Leggere quello che accade oggi da un punto di vista storico. Attraverso le cronache dell’epoca. Ecco la “Relazione del terremoto succeduto nell’Aquila il 2 gennaio 1703: giorno della SS.ma Purificazione”
di Eliseo Marrone, foto Luciano D’Angelo
Per il terremoto del 1703, Vincenzo Zannetti (1) ci riporta due relazioni: la prima data alle stampe il 10 maggio 1703, dai Signori del Magistrato aquilano, e la seconda, quella redatta dal Garofalo, riportata dallo storico N. Lodi, nella sua Storia inedita della Città e Diocesi dell’Aquila. Lo Zannetti bolla la prima come confusionaria ed ampollosa, mentre affida la sua narrazione alla seconda come maggiormente aderente alla realtà. Nella Biblioteca Riccardiana di Firenze (RI,2120), ho rinvenuto in uno Zibaldone o Miscellanea la Relazione sul terremoto del 1703, che pur parlando di quanto accaduto alle chiese e monasteri dell’epoca ci fornisce notizie nuove e talvolta difformi da quelle riportate nelle relazioni sino ad oggi conosciute. Non sono riuscito ad identificare l’anonimo autore poiché la relazione è senza data e senza firma.
La relazione dell’Anonimo si apre con una considerazione sugli imperscrutabili disegni di Dio e sulla condizione delle anime degli Aquilani nel momento del terremoto: considerazioni che mettono in evidenza l’appartenenza dell’Autore alla gerarchia ecclesiastica o ad un ordine religioso. Detta introduzione pienamente conforme alla religiosità dell’epoca viene qui omessa. Già altri autori hanno messo in evidenza il grande errore che si fece nel 1703 quando il Clero dell’epoca chiamò a raccolta il popolo aquilano per una comunione generale, in espiazione dei peccati e per contenere l’ira divina che, secondo loro, si sarebbe manifestata con i terremoti del 14 e 16 gennaio. Non parve vero ai religiosi dell’epoca di essere protagonisti di un momento così doloroso e di raccogliere le loro pecorelle nella ricorrenza della Candelora ed avviarle, certo inconsapevolmente, al macello, che avrebbero potuto evitare, ricordandosi dell’operato del vescovo Agnifili che aveva celebrato messa in una pubblica piazza durante i terremoti del 1461/1462. La relazione dovrebbe essere stata redatta nel mese di marzo o aprile del 1703, poiché l’Anonimo parla di un ospedale per i feriti nel borgo di S. Bernardino, che il marchese Garofalo aveva istituito con un bando del 18 febbraio. Inoltre indica in 2200 il numero dei morti, distaccandosi dal numero dei tremila riportato nelle altre relazioni, ma sicuramente si riferiva alla sola città dell’Aquila, considerando che la sua relazione ha lo scopo precipuo di documentare e riferire quanto accaduto alle Chiese, ai Conventi e ai religiosi tutti. Inoltre ci riferisce che il Garofalo mandò sulla forca molti furfanti che approfittando del momento, facendosi passare come Cavatori, si erano impossessati dei beni che riuscivano a trovare nelle macerie.
V. Zannetti, Di due diverse relazioni sul terremoto del 2 febbraio 1703, in “Bollettino della Società di Storia Patria A. L. Antinori negli Abruzzi”, VI, 1894,pp.59-65.
… omissis …
Fino dal terremoto dunque de li 14 gennaro 1703 ad ore una e mezzo de notte e dell’altra nelli 16 del martedì ad ore 21 s’indussero i suddetti Citadini e Religiosi dell’Aquila di lasciar le Case et habitare nelle Baracche, atteso che nelli suddetti Terremoti quasi tutti gli edifitii restarono intronati, nella mattina però della Purificazione della Vergine due del mese di febraro ad ore 18 mentre ciascheduno si trovava nelle Chiese, il Clero secolare e Regolare ad officiare, et i Laici ad ascoltare le messe e prendere i Sacramenti, da una fiera scossa resto poco meno che desolata la Città, e per narrare con qualche distinzione il tutto, dividendosi la Città dell’Aquila in quattro quarti, cioè Santa Giusta, S. Pietro a Coppito, S. Marciano, e Santa Maria à Paganico tutta oggi nelle ruine appena si distingue, e quantunque la strada di quest’ultimo quarto sembri non avere molto patito nei suoi Edifitij, perche molti ve ne stanno all’impiedi nullo di manco stanno in guisa intronati, che sono inabili ad essere risarciti, e nelle scosse replicate in tutto quel giorno che qualche muro di Palaggio, di Chiesa, o d’altro Edificio è rimasto senza cadere nulla di meno non potrà servire, che per somministrare puro materiale a nuove fabbriche, e chi L’Aquila oggi vede, come lo scrittore ha veduto, conosce esser fallace quel minuit presentia famam, perché assai più di quello venne a riferire, di mira in volgere gli sguardi all’infelice Città, le Porte e mura di essa se non in tutto, in buona parte cadero.
