testo di Ivan Masciovecchio.
Si potrebbe riassumere così, prendendo in prestito il titolo di una delle operette morali più conosciute di Giacomo Leopardi, lo splendido live at sunset proposto nei giorni scorsi dalla musicista e polistrumentista islandese Sóley sul pianoro ai piedi del cinematografico castello di Rocca Calascio e dell’adiacente chiesa di Santa Maria della Pietà; evento organizzato nell’ambito di Paesaggi Sonori, l’originale progetto nato dal basso e messo in piedi con un pizzico di sana follia dai giovani Massimo Stringini e Flavia Massimo con l’intento di promuovere tutta l’unicità del territorio abruzzese attraverso inedite esperienze di turismo sostenibile e responsabile, valorizzando le meraviglie naturalistiche e culturali d’Abruzzo unendo le proprie comuni passioni per la musica, la montagna, l’arte e l’ambiente, che abbiamo raccontato nel dettaglio qui.

Paragone suggestivo quello con l’opera del giovane favoloso, anche se – lo riconosciamo – non del tutto pertinente perché in questo caso la protagonista è (stata) una donna, ma soprattutto perché la Natura con la quale ha avuto modo di confrontarsi si è rivelata tutt’altro che matrigna, regalando a lei ed al folto pubblico presente una giornata indimenticabile, memorabile; una di quelle cinque o sei capaci di dare un senso alla vita, secondo un celebre aforisma di Ennio Flaiano.

Un’esperienza letteralmente incantevole, difficile da descrivere a parole, vissuta da ben 500 persone accorse praticamente da tutta Italia, dalla Puglia alle Marche, dal Veneto alla Toscana, e poi Umbria, Lazio, Campania, salite fino ai 1500 metri della rocca immortalata negli anni ’80 dal film Ladyhawke attraverso un trekking di cinque chilometri partito nel primo pomeriggio dal borgo mediceo di Santo Stefano di Sessanio (AQ) e condotto con professionalità dalle guide (in rigoroso ordine alfabetico) Paolo Cellupica, Federico Ciocca, Giacomo Demurtas, Valeria De Simone, Marco Di Giorgio e Andrea Lolli.

Erano passate da poco le 19 quando le note cristalline e dolenti dell’artista islandese messa sotto contratto dalla prestigiosa etichetta Morr Music hanno squarciato l’irreale silenzio del luogo, lib(e)randosi nell’aria fino a lambire le vette della catena del Gran Sasso, per poi tornare indietro e dolcemente insinuarsi tra i freddi marosi dell’anima di ogni singolo spettatore.

Musicalmente parlando, gran parte della scaletta ha pescato a piene mani da Endless Summer, l’ultimo lavoro da studio uscito lo scorso mese di maggio, con l’aggiunta di alcune singole perle tratte dai precedenti We Sink e Ask The Deep. «L’idea dell’album è arrivata quasi per caso durante una notte di inizio gennaio 2016 – ha dichiarato Sóley –, quando mi sono svegliata nel mezzo della notte e ho scritto una nota a me stessa: “Scrivere sulla speranza e la primavera”. Così ho dipinto il mio studio di giallo e viola, comprato un pianoforte a coda, mi sono seduta e ho iniziato a suonare, cantare e scrivere».

E così, di giallo e viola vestita, accompagnata da una band di quattro elementi con paritaria rappresentanza di genere – con le due donne alla sezione armonica (tastiere e fisarmonica) e gli uomini impegnati alla parte ritmica (batteria, basso e chitarra) –, le sue in-quiete melodie hanno magicamente accompagnato per circa un’ora il battente pulsare di quell’universo di cuori puri in stato di grazia, pacificati e soggiogati da tanto splendore. Sono bastati pochi accordi per sciogliere le ultime resistenze e sprigionare una tempesta emotiva dalla quale è stato bellissimo lasciarsi travolgere, piangendo anche lacrime liberatorie e necessarie, fluite via con assoluta naturalezza e rese ancora più calde dal sole calante che le colorava d’oro.

Davvero uno spettacolo meraviglioso quell’ascolto intimo eppure collettivo, amplificato nella sua potenza viscerale dalla contemporanea immersione in una natura primordiale, solenne ed epica, di sconfinata bellezza. Sóley, nomen omen, ha illuminato il pubblico disposto attorno a lei come pianeti del sistema solare, attratto da una voce di rara dolcezza che una volta ascoltata non ti lascia più.

E quando il sole in cielo si apprestava a salutare il giorno appena trascorso, lungo la via del ritorno, qualcuno giurava di aver visto in lontananza un falco volteggiare leggiadro tra le torri del castello, mentre un lupo vagava solitario sui vellutati crinali dell’Appennino lanciando ululati d’amore. Chissà, magari erano solo cornacchie o lepri spaventate dall’inusuale folla in cammino, ma ci piace pensare che nell’incanto di questi Paesaggi Sonori ci sia spazio anche per le favole, come quelle raccontate nei film.
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