, senza essere filtrato o chiarificato, una parte va in bottiglia e, se l’annata lo consente, un’altra va in riserva. Lasciamo il deposito perché è lì che si concentra la vita e noi vogliamo che i nostri vini si mantengano vivi e giovani il più a lungo possibile».
Si è proseguito poi con il Trebbiano Valle Reale Vigneto di Popoli 2011, il primo vino con il quale circa cinque anni fa l’azienda ha avviato la conversione (oggi conclusa) di tutta la produzione verso una vinificazione più naturale e tradizionale, basata sul metodo della fermentazione spontanea. Proveniente da un terreno meno grasso, più sassoso, sferzato da aria fresca e segnato da grandi escursioni termiche tra il giorno e la notte, il vino è risultato molto profumato, con note di zagara e camomilla, privo in bocca di toni salmastri; morbido, disponibile e molto apprezzato anche durante la cena, in abbinamento ai piatti previsti dal menu.
Con il trebbiano Valentini 2011 si è entrati di diritto nella storia trattandosi di uno dei pochi grandi vini bianchi d’Italia secondo le parole dello stesso Bocchetti. Un vino con una immediatezza di beva straordinaria, che cala che è una meraviglia, caratterizzato dalla classica nota fermentativa dovuta alla presenza di anidride carbonica, fedele a ciò che amava dire il compianto Edoardo Valentini – di cui tra qualche settimana ricorrerà l’ottavo anno della sua scomparsa – «quando i miei vini smetteranno di avere carbonica non beveteli più perché vuol dire che saranno morti». Un vino luminoso, solare, piacevolissimo, che sembra dire divertiamoci assieme.
Proseguendo negli assaggi, da segnalare nella seconda batteria il Trebbiano Bianchi grilli per la testa 2012, primo vino non filtrato dell’azienda Torre dei Beati di Loreto Aprutino (PE) insieme al Pecorino che porta lo stesso nome, prodotto utilizzando esclusivamente lieviti autoctoni; nonché l’Anfora 2012 dell’azienda agricola Cirelli di Atri (TE) raccontato direttamente dal produttore Francesco Cirelli. «Dopo essermi laureato in economia e commercio ho capito che non era quello il mio percorso; così nel 2003 ho cominciato a dedicarmi all’agricoltura allevando oche e coltivando vigne, fichi, aglio, grano. Nel 2008 ho cominciato le prime sperimentazioni sul vino. Ho scelto di fare questo lavoro proprio per cercare di trasmettere ed esprimere le mie emozioni attraverso l’artigianalità. L’anfora è solo un mezzo non il fine; l’ho scelta soprattutto perché la terracotta permette una migliore ossigenazione senza subire l’influenza del contenitore e poi perché in avvio di attività ho cercato di trovare una mia chiave di lettura che interpretasse in maniera diversa sia il territorio abruzzese che il vitigno stesso».
La lista dei vini in degustazione si è chiusa con i trebbiani Mario’s 40 della Tenuta Terraviva di Tortoreto (TE), dove il numero riportato in etichetta – che cambia ogni anno – indica l’età della vigna; Fonte Canale 2012 dell’azienda Tiberio di Cugnoli (PE), che da vino nato prevalentemente per soddisfare gli amici si è trasformato in una vera e propria linea produttiva comprendente Pecorino e, prossimamente, anche Montepulciano; Nativae 2013 della Tenuta Ulisse di Crecchio (CH), azienda in piena conversione verso una vinificazione a fermentazione spontanea.
Serata dell’orgoglio Trebbiano e abruzzese, dunque, quella romana, segnata da un clima informale e conviviale davvero piacevole ed immersa in quella grande bellezza che solo la città eterna è in grado di regalare, con la maestosità del Pantheon a due passi a ricordarci dell’immortalità degli dèi; e con l’Albergo del Sole (e l’ormai tristemente nota camera 114…) lì di fianco, invece, a memento della fallibilità degli uomini.