Jndenne è rimasta la Chiesa delle Monache di S. Amico, e risarcibile solo Santa Maria à Paganico, e le Chiese delle Monache Celestine, della Maddalena, e di S. Basilio, perciò di quanti si ritrovarono a S. Maria à Paganico, ne pure uno in pericolo.
La strage più lacrimevole fu in S. Massimo, della quale non si trovano che i sassi, et in cui il Clero vi perì: il Vicario Generale Antonelli e due Cappellani, il Priore Ciambella; in Santa Giusta, e nell’altre vi si salvarono i Preti. In S. Domenico fu grandissimo lo scempio per che vi era gran concorso, e solo si salvarono quei che stavano nella Cappella del Rosario, quale non cadé, de’ Padri ve ne morirono cinque, e quattro si ritrovarono mortalmente feriti. In S. Agostino, tanto del Convento quanto della Chiesa non vi è rimasto un muro all’impiedi, rovinata affatto quella bellissima Libraria che vi era, nove Religiosi vi perirono, tra quali il Priore, Sottopriore e Regente. Nella Chiesa di S. Equizio è rimasta la Cappella, ove stava il deposito del Santo Protettore. In San Bernardino non vi è rimasta che la facciata malconcia, fu ritrovata la sola cassa d’ Argento, ove stava il corpo del Santo Protettore, mentre la ruina della Cappella spezzò la gran cassa di legno in cui si racchiudeva, vi morirono solo quattro frati.
La Chiesa di S. Filipppo Neri precipitò con gran parte della Casa, e vi morì il P. Alessandro Piovani sacerdote, et il fratello Giacinto. Nella Madonna della Riviera un sol Converso, è caduto tutto il Monastero, e Chiesa.
La Chiesa de’ Conventuali caduta con la maggior parte del Convento ve ne sono morti quattro Frati con due feriti. L’altre Chiese e Conventi, nella Chiesa sono caduti, ma non si sente pericolato alcun religioso. Nel Monastero del Colle Maggio de’ Padri Celestini, per quello che appartiene alla Chiesa , il Choro, la Cappella, le due navi laterali con molta parte della struttura, la nuova Cappella di S. Gio. Celestino con la Cuppola, et un muro che riguardava di fuori la statua che stava sopra il Deposito del Santo Protettore, il qual deposito è intatto, la Cappella del B. Gio., della Madonna, di S. Gio. di S. Bernardo e del Crocifisso, e si dubita, che la parte del soffitto rimasta nella nave di mezzo, habbia a diroccare per il timore, che i pilastri, che la sostengono habbino patito ne’ fondamenti.
