Nel Cinquecento queste erano terre del viceregno di Napoli e si parlava spagnolo. A difesa della costa e dei suoi abitanti, terrorizzati dalle incursioni dei turchi, venne eretto un sisterma di torri di avvistamento.
Oggi sede di laboratori marini, associazioni e dipartimenti della Marina militare
di Sandro Galantini e Clara Verazzo, foto Luciano D’Angelo
Martinsicuro, l’occhio confinario
“Per la incolumità dei probi e la punizione dei malvagi”. Questo era scritto nella lapide ancora incastonata sulla facciata della torre cinquecentesca di Martinsicuro, che vigilava sui confini del Regno e guardava il mare per arginare le scorrerie dei turchi
La volle il viceré Alvarez di Toledo, in nome dell’imperatore Carlo V, vicino al confine tra il Regno di Napoli e lo Stato della Chiesa, allora rappresentato dal fiume Tronto, come posto doganale e per reprimere il contrabbando. A sovrintendere alla costruzione della torre, nel 1547, fu un nobile spagnolo, il presidente della Regia Camera e maestro portulano d’Abruzzo Martin da Segura, che avrebbe dato il suo nome prima alla torre e poi all’attuale Martinsicuro.
L’imponente struttura, completata nel 1557 ed originariamente difesa da un recinto quadrangolare, oggi distrutto, circa un decennio dopo sarebbe stata inserita nel sistema difensivo costiero dell’Abruzzo costituto dalle torri d’avvistamento. Queste, volute nel 1563 dal vicerè Pedro Parafan de Ribera in alcuni punti nevralgici del litorale, sarebbero state realizzate alla fine del 1568, e iniziando dalla struttura di Martinsicuro (Te), avrebbero assolto al loro compito di segnalare il naviglio barbaresco tramite segnali luminosi o sonori essendo posizionate a pochi chilometri le une dalle altre. Poi, esaurita la loro funzione, a Martinsicuro in parte ancora assolta nel 1797 con la presenza di soldati deputati alla repressione del contrabbando e di un ufficiale della Dogana regia, il lento e mesto declino, il degrado, in taluni casi la totale distruzione.
Quindi, il 30 dicembre 1866, un regio decreto con il quale si sottraevano le superstiti e malridotte torri al demanio militare disponendosi la loro vendita ai privati. Stessa sorte toccò ovviamente anche alla torre di Martinsicuro, che fu acquistata dalla famiglia Pilotti di
Sant’ Omero e trasformata in frantoio per le olive, quindi ceduta al martinsicurese Antonio Nepa e da questi all’ortofrutta Marchigiana.
In seguito ci furono altri passaggi di proprietà fino a quando, con scelta assai provvida, il consiglio comunale di Martinsicuro deliberò all’unanimità, nella seduta del 29 ottobre 1980, di acquisire il complesso insieme con il terreno circostante e l’attigua ex casa doganale con lo scopo di farne un centro turistico-culturale a valenza regionale.
I restauri, effettuati con tecniche aggiornate e riguardanti anche l’ex casa doganale, hanno consentito il rifacimento del tetto, che è a due falde, la rifinitura e pulizia esterna della torre, il rinforzo delle volte e la ricucitura della muratura, utilizzando peraltro una particolare calce idraulica. E così oggi è possibile ammirare, in tutta la sua imponenza, l’affascinante torre, che si presenta a forma di parallelepipedo, con base a scarpa, cordoli marcapiano in travertino e con i beccatelli, dodici e tredici per lato, del coronamento a sporgere. Bellissima, poi, l’edicola della facciata principale che racchiude, tra due colonne con capitelli, le insegne araldiche di Carlo V. Alla base delle colonne i resti di una lastra sulla quale, un tempo, poteva ancora leggersi l’iscrizione, oggi mutila: “Carlo V Imperatore Romano anno del Signore 1557. Per la incolumità dei probi e la punizione dei malvagi l’Ill.mo Sig. Pedro De Toledo Viceré e Capitano Generale incaricò Martino De Segura magnifico autore che fosse eretta e custodita”.
(s.g.)
