Testo e foto di Fulgenzio Ciccozzi
E’ questa una disamina che non ha nulla a che vedere con la politica, s’intende, ma è una semplice constatazione delle vicende aquilane su chi ha e ha avuto responsabilità di governo. Prima di dileguarsi (qualsiasi siano i motivi che lo abbiano indotto ad allontanarsi, anche se posso intuirli non riesco comunque a comprenderli), c’era chi per quasi un anno, senz’altro spinto da un’iniziale solidarietà, ha fatto la spola tra Roma e L’Aquila, tanto era indaffarato a dimostrare al mondo e agli italiani le sue capacità di uomo del fare e chi, invece, oggi, non riesce a trovare nemmeno il tempo per fare una capatina in città, per giunta capoluogo di Regione, e rivolgere uno sguardo al suo territorio martoriato. Gli altri governi che si sono avvicendati tra i due sono passati quasi inosservati, se non per i provvedimenti, strettamente legati alla nostra realtà, voluti dal ministro Barca. C’è qualcosa che accomuna i due personaggi di cui si disquisisce: sono entrambi uomini del fare dalle buone capacità comunicative.
Il fatto è che non sempre questo basta. Forse è necessario ricordarsi che entrambi avevano e hanno responsabilità di governo, e che a certi appuntamenti con la storia non è possibile mancare, anche quando l’ambiente che li accoglie non è sempre ospitale. Pazienza. Le contestazioni (costruttive e non) fanno parte della democrazia, ed è necessario farsene una ragione. Certo, il “brand” L’Aquila non tira come l’Expò, che ha pure la sua importanza, o di altre iniziative e avvenimenti minori che in questo momento fanno più ascolto. Ma, qua stiamo parlando dei problemi reali di una comunità che si è volatilizzata dalla sua città e dai suoi paesi, e non di share. Non si può fare finta di nulla e ricordarsi del capoluogo abruzzese solo nell’anniversario del 6 aprile con un semplice tweet! Non c’è bisogno di uomini che hanno necessità di un palco per esprimere il meglio di sé, ma di servitori dello Stato! Non che il primo ministro debba assumere le sembianze di San Tommaso, ma ritengo che non sia possibile legiferare in merito alla ricostruzione se non si entra almeno una volta nel cantiere più grande d’Europa e non ci si incammini, calpestando le vie dissestate e inghiottite dall’erba, nei luoghi che costituiscono il cratere più grande d’Italia (frazioni comprese) per rendersi conto dello “stato di salute” in cui versano, i paesi, la città e la gente. Di solito si fa visita a un malato per portare qualcosa. E questo qualcosa non è solo “zucchero e caffè” (concretezza), che a scanso di equivoci, beninteso, è fondamentale, ma anche solidarietà. E la solidarietà si esprime anche con la presenza, pure quando questa può risultare in un certo qual modo impegnativa per le difficili tematiche da trattare. Qualcuno potrebbe obiettare che comunque qualcosa si sta muovendo nella giusta direzione affinché siano sciolti i nodi che rallentano la ricostruzione. E ci mancherebbe altro. L’Aquila non si trova mica a Marte, ma in Italia. E l’Italia è uno Stato di diritto. Il diritto, in questo caso, si traduce nel restituire un futuro a chi lo ha perso, immerso nei grovigli di questa lembo di italica confusione. Il diritto ad avere un’esistenza più o meno normale non ci viene concesso solo per grazia di Dio, ma anche da un’accorta governance che non possiamo e non dobbiamo far passare come divina provvidenza. La vita di molti aquilani, sempre più sfiduciati, non può essere ingoiata da questa mastodontica macchina burocratica, i cui ingranaggi vanno assolutamente rivisti e ritoccati. E’ necessario che ognuno, di qualsiasi ordine e grado, si assuma le proprie responsabilità, e là dove le pratiche o i lavori vanno a rilento (per motivi il più delle volte non riconducibili alla committenza), è necessario che s’intervenga d’ufficio per rimuovere immediatamente l’ostacolo che logora e opprime il cittadino, destituito delle sua volontà, non più padrone della sua vita poiché fagocitato da un ingranaggio più grande di lui. Insomma, la professionalità, prima di tutto, l’organizzazione, la celerità nell’erogazione dei contributi e una buona dose di buon senso devono essere le linee guida della ricostruzione. E’ doveroso inoltre tenere assolutamente conto delle priorità, in altre occasioni più volte menzionate, onde evitare di concedere precedenza ai lavori dai quali non si trarrebbe una corretta giustizia sociale. Sono queste le voci che non possono mancare in una carta d’identità che certifichi la buona riuscita della legge che è in via di elaborazione. Il dovere, invece, è di non approfittare della solidarietà che gli italiani ci hanno accordato. I tempi sono quelli che sono, e niente dura all’infinito, nemmeno la pazienza!