Testo Laura de Benedictis Foto Giancarlo Malandra
I resti dell’antica Peltuinum ci raccontano di un ricco passato legato ai ritmi della transumanza. Qui, sul tracciato che collegava L’Aquila a Foggia, si può ancora percorrere un viaggio nella storia, che da Roma arriva fino a noi.
L’aria è leggera e silenziosa. Sembra che la Storia stia lì, ferma e immobile ad osservare, sorveglita a nord dal Gran Sasso e a sud dalle montagne del Sirente – Velino. Chi si trova infatti a raggiungere il pianoro che sta sull’altopiano di Navelli, tