testo di Chiara Di Giovannantonio / foto Mauro Vitale.
Sorta ai piedi del Monte Velino, Alba Fucens fu uno dei più antichi centri della colonizzazione latina nel cuore dell’Abruzzo, a due passi dal bacino un tempo occupato dal lago Fucino. La città si estese soprattutto nella zona bassa compresa tra tre colline, in un verde pianoro a circa mille metri d’altezza.
Fondata a 68 miglia dall’Urbe, l’antica città romana di Alba Fucens, che oggi giace seminascosta nell’entroterra aquilano, è un tesoro dell’archeologia tutto da scoprire. I suoi resti sono riemersi durante gli scavi avviati nel 1949 dall’Università di Lovanio, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica dell’Abruzzo, e proseguiti fino alla fine degli anni Settanta, per poi essere ripresi nel 2006 sia dalla Soprintendenza che da Università italiane e straniere. Anche il moderno Comune di Massa d’Albe, nel cui territorio si trova l’area archeologica, conserva nel nome un ricordo dell’antica gloria di Alba Fucens, perno importante costruito sulla via Valeria, prosecuzione della Tiburtina che collegava Roma all’Adriatico. A determinare lo sviluppo della città, legata a doppio filo alle vicende militari che ebbero luogo nell’Italia centrale, è stata la sua particolare posizione geografica.
Il sito archeologico, sempre aperto, può essere visitato gratuitamente, a meno che non si preferisca affidarsi ad una guida. La città si è sviluppata lungo una griglia delimitata dalle strade dell’antico decumano e del cardo.
Passeggiando per l’odierna Via del Miliario, così chiamata per il rinvenimento del miliario del 352 d. C. che segnava la distanza della città da Roma, i visitatori possono osservare numerose tabernae, ambienti dedicati ad attività commerciali, e una domus, la cosiddetta “casa imperiale”, con numerose stanze divise da muri e pavimenti mosaicati, oggi coperti. Proseguendo lungo la parallela via dei Pilastri, da sud verso nord, si possono ammirare il santuario di Ercole, costituito da una piccola cella e un grande piazzale circondato da un doppio portico; il complesso termale, che presentava originariamente dei pavimenti a mosaico, in alcuni casi decorati con raffigurazioni di animali marini; il vicino macellum, un’area circolare destinata al mercato; la basilica di epoca sillana e l’area del foro, al momento ricoperta.
Anche le imponenti mura a difesa della città, che contava su quattro ingressi (Porta Follonica, Porta di Massa, Porta Sud, Porta Massima), sono ben conservate, estendendosi fino a 3 chilometri intorno alle zone abitate. I resti del teatro, scavato sulle pendici del sovrastante colle Pettorino, evocano l’immagine di una fiorente vita culturale, finanziata dai ricchi mercanti che giorno dopo giorno commerciavano nella colonia. Nei livelli inferiori di Alba Fucens si trova un’antica cloaca realizzata con grossi blocchi di pietra, un efficiente sistema di fognature che serviva per il convogliamento e lo smaltimento delle acque. Se il centro monumentale della città è un esempio di urbanistica che risale principalmente alla fine del periodo repubblicano nel I secolo a.C., l’anfiteatro e alcune abitazioni private sono state costruite nel I secolo d.C. Nello stesso periodo, sotto l’imperatore Claudio, i Romani tentarono di prosciugare, attraverso un’opera idraulica di alta ingegneria, l’area occupata dal lago Fucino, all’epoca terzo per estensione in Italia.
I Romani fondarono la colonia di Alba Fucens nel 303 o 304 a.C., subito dopo la sottomissione della popolazione equa, trasferendo lì circa 6000 coloni che edificarono una prima cinta muraria. La città si alleò costantemente con Roma, in un primo momento contro i Sanniti, ed in seguito contro i Cartaginesi, contribuendo così alla difesa della Repubblica contro Annibale durante la seconda guerra punica con l’invio, nel 211 a.C., di un contingente di 2000 uomini. Come riportato da numerose fonti di età repubblicana, nel II secolo la città servì come una fortezza-prigione in cui vennero relegati illustri sovrani detronizzati del calibro di Siface, Perseo e Bituito. In età imperiale Alba visse un periodo prospero e fiorente raggiungendo la sua massima espansione: interi quartieri furono ricostruiti e il suo centro venne completamente ristrutturato secondo le idee ellenistiche della pianificazione urbana, come testimoniato dalle iscrizioni e dai resti archeologici rinvenuti.
