Il corpo di fabbrica principale costituisce una delle quinte stradali della Nazionale Adriatica, ed è chiaramente distinguibile nell’agglomerato urbano dell’odierna Silvi Marina (Te), nonostante la lettura dell’impianto originario sia ostacolata dalla recente espansione edilizia, densa e di basso profilo architettonico
testo e foto di Stefano Cecamore
Il complesso comprendente villa, cappella gentilizia, parco e annessi agricoli e di servizio, risulta infatti alterato dai numerosi espropri dovuti al potenziamento dell’accessibilità e della viabilità locali attuato a partire dal 1824 con l’adeguamento della Strada Adriatica e il successivo passaggio dell’asse ferroviario seguito all’unità nazionale.
Numerose cartoline d’epoca restituiscono l’immagine della villa immersa in un ampio parco e posta in collegamento diretto col mare da un lungo viale alberato che, inquadrandone il corpo centrale, rimarcava l’impostazione assiale dell’intero complesso. L’edificio principale, censito già nel catasto borbonico del 1807, concepito quale evoluzione in veste neoclassica dell’edilizia rurale locale, rappresenta, probabilmente, il prototipo adottato nella costruzione delle numerose ville extraurbane che intorno alla metà del XIX secolo punteggiano il litorale testimoniando l’interesse delle classi nobiliare e alto-borghese locali per lo sviluppo industriale e turistico della fascia costiera.
Tra i committenti della fitta rete di edifici di rappresentanza e case di villeggiatura che si snoda lungo le nuove direttrici viarie, figurano, infatti, i nomi dei Bindi, Sorricchio, Palma, Forcella, Arlini, e Savini. Emblematico è, poi, il caso della villa extraurbana della famiglia Filiani, che costruita intorno al 1850, ricalcando l’impianto di villa Pretaroli, un blocco compatto organizzato intorno ad un volume centrale, definisce il nucleo del futuro centro abitato di Pineto; nata come casino di campagna, la villa – inizialmente destinata alla gestione delle proprietà terriere dei Filiani dislocate lungo il litorale – segue l’evoluzione della borghesia agraria tardo ottocentesca e adattandosi alla progressiva urbanizzazione e industrializzazione del latifondo si espande in nuovi corpi di fabbrica assumendo una nobilitante veste classicheggiante.
Giacinto Filiani, poi, cogliendo le potenzialità di espansione legate al trasporto ferroviario, vincola la costruzione della stazione ponendola in asse con la propria residenza familiare; intorno a questo polo di aggregazione villa-stazione, si svilupperà progressivamente una nuova realtà insediativa identificata inizialmente come frazione di Mutignano e successivamente elevata a comune nel marzo del 1929 con la denominazione di Pineto.
Un modello di sviluppo urbano, organico e condiviso, legato alla lungimiranza e all’iniziativa privata, destinato a rimanere un unicum in area teramana; altre realtà, come quella di villa Pretaroli, subiranno invece passivamente la politica di espropri legata al passaggio della rete ferroviaria che, concepita su scala nazionale, attraversa indifferentemente la fascia costiera stravolgendo la fisionomia agro-pastorale di un territorio che d’Annunzio descrive nel Trionfo della Morte come “quel lembo della provincia teramana bagnato dal mare: una visione quasi mistica di terre fertili rigate da fiumicelli sinuosi ove sotto il tremolìo innumerevole dei pioppi un filo d’acqua correva su un letto di ghiaie polite”, oggi rintracciabile solo nei toponimi riportati nei registri borbonici: Contrada di Mare, Contrada del Pozzo, Contrada del Fornetto, Rione Borea.
L’occupazione dei fondi costieri necessaria al passaggio della strada ferrata avviata nel novembre del 1861 intacca le aree verdi prospicienti la villa, interrompendo definitivamente il collegamento diretto col mare e avviando il processo di lottizzazione del parco dei Pretaroli. Lo sviluppo edilizio recente, convulso ed eterogeneo, colmando i vuoti urbani compresi tra la nazionale adriatica, la ferrovia e il mare compromette ulteriormente l’impianto originario; ma nonostante la perdita della fascia verde di rispetto, utile alla corretta lettura dell’ampia facciata di rappresentanza, villa Pretaroli resta una fondamentale testimonianza delle tendenze architettoniche abruzzesi del XIX secolo. Il tema della villa rappresenta, infatti, un importante campo di sperimentazione che si dispiega nel corso dell’Ottocento in suggestioni neoclassiche (villa Caccianini-Maturanzi a Pineto, villa de Rosa-Sorricchio a Silvi) e neorinascimentali (villa Mazzarosa-De Vincenzi a Roseto), espresse attraverso un vasto repertorio di ordini architettonici, finestre timpanate, cornicioni modanati e basamenti bugnati e approda, poi, alle forme eclettiche e liberty del primo Novecento (villa Gialluca-Palma ad Alba Adriatica, villa Castelli-Montano a Giulianova).
Villa Pretaroli, pur mortificata dall’aggressione urbana circostante, rimane integra nei caratteri architettonici e nelle tecniche costruttive originari: il volume principale caratterizzato dall’impianto simmetrico e dall’equilibrio proporzionale si sviluppa in due livelli principali sormontati da un corpo superiore strutturato sul modello delle antiche colombaie tipiche dell’edilizia rurale locale.
L’impaginato esterno inquadra il blocco compatto dell’edificio caratterizzandosi per il progressivo alleggerimento dell’apparato decorativo che evolve dal bugnato e dai cantonali listati del partito inferiore al discreto ordine ionico di quello superiore fino alle forme stilizzate dell’altana.
Gli interni organizzati in vasti ambienti voltati, spesso affrescati, si dispongono simmetricamente rispetto alla galleria carrozzabile che attraversando trasversalmente il primo livello collega l’ingresso principale al giardino retrostante. Sottratta all’attuale stato di abbandono e debitamente recuperata, villa Pretaroli rappresenterebbe il fulcro di un possibile itinerario turistico-ricettivo legato alla rete del consistente patrimonio otto-novecentesco del litorale teramano oggi trascurato e non debitamente compreso.