testo e foto di Ivan Masciovecchio.
«La cucina è un lavoro di memoria, un percorso di scoperta. C’è bisogno di creare e di fantasticare, di vedere come sarebbe e com’è. Di rivoluzionare la vita. Non fuori, nelle strade e nella società. Ma dentro, nel palato, nei piatti, sulla tavola che ogni giorno accoglie i nostri desideri, apparecchia quel che siamo». È stata scelta questa frase della giornalista Emanuela Audisio per caratterizzare la dodicesima edizione di Identità Golose, il congresso internazionale di cucina e pasticceria d’autore che ha visto la partecipazione di oltre 200 tra i più grandi chef italiani ed internazionali, da Massimo Bottura al basco Josean Alija, da Paolo Lopriore al peruviano Virgilio Martinez, e che proprio ieri ha chiuso i battenti a Milano.
Un’edizione nata sotto la guida spirituale di David Bowie – uno che se fosse stato un cuoco avrebbe senz’altro le tre stelle Michelin, secondo il pensiero di Paolo Marchi, ideatore ed organizzatore dell’evento – e nel segno della Forza della Libertà; libertà da chi vuole imporci stili di vita che non sono i nostri, libertà di essere innovativi; libertà di osare, sempre. Come Cristina Bowerman, chef del Glass Hostaria di Roma, autrice di To Bee or not to Bee, piatto simbolo di quest’anno realizzato trasformando un pezzo di trippa in una sorta di alveare ripieno di colorate bontà.
Presente per la dodicesima volta su altrettante edizioni, a rappresentare l’Abruzzo – oltre a Nicola Fossaceca del ristorante Al Metrò di San Salvo (CH) – c’era Niko Romito, tristellato chef del Reale di Castel di Sangro. Emozionato come la prima volta, con l’ausilio di slide e filmati suggestivi ha ripercorso le tappe che da Rivisondoli – ameno borgo adagiato lungo l’estremità sud dell’Altopiano delle Cinquemiglia – l’hanno condotto fino ai vertici della ristorazione internazionale.
«Quando ho cominciato ero perfettamente cosciente che mi stavo collocando al di fuori dei grandi circuiti gastronomici. Ho fatto una fatica incredibile ma oggi, dopo quindici anni, posso dire che questo isolamento e questo impegno mi hanno regalato la forza dell’identità. In Abruzzo mi sono concesso il lusso di farmi contaminare dal territorio, di cercare e trovare un linguaggio personale, di non inseguire le tendenze e soprattutto di dare retta alla mia voce interiore».
Ha poi provveduto ad illustrare i dodici piatti simbolici che hanno scandito questo avvincente percorso; piatti che hanno richiesto mesi di studio, di prove, di sacrifici anche economici e che oggi descrivono in maniera evidente il percorso e la filosofia di cucina di uno chef autodidatta che ha fatto dell’apparente semplicità il suo tratto distintivo e della progettualità diffusa il suo punto di forza, come dimostrano l’apertura della Scuola di alta formazione, la video enciclopedia del gusto Unforketable, il format Spazio diffuso tra Rivisondoli, Milano e Roma, il laboratorio napoletano sulla Bomba e, buon ultimo, il lavoro intrapreso con il policlinico universitario della Sapienza di Roma per rivedere tutta l’offerta gastronomica dell’ospedale in modo da dare più dignità ai pasti dei pazienti, creando un protocollo di riproducibilità dei piatti applicabile da chiunque volesse in seguito adottarlo.
Di seguito, i piatti raccontati alla platea di Identità Golose.
.Assoluto di cipolla (2009)
«Questo piatto mi ha identificato a lungo. Rientrava in un lavoro sui brodi e sui vegetali, in questo caso la cipolla, un ingrediente del mio territorio che all’epoca mi intrigava parecchio. È un brodo senz’acqua ottenuto andando in estrazione del vegetale. Grande potenza di gusto, purezza, forte identità, ma soprattutto equilibrio straordinario tra la dolcezza della cipolla, la sapidità del bottone di pasta e la tostatura dello zafferano inserito a secco all’interno del liquido».
Carciofo arrosto (2013)
«Prosegue lo studio sui vegetali. Qui ho ripreso il concetto dell’estrazione presente nell’Assoluto di cipolla, portando in riduzione il liquido e creando poi una glassa purissima di carciofo con la quale viene cucinato il carciofo stesso. Vegetale su vegetale, quindi, stratificando e massimizzando il suo gusto ed ottenendo in questo modo anche sapori nuovi. Infatti molti ospiti, quando mangiano questo piatto, pensano sia stata aggiunta della liquirizia…».
Misticanza alcolica con mandorla (2015)
«Terza fase del lavoro sui vegetali. In questo caso ho affrontato la verdura a foglia. La fortuna di stare a Casadonna ci consente di operare in un territorio incontaminato. Per questo piatto, infatti, utilizzo solo misticanze locali montate su uno strato di base mandorla ed arricchite con qualche goccia di gin. Impronta digitale erbacea molto spiccata, quindi, ed attenzione verso la salute dell’ospite grazie alla presenza di foglie amare che stimolano la digestione, oltre ad avere proprietà antiossidanti».