Alba Adriatica, a difesa della costa
La “Torre della Vibrata”, nell’attuale territorio di Alba Adriatica (Te), fu realizzata nella seconda metà del XVI secolo e faceva parte del complesso sistema difensivo delle coste durante il viceregno
La torre era in comunicazione visiva con la quella di Martinsicuro verso nord e la torre del Salinello a sud. A causa dell’aumento delle incursioni durante tutto il Cinquecento, il vicerè di Napoli don Pedro di Toledo ordinò di costruire di una serie di torri costiere di avvistamento nei pressi dei porti e dei fiumi. I lavori iniziarono nel 1570 sotto il vicerè don Parafan de Ribera duca d’Alcalà, ma già nel 1598 si rendevano necessarie delle manutenzioni al tetto, alla garitta e al deposito di munizioni. Queste notizie ci giungono dalla relazione redatta dal marchese di Celenza Carlo Gambacorta, incaricato dalla Corte di documentare lo stato dei manufatti architettonici del programma difensivo. La relazione, accompagnata da schizzi dettagliati e note sullo stato sia dei luoghi che delle fabbriche, documentava che i militi addetti alla guardia nelle torri, si allontanavano spesso per svolgere altri lavori più redditizi e nemmeno gli uomini preposti alle perlustrazioni notturne adempivano al loro compito, in quanto utilizzavano i propri cavalli, già provati dalla fatica del lavoro nei campi, che non potevano esser montati troppo a lungo. Per questi motivi, il marchese proponeva di affidare ad uno spagnolo il comando delle torri costiere. Dopo la battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), le incursioni diminuirono sensibilmente e le torri furono progressivamente abbandonate; sappiamo, però, che la torre della Vibrata svolgeva ancora una funzione militare nel 1762, anno in cui è attestato un “torriere caporale”. Sotto il profilo architettonico-costruttivo, la torre della Vibrata appare come un tipico presidio di avvistamento e di difesa del viceregno: un semplice schema di tronco di piramide a base quadrangolare (con il lato pari a circa dieci metri), con caditoie ricavate nel coronamento liscio e priva di merlature, per permettere la dislocazione dei cannoni su ogni lato. La torre della Vibrata presenta attualmente un corpo di fabbrica addossato ed ospita, a seguito di un restauro, un ristorante. (c.v.)
Giulianova, al servizio del viceregno
Di notevole interesse è la torre costiera nota come “Torre del Salinello”, posta lungo la statale Adriatica, nei pressi di Giulianova, che costituisce un tipico presidio di avvistamento e di difesa, fatto erigere durante il viceregno napoletano
Con la serie delle torri costiere d’avvistamento si cercò di porre un freno alle continue scorrerie dei turchi, divenute un vero incubo per tutta la popolazione, attraverso la realizzazione di un piano unitario e organico di difesa.
Il complesso sistema difensivo doveva articolarsi secondo il seguente schema: le torri rappresentavano i presidi puntuali sul territorio, in grado di avvistare e segnalare i pericoli; le città, munite di cinte murarie e fortezze, svolgevano la difesa effettiva. Oggi, a testimonianza dell’articolato progetto difensivo, rimangono diverse strutture ancora visibili, con alcune anche ben restaurate.
Questa di Giulianova (Te) è databile al 1568 ed è caratterizzata da una struttura in laterizio, a piramide tronca, su base quadrata (con il lato pari a circa dieci metri), con coronamento a sporgere sorretto da quattro beccatelli con tre caditoie per lato. L’interno presenta due ambienti sovrapposti uno per piano, coperti con volte a botte in muratura, orientate ortogonalmente tra loro, in modo da ripartire i carichi simmetricamente sulle murature d’ambito. La torre, che un tempo comunicava a vista con le altre torri costiere dell’Abruzzo Ultra, è stata oggetto di un restauro databile al primo ventennio del Novecento. (c.v.)
Pineto, quando il pericolo veniva dal mare
Presidio litoraneo contro la minaccia ottomana, il fortilizio cinquecentesco oggi troneggia sull’Adriatico in un contesto naturalistico di grande importanza e di particolare bellezza.
E nelle acque antistanti di Pineto, una storia sommersa è testimone di un antico approdo
Nell’anno del Signore 1563 il viceré Pedro Parafan de Ribera, duca di Alcalà, emanò l’ordine di costruire lungo il litorale abruzzese otto torri d’avvistamento con lo scopo di segnalare tempestivamente – mediante i fuochi di notte, con i segnali di fumo o i colpi di colubrina di giorno – ogni tentativo di incursione dal mare. Cinque anni dopo le “sentinelle del mare” erano già una realtà. La torre di Cerrano a Pineto (Te) – probabilmente edificata sulle rovine di un’analoga ma più antica struttura a servizio del Portum in Pinna Cerrani, piccolo approdo di bassa costa menzionato in una bolla di papa Alessandro IV del 1255 – venne realizzata in laterizio a pianta quadrata con quasi tredici metri di lato.
A otto chilometri di distanza dalla Torre nord di Vomano e a circa sette dalla Torre sud di Salina Maggiore, la struttura, a due piani, disponeva di mura spesse tra i due e gli otre tre metri metri e, computando i merli, raggiungeva un’altezza di poco superiore ai tredici metri.
A Cerrano, al pari degli altri presidi, operavano mediamente due torrieri in inverno, di cui uno sempre di guardia, e qualcuno di più in estate. A loro disposizione armi, sistemi di segnalazione e i “cavallari”, cioè militi che nottetempo avevano il compito di pattugliare a cavallo il tratto di spiaggia compreso tra due torri.
