testo di Ivan Masciovecchio.
Posto a dominio della Valle dell’Aventino, circondato dagli incantevoli scenari naturali offerti dalle rotonde cime della Maiella madre e dal lago Sant’Angelo, il borgo di Gessopalena (CH) ha inciso fin nel toponimo la straordinaria peculiarità del proprio antico abitato, in origine interamente scavato e modellato nella cristallina roccia di gesso di cui la zona era ricca soprattutto in prossimità del grande masso chiamato La Morgia, attualmente impreziosito dall’opera site specific Orizzonti realizzata nel 1997 dall’artista greco Costas Varotsos.
Distrutto e quindi abbandonato in seguito al terremoto del 1933 e soprattutto dalle mine piazzate dai tedeschi in ritirata durante la Seconda guerra mondiale – che nella vicina località di Sant’Agata, lungo la Linea Gustav che proprio qui passava, il 21 gennaio 1944 si resero protagonisti di uno degli eccidi più efferati compiuti in Abruzzo, con 42 morti accertati e molti altri dei quali non è stata possibile l’identificazione – oggi del paese vecchio resta intatta la memoria di un passato intangibile ma che continua ad aleggiare tra i resti di quelle silenziose pietre lucenti che al tramonto, colpite dai raggi del sole, sembrano quasi prendere fuoco, trasportando il visitatore in una dimensione onirica e sospesa.
Medaglia d’oro al valore civile e sede istituzionale della fondazione Brigata Maiella, tra le diverse particolarità Gessopalena – così come altri comuni del comprensorio – insiste su un territorio di montagna dove la coltivazione della vite – ma non solo – ha origini antichissime, ben prima dei romani, risalenti addirittura alla fine dell’Età del bronzo, tanto che per il botanico e naturalista Aurelio Manzi la Maiella può essere considerata a ragione come una vera e propria arca di Noè della biodiversità gastronomica d’Abruzzo. Restando in ambito enologico, atti notarili testimoniano fin dal 1800 la presenza su queste colline dei vitigni Nero Antico e Vedovella Nera, abbandonati ai primi del Novecento e da diversi anni al centro di un progetto di recupero che vede coinvolti meritevoli attori pubblici e privati, nonché un paio di agricoltori custodi locali che hanno reimpiantato materialmente in piccoli appezzamenti di vigna (vecchi e nuovi) diverse barbatelle recuperate nel 2003, dando avvio così alla sperimentazione.
Con il supporto dell’amministrazione comunale, della Regione Abruzzo e della facoltà di Bioscienze e Tecnologie Agro-Alimentari e Ambientali dell’Università di Teramo, quindi, da circa tre anni si sta procedendo ad una serie di analisi chimiche e del DNA sui due vitigni a bacca rossa che parrebbero confermare – dal confronto con quelli presenti nelle principali banche dati genetiche italiane – che il Nero Antico non presenta alcun tipo di parentela mentre la Vedovella Nera risulterebbe essere un clone di Sangiovese. Dopo l’iscrizione nei Registri Regionale e Nazionale delle Biodiversità e nel Registro Comunale DE.CO (Denominazione Comunale), il prossimo obiettivo sarà la registrazione del Nero Antico di Pretalucente nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite (RNVV), dossier già in via di predisposizione grazie alla collaborazione dell’Università di Perugia e che rappresenterà il punto di partenza (e non di arrivo) di un processo che in futuro dovrebbe portare alla valorizzazione dell’intero comprensorio del Sangro-Aventino.
Vitigno tardivo, con maturazione ben oltre la metà di ottobre, il Nero Antico di Pretalucente presenta un grappolo spargolo, non serrato, con acini grossi e poco zuccherini, dotati di una buccia spessa che agevola un uso limitato di fitosanitari. Dopo la prima micro-vinificazione del 2020 realizzata nella cantina sperimentale Montecristo dell’Istituto tecnico agrario di Todi (PG) con una quantità di uve davvero limitata, nel 2021 i quattro vigneti del progetto hanno prodotto in totale circa 350 kg di uve ripartiti tra i 112 kg provenienti dalla vigna di Gessopalena impiantata nel 2004 dall’agricoltore custode Mariano Bozzi con allevamento a guyot, più altri 64 ricavati dal suo nuovo impianto del 2019 allevato a cordone speronato; 112 kg dalla vigna posizionata sempre a Gessopalena e di proprietà dell’altro agricoltore custode Nicola Mattoscio, impiantata nel 2019 con allevamento a cordone speronato; infine 64 kg ricavati dal vigneto catalogo della Regione Abruzzo impiantato a Casacanditella nel 1990 con allevamento a guyot.
A pochi mesi dalla vendemmia, nell’ambito della XV edizione del Pescara Abruzzo Wine Premio Vino e Cultura organizzato negli spazi espositivi dell’Aurum, nei giorni scorsi si è avuta la possibilità di assaggiare alcune bottiglie di Nero Antico annata 2021, sia nella versione in Rosso, sia anche nella varietà Rosato sulla quale la Cantina Orsogna, coinvolta nel progetto, ha intenzione di puntare con convinzione – sperimentandone pure la spumantizzazione – in quanto l’alcolicità contenuta e la consistente acidità delle uve potrebbero garantire la riuscita di bollicine e vini fermi di assoluta qualità.
Di bella tonalità rubino con riflessi violacei, anche il Rosso si è caratterizzato per la sua freschezza ed originalità grazie ad una notevole spalla acida, lasciando in bocca una leggera nota astringente ma non tannica ed il gusto lievemente amarognolo dei frutti rossi poco maturi. Un vino che potrebbe ritagliarsi un proprio spazio nell’universo enologico regionale dominato dal vigore del Montepulciano d’Abruzzo, anche se la strada è ancora lunga ed irta di difficoltà, proponendosi come una bevuta più amichevole ed immediata. Almeno restando al Nero Antico dei vigneti di Gessopalena, perché quello ottenuto a quote più basse e vicine al mare dalle uve dei terreni di Casacanditella, all’assaggio comparato ha mostrato sicuramente un corpo più strutturato ma anche un sorso più standardizzato, omologato, simile a qualcosa di già conosciuto, perdendo gran parte della propria originaria freschezza.
Come auspicato anche dall’enologo e direttore della Cantina Orsogna Carmine Zulli, sarebbe opportuno che il Nero Antico di Pretalucente restasse legato all’antico areale di provenienza, prevedendo magari l’utilizzo dei lieviti autoctoni presenti sulle bucce – in grado, si è visto, di attivare la fermentazione – in modo da poter puntare decisi sul concetto di terroir sul quale fare leva nella promozione e valorizzazione anche in chiave turistica delle terre del Sangro-Aventino. Puntare sulla tutela della biodiversità e sul recupero delle specie autoctone, oltre a fornire il valore aggiunto per restare competitivi con il resto del mondo, rappresenterebbe uno strumento di salvaguardia delle aree interne sempre più desolatamente abbandonate; una straordinaria occasione di sviluppo per tutti coloro che qui sono nati e vogliono continuare a vivere, riscaldati dal sole riflesso da quelle pietre lucenti intrise della memoria dei propri avi.