Cocomero e pomodoro (2015)
«Qui vado a trasformare una materia prima comunemente morbida ed acquosa come il cocomero in una superficie vitrea, senza perdere però il liquido all’interno. Lavoro colore su colore, con il pomodoro che sembra crudo ed invece viene marinato e cotto al vapore a bassissima temperatura; questa marinatura dona una freschezza incredibile, creando un insolito gioco di strutture per un piatto nuovo, moderno, estivo e mediterraneo».
Tortelli affumicati di capocollo (2013)
«Capitolo riguardante le paste ripiene e all’uovo. Ci siamo concentrati sull’eliminazione delle salse, lavorando con la laccatura esterna, leggerissima, e facendo attenzione che non andasse a coprire il gusto della pasta e del ripieno stesso».
Spaghetti al pomodoro (2014)
«Ho lavorato sul pomodoro utilizzandone ben quattro tipologie. La particolarità di questo piatto è un gusto deciso, netto, puro del pomodoro senza aggiunta di nessun grasso. Il primo boccone ha un’acidità incredibile; poi però andando avanti questa acidità estrema si risolve in dolcezza, con una coda lunga di freschezza. È da un grande classico della cucina italiana come gli spaghetti al pomodoro che io cerco di trovare la mia esperienza ideale».
Linguina fredda, ostrica e patate (2015)
«Non è il primo esempio di pasta fredda che abbiamo in Italia, ma qui si lavora per capovolgimenti. È sostanzialmente un gioco nel quale la presenza della pasta secca mi fa pensare ad un primo ed invece ci troviamo davanti ad un antipasto. Inoltre ci si immagina un piatto caldo ed invece è freddo. La grande particolarità, però, è che questa pasta viene cotta con un distillato di patate a cui ho tolto l’amido. Nella cottura il distillato conferisce acidità alla pasta, andando ad esaltare il sapore dell’ostrica e l’assenza di amido evita uno sbilanciamento sui toni dolci».
Agnello, aglio e pompelmo rosa (2014)
«In Abruzzo tradizionalmente l’agnello viene preparato alla brace. Qui viene cotto nel latte di pecora – intensificandone il gusto – eliminando successivamente la crosta. Più vado avanti nel lavoro sulle carni e più mi accorgo che tutte le tostature esterne risultano sì più golose, ma penalizzano il sapore pulito ed elegante della materia prima».
Animelle, panna, limone e sale (2013)
«Erroneamente si potrebbe pensare ad un piatto grasso e rotondo. L’aggiunta di succo di limone e sale fino, invece, a contatto con la panna, regala un’esplosione di acidità capace di aggiungere freschezza alla insita cremosità della lavorazione, esaltando il gusto delle animelle».
Piccione fondente e pistacchio (2015)
«Volendo proporre un’espressione più moderna di questo piatto ho lavorato sulla pressione. Alta per estrarre il brodo dal piccione; un brodo purissimo, senza aggiunta di grassi. Bassa – che non vuol dire a bassa temperatura – per cucinare un piccione intero all’interno di questo brodo, con grande rispetto delle proteine dell’animale. Così facendo la struttura diventa fondente, a partire dalla pelle, ottenendo un gusto netto e preciso. Di solito viene servito con un elemento grasso come il foie gras; rispettando lo stesso concetto, io ho utilizzato invece una crema di pistacchio salato, offrendo così una versione più salutare, vegetale e anche eticamente sostenibile del piatto».
Essenza (2009)
«È stato il primo dessert che ha segnato per me un nuovo concetto di pasticceria. Fino a quel momento i miei dolci rappresentavano una sorta di rottura rispetto all’andamento del pasto, non seguendo lo stesso linguaggio degli altri piatti del menu. Con questo dolce, invece, sono andato alla ricerca di un dialogo con il reparto salato. All’inizio Gianni e Cristiana in sala non volevano servirlo perché non sapevano come raccontarlo. Non ha zucchero, va mangiato in un certo modo, entra squilibrato in bocca perché si comincia ad assaporare dagli esterni dove si concentra la parte acida e poco a poco trova il suo equilibrio. Da qui in poi ho iniziato un discorso sulla geografia del cucchiaio ovvero sulla sequenza degli ingredienti e sulla loro densità che cambia totalmente le nostre percezioni».
Pane (2011)
«Da diversi anni ho abolito il concetto del cestino del pane, andando alla ricerca di un alimento semplice che possa accompagnare il pasto dall’inizio alla fine. Mi sono reso conto, però, che per fare un pane semplice ho bisogno di un grande gusto e di una grande struttura. Il gusto l’ho trovato utilizzando vecchie varietà di grani come la solina e la saragolla. La struttura, invece, dipende molto dalla cottura, dal lavoro sulla fermentazione, dai lieviti. Avendo un interesse quasi maniacale per tutto ciò che riguarda le paste lievitate, ho sempre cercato di trovare un pane che avesse caratteristiche ideali quali acidità, morbidezza, croccantezza, amaro; un pane che avesse tutta la dignità di una portata. Così sarà nel prossimo menu del Reale».