Poi, con la diminuzione delle scorrerie turchesche, il lento declino. Già nel 1598 il governatore d’Abruzzo Carlo Gambacorta in una sua relazione inviata al viceré conte di Olivares lamentava come i guardiani addetti alle torri fossero soliti lasciare i posti di sorveglianza per arare i vicini terreni, utilizzando allo scopo i cavalli loro assegnati per il pattugliamento litoraneo. Col lento fluire degli anni, e a fronte di mutate situazioni, le torri subirono un inarrestabile degrado.
All’inizio del Settecento la torre di Cerrano divenne proprietà dei nobili di Scorrano, marchesi di Cermignano, e quindi dei marchesi de Sterlich che continuarono ad usarla come torre di guardia e di difesa del confine orientale del marchesato. Nel 1777 venne custodita dagli Invalidi per essere destinata nel 1842 alle esigenze dell’Amministrazione generale. Infine con un regio decreto del 1866 venne sottratta al demanio militare e destinata alla vendita.
Nel 1915 la torre, che già dall’inizio del secolo aveva perso alcuni caratteri originari in funzione abitativa, venne sottoposta a restauro con l’aggiunta del sopralzo, mentre vent’anni dopo si arricchì di ulteriori corpi per assumere l’aspetto attuale nel 1947, quando la famiglia Marucci, che l’aveva acquistata sette anni prima, la fece ampliare lateralmente verso sud e verso est con un’ala a “L”, utilizzando un laterizio simile a quello originario. La storia recente di questo imponente manufatto data dal 1981, quando venne acquisito dall’amministrazione provinciale per essere destinato due anni dopo, sulla scorta di interventi che hanno consentito di restituire il complesso alla sua originaria impostazione architettonica viceregnale, a sede del Laboratorio di biologia marina.
In prossimità dell’affascinante torre rivolta al mare, i cui fondali celano ancora possenti murature e grossi blocchi di pietra d’Istria lavorati a mano assai probabilmente relativi all’antico porto di Cerrano, insiste il prezioso giacimento naturalistico oggi Area marina protetta. Oltre ad una fitta distesa di pini d’Aleppo e pini da pinoli, messi a dimora dal Corpo Forestale dello Stato, affianca la torre un piccolo giardino botanico realizzato nel 1988 ma soprattutto un’area dunale di grande interesse. Qui infatti, accanto a specie vegetali più comuni, si annoverano l’ormai raro vilucchio marittimo (Calystegia soldanella), lo zigolo delle spiagge, il verbasco lanoso e il meraviglioso giglio marino, la cui fioritura si ha tra luglio e settembre. Anche la fauna, nonostante il depauperamento dovuto alle aggressioni e alla mancanza di sensibilità, registra tuttora la presenza di un raro uccello migratore, il fratino (Charadrius alexandrinus), che nidifica proprio sulla spiaggia nel periodo primaverile ed alcuni invertebrati a rischio estinzione o addirittura già scomparsi in altre aree della costa italiana. (s.g.)
Vasto, dalla vista al radar
La caratteristica torre costiera di Punta Penna, nella strategica posizione a controllo dell’insenatura che accoglie il porto di Vasto, costituisce un episodio di notevole interesse in quanto rappresenta una delle poche torri costiere ancora ben conservate
La sua edificazione risale alla seconda metà del XVI secolo, durante il periodo del vicerè don Parafan De Ribera duca di Alcalà (1563) che ordinò “la costruzione generale delle torri per tutte le marine di questo regno, et per virtù de deti nostri ordini si sono fabbricate alcune torri, et altre restano a farsi: et quelle che sono fatte intendemo che bisognano visitare”. L’attuazione avvenne sotto le direttive del potere centrale, dunque, prevedendo la dislocazione puntuale delle torri che dovevano essere costruite in quei punti della costa, indicati dai “regi tavolari”, con l’obbligo che ciascuna torre fosse in vista con l’altra, al fine di costituire nel loro complesso, senza soluzione di continuità, una rete di presidi difensivi.
In questo ardito progetto, la torre di Punta Penna a Vasto (Ch) comunicava verso nord con la torre del Salinello e verso sud con la lontana torre di Petacciato, nell’attuale Molise.
La forma assunta dalla torre è quella tipica degli impianti di avvistamento costieri del viceregno: schema di piramide tronca, su base quadrata (12×12 metri), con struttura in laterizio, coronata da un apparecchio a sporgere sorretto da quattro beccatelli e tre caditoie per lato. I quattro prospetti presentano una piccola apertura a piano terra, mentre lungo il lato meridionale, è presente una porta al primo piano il cui accesso è garantito da una scala in muratura a due rampe, costruita in epoca successiva.
La torre era munita di un recinto fortificato più ampio, di cui risultavano visibili i ruderi del torrione quadrangolare a nord-ovest nella prima decade del XX secolo. Nel 1977 fu eseguito un intervento di restauro che sostituì la precedente copertura a falde con una pagoda, modificando i barbacani delle caditoie ed intonacando l’intera struttura architettonica. La torre di Punta Penna ancora oggi mantiene l’attività di monitoraggio sul territorio organizzata dalla Marina militare italiana, non più a vista ma con moderni sistemi radar.
(c.v.)