Tra i più noti esempi scultorei rinvenuti ad Alba Fucens, merita una menzione particolare il colossale Eracle Epitrapezios, scoperto nel 1960 nel sacello del santuario cittadino ed attualmente esposto nel Museo archeologico nazionale di Chieti, a Villa Frigerj. L’opera, che deriva da un modello perduto dell’artista Lisippo, ritrae Ercole mentre siede ad un banchetto; l’eroe è sempre pronto all’azione, come indicato dalla clava che stringe nella mano destra. Ci sono poi la Venere di Alba e la Venere Armata, scoperte in una taberna di via dei Pilastri dove furono spostate in epoca tarda insieme ad altre sculture. Nella città romana, in cui durante il II sec. d.C. fu eretto anche un tempio dedicato a Iside o Serapide, sono stati recuperati diversi reperti lontani dal loro contesto di origine, di cui sono un esempio la statuetta funeraria del faraone Nectanebo I, il gatto sacro di Bastet e un’immagine di Anubi-Hermes.
«Ci sono ancora molti scavi archeologici in corso da parte dell’Università di Foggia, dell’Università di Bruxelles e della Soprintendenza Archeologica dell’Abruzzo, che stanno restituendo importanti reperti», ha sottolineato Emanuela Ceccaroni, funzionaria archeologa della Soprintendenza, «Fra le scoperte più recenti, c’è quella effettuata nella zona sud-occidentale del foro ha riportato alla luce un calendario dipinto su cui sono indicati i giorni fasti e nefasti, le festività e i Fasti con i nomi dei consoli dal 90 a.C. al 30 d.C. con vicende che fanno riferimento a Cesare, Cicerone e Marco Antonio».
In altri interventi, portati avanti dalla stessa Soprintendenza, tra il 2011 e il 2014 sono stati rinvenuti numerosi oggetti di legno all’interno di un grande pozzo, situato nel piazzale del santuario di Ercole, tra cui figurano porzioni di mobili, pettini, applique e tavolette cerate. «Si tratta di reperti di non facile ritrovamento, perché il legno si conserva solo in alcune condizioni. La presenza dell’acqua è stata fondamentale», ha continuato Ceccaroni, «Il rinvenimento di numerose tabulae ceratae (tavolette spalmate di cera che si utilizzavano per la scrittura, ndr), rappresenta una scoperta alquanto unica nel panorama italiano. Ce ne sono altri esempi solo a Pompei ed Ercolano, ma si tratta di reperti carbonizzati. Su alcune tavolette di Alba Fucens le parole tratteggiate dallo stilo durante la scrittura sono rimaste incise sul legno». Mentre si porta avanti il progetto che vorrebbe l’istituzione di un museo proprio ad Alba Fucens, in cui esporre gli innumerevoli reperti emersi nel corso degli anni, si avvia a conclusione in questi giorni anche l’annuale campagna di scavi archeologici dell’Università di Foggia, diretta dai professori Riccardo Di Cesare e Daniela Liberatore, che interessa il settore meridionale dell’antico Foro cittadino.
«I nuovi scavi – spiegano i due docenti universitari – hanno finora portato alla luce una delle botteghe aperte sulla piazza forense, un tratto dell’antistante portico colonnato e un imponente muro di terrazzamento in grandi blocchi, all’interno del quale sta venendo alla luce un quartiere artigianale per la produzione di oggetti votivi risalente al primo secolo di vita della colonia (III sec. a.C.)».
Ai monumenti dell’antichità romana oggi si associa l’eccellenza artistica dell’epoca medievale, di cui è un fulgido esempio la Chiesa Basilica di San Pietro, costruita sulla collina più alta della città, sopra i resti della struttura templare dedicata ad Apollo. L’edificio cristiano, già esistente nel VI sec. d.C. e risalente nei suoi principali elementi al XII secolo, è uno dei gioielli dell’architettura sacra d’Abruzzo, che conserva ancora oggi al suo interno un mirabile esempio di iconostasi realizzata nello stile cosmatesco, caratterizzato da decorazioni di svariate forme create con intarsi di marmi policromi. Nelle chiese occidentali non è comune vedere questo tramezzo di divisione tra presbiterio e navate, soprattutto dopo il concilio di Trento, quando, nella metà del ‘500, molte delle antiche strutture furono eliminate con l’adozione di alcune riforme liturgiche. Il terremoto che colpì la Marsica nel 1915 distrusse quasi del tutto la Basilica, privandola di gran parte delle strutture architettoniche e degli affreschi. Rimasero al loro posto solo l’antica cella del tempio di Apollo, ancora oggi ravvisabile nella struttura della chiesa, e l’ambone – una tribuna rialzata a doppia scala utilizzata per la lettura del Vangelo – ma alla fine degli anni Cinquanta fu eseguito un sapiente restauro che riportò l’edificio religioso al suo splendore. Tutte le opere recuperate dopo il sisma sono state raccolte nel Museo d’arte sacra della Marsica, ospitato nelle sale del castello Piccolomini di Celano.