testo di Ivan Masciovecchio.
Il prossimo 18 settembre compirà centodiciannove anni, ma il suo fascino non accenna a diminuire, anzi. Stiamo parlando della storica linea ferroviaria Sulmona-Carpinone-Isernia, altrimenti conosciuta come la Transiberiana d’Italia, capolavoro di ingegneria ferroviaria realizzato dalla Società per le Strade Ferrate Meridionali ed inaugurato nel 1897 dopo l’attivazione di un primo tronco fino a Cansano, avvenuta lo stesso giorno di cinque anni prima.
Ininterrottamente aperta al traffico di linea fino al dicembre 2011 – ad esclusione di alcuni anni durante ed immediatamente dopo il secondo conflitto bellico – dal marzo del 2012 è stata recuperata per finalità turistiche grazie soprattutto al lodevole lavoro compiuto dai ragazzi dell’associazione Le Rotaie i quali, armati esclusivamente di passione e competenza, negli anni hanno coinvolto nei loro viaggi unici ed emozionanti decine di migliaia di appassionati, facendo così scoprire loro la grande bellezza di queste straordinarie terre di mezzo abruzzesi-molisane.
La costituzione della Fondazione FS Italiane, con l’inserimento della linea all’interno del progetto Binari senza tempo – insieme ad altre ferrovie storiche come la lombarda Ferrovia del Lago lungo le rive del Lago d’Iseo, la toscana Ferrovia della Val d’Orcia, la siciliana Ferrovia della Valle dei Templi, oltre alle più recenti Ferrovia della Valsesia e Ferrovia del Tanaro – ha poi fatto il resto, stimolando un interesse ed un ritorno d’immagine ancora maggiori, grazie anche all’utilizzo di materiale rotabile dall’indubbio fascino retrò come le carrozze d’epoca modello Centoporte e Terrazzini, risalenti agli anni ’30 del secolo scorso.
In questo contesto, per il giovane ingegnere Daniele Sciullo, abruzzese di Sulmona, è venuto quasi naturale dedicare proprio alla Transiberiana d’Italia la sua tesi di laurea in Ingegneria Edile-Architettura UE, conseguita presso l’Università degli studi dell’Aquila nel dicembre 2015. “Paesaggi e infrastrutture: la ferrovia Sulmona-Carpinone”, questo il titolo del suo lavoro realizzato con i professori Donato di Lodovico e Sandro Colagrande.
Lo abbiamo incontrato in occasione del Treno della Birra d’Abruzzo, uno degli ultimi viaggi organizzati dall’associazione Le Rotaie per far conoscere l’affascinante storia del birrificio abruzzese (è possibile leggerla nel dettaglio qui), che nella prima metà del Novecento fece tremare il colosso Peroni prima di soccombere al suo triste destino. «Il tema della tesi si sviluppa alla luce di quanto emerso nella Convenzione Europea del Paesaggio stilata a Firenze nel 2004 – ci racconta –, un vero e proprio evento rivoluzionario con il suo nuovo modo di intendere il paesaggio, concepito non solo come fenomeno ambientale, ma anche nei suoi aspetti sociali e culturali capaci di assegnare alle comunità locali un ruolo prioritario nella sua gestione diretta. Prendendo spunto quindi dai Binari senza tempo, lo scopo progettuale è quello di porre le basi per un futuro recupero della ferrovia da un punto di vista turistico. In parte sta già avvenendo, ma ritengo che si possa fare molto di più».
Lo studio è stato preceduto da un ampio lavoro di analisi e ricerca, approfondendo gli aspetti territoriali, paesaggistici, tecnici e ferroviari. «In questa fase sono state prodotte delle carte sui valori identitari della zona, ovvero sulle sue caratteristiche naturali, fisiche, storiche, culturali e turistiche. Parallelamente, sono state esaminate anche le peculiarità geometriche del tracciato, il profilo altimetrico e le principali tecnologie utilizzate per la sua realizzazione. A tal proposito, facendo riferimento all’attuale normativa tecnica in ambito di ferrovia di alta montagna, possiamo dire che la Transiberiana d’Italia rispetta tutti i limiti prescritti, sia per quanto riguarda il raggio minimo di curvatura, sia per quanto concerne la pendenza massima».
La seguente fase progettuale ha portato all’individuazione di sei diversi sistemi turistici locali – vale a dire la Valle Peligna, la Valle dell’Alto Aventino, gli Altopiani Maggiori d’Abruzzo, l’Alto Sangro, l’Alto Molise, l’Isernino – sui quali in futuro ci si potrà basare per eventuali azioni di recupero. «L’identificazione di questi sistemi è stata effettuata successivamente alla definizione di tre diversi tematismi, dalla rete di valori storico-culturali e naturalistici per i quali una certa zona mostra una particolare vocazione, all’aspetto legato alla mobilità tra i centri storici disseminati lungo il percorso della ferrovia, la ferrovia stessa ed eventuali luoghi di interesse naturalistico-sentieristico; fino alla riconnessione delle aree verdi attraverso il sistema storico dei tratturi e tratturelli, sul quale le popolazioni autoctone hanno basato il loro sviluppo economico sin dalle origini».
Particolarmente innovativa risulta la parte riservata al tema del riuso e della rigenerazione della ferrovia e delle strutture annesse. «Con riferimento all’ecosostenibilità, si propone la sostituzione parziale delle traversine costituenti la sede ferroviaria con altre ottenute da un mix di plastica e gomma riciclate, capace di generare energia elettrica al passaggio del treno. Per quanto riguarda invece vecchie stazioni, caselli e case cantoniere, laddove possibile viene indicato il recupero degli edifici siti nelle zone di maggior interesse tramite affidamento a privati, rendendoli fruibili come centri di aggregazione, punti di informazione e bike sharing».
L’ultimo step del progetto, dal taglio decisamente più tecnico, avanza alcuni suggerimenti per affrontare problematiche relative ad incompatibilità ambientali, paesaggistico-visive oppure legate al rischio idrogeologico del territorio. «Riscontrando nella zona di Pescolanciano il rischio di esondazione del fiume Trigno, il problema potrebbe essere risolto ad esempio rinforzando gli argini con gabbioni metallici riempiti di pietre, oppure creando piccoli tunnel che passino al di sotto della ferrovia, così da poter permettere il deflusso dell’acqua da un lato all’altro».
L’ultimo pensiero il giovane ingegnere lo rivolge a ciò che questa ferrovia potrebbe significare in futuro soprattutto per i giovani del posto, dopo un passato caratterizzato da partenze e abbandoni. «Mi piacerebbe che questo lavoro fungesse da richiamo per i nostri amministratori pubblici, esortandoli a sostenere le attività e le iniziative sorte lungo questi binari senza tempo che potrebbero rappresentare una straordinaria occasione di sviluppo e di crescita economica per i nostri territori». Il treno, dunque, come possibilità di ritorno, per popolare di nuova vita e socialità queste terre altrimenti destinate all’oblio.