La Sacristia vecchia, et il Choro, il Choretto colla Sacristia nuova tutta intraperta, il Campanile reduto, con la ruttura di due Campane; la facciata della Chiesa sta all’impiedi ma intronata dalle ringhiere di ferro in su. Il Dormitorio di Sacerdoti, et il Professato vecchio è caduto; le Ospiterie, le camere dell’Abbate, l’appartamento del Generale è caduto, e se vi è rimasta qualche cosa in piedi, servirà di spesa maggiore nel gittarla a terra e solo perché i Padri non morissero della fame restò intatto il Granaio, e Cellario colla Cucina. I Padri poi miracolosamente si salvarono, stavano tutti in Choro incominciatasi la messa cantata. Poiché volle esser fatta la processione della Candelora fino alla Torre (+)izio, il P. R.mo Alfieri di (+)tina bagnato ne’ piedi per i geli liquefatti nella strada si partì dal Choro per asciugarsi, ed appena partito, cadde quella parte del Choro che gli stava sopra, e del Choro, in quanto all’altra parte non caderno che pezzetti di stucco, senza offendere i Padri, che tutti stavano nel proprio luogo. Un Padre che celebrava nella Cappella di S. Domenico C.o nel principiare il Terremoto trovandosi nel principio della Messa si pose a fuggire fuori, e si salvò, ma il Terziario Scampiato da Norcia, che gli serviva la Messa si pose a fuggire verso la Sacristia e restò sotto le ruine. Gl’altri Padri finito di cadere la Cuppola, et altro della Chiesa, se ne uscirono tutti salvi, ma poco doppo usciti, sani, cadde il Choro. Racconta il S. Gio. Battista Ronchelli, che nella mattina suddetta delli 2 havendo fatto le sue divozioni si portò a Colle Maggio per adorare il S. Protettore, e tutto che distornato da molti, che stavan fuori, entrò, e genuflesso avanti il Santo, nel principiare ad orare, sentì dirsi tre volte va via; onde partitosi, incontratosi fuori dalla Chiesa con un contadino, gli raccontava il fatto, aggiungendo che egli presagiva qualche sventura da un salvamento, e nell’avanzarsi alla Porta di Bazzano, come tal racconta, si scosse la terra, e deplorò le ruine rimanendo egli salvo,non che di Colle Maggio, ma di tutta L’Aquila nel cadere la Chiesa di Colle Maggio, restarono sotto le ruine dece otto, o nove Contadini, che non si mossero nel fuggire che fece il Sacerdote celebrante, che fu il Padre Celestino Corcecie della Chiesa.
La Piazza dell’Aquila rovinata tutta nelle sue botteghe, sta piena di Baracche. Le fontane di detta Città non mandano acqua perché in quel gran moto si guastarono i condotti. Le monache stanno tutte salve nelle Baracche, e le Monache Celestine distintamente nei loro Monasterij si trovano nelle Baracche colla Custodia de’ propri Confessori. I morti, tra Gentiluomini e Cavalieri saranno due cento, quali con testimonianze non s’avisano, per che a chi non li conosce non giova di saperlo, et in tutto ascendono i morti a duemila e duecento. Da ottocento, e più sono i feriti, e si è fatto per essi un ospidale nel Borgo di S. Bernardino.
Il Preside che vi stava è partito, e è venuto nell’Aquila per Preside e Vicario Generale delle due Provincie destinato dal Viceré il Marchese Garofalo, il quale assiste con ogni vigilanza, et ha condannato molti alla forca perché nel cercare furono più Ladri, che Cavatori. Egli medesimo disse nel raunare L’Aquila così destrutta, che non li persuadeva una strage così grande viepiù fa cavare, e dar sepultura a morti, ma finora non sa à qual partito appigliarsi, perché quei che son rimasti in vita, sono restati senza robba. Atteso che la terra dei Baroni dell’Aquila se non in tutto, in parte sono bersaglio dell’istessa sciagura; oltre di che pensare di non abbandonare per un pezzo le Baracche, perché stimano che per quest’anno habbiano a continuare i terremoti, e sarebbero con tal supposto, ò timore molto sciocchi di rifabbricare alle temute ruine. Di quando in quando si sentono nell’Aquila moti di terra, come spari d’Artiglieria, che causano qualche tremore di sopravanzati malconci Edificij, senza però la caduta di essi, benché sia falso il sotterraneo continuo fragore, che si dice in Roma.
Nel Castello l’esteriore facciata è rimasta in piedi, ma intronata, e nel di dentro sono cadute tutte le abitazioni con la sola morte di una donna.
Nella sopradetta rovina rimasero intatte le Carceri, ma dal Tribunale e Città furono liberati i Prigionieri, e credo che resa la Città soggetto di Compassione, e misericordia non più pensasse ad esercitare i rigori delle giustizia.
Il Palazzo dell’Udienza precipitò nel di dentro, e tutto s’intronò de fuori, onde l’Aquile rinchiuse hebbero per tale eccidio, senza che alcuno le liberasse, la libertà ma volarono alla morte perché nel largo del Castello morirono, quasi che la Città dell’Aquila Regina del Sannio, sì lacrimevolmente destrutta non fusse più in istato d’esser bella Regia d’Aquile altiere, e superbe, ma mondo di vilissimi Gufi e pipistrelli, così portando la fatalità di questa terra che quanto più pensa di stabilirsi nelle Grandezze, allora più manca e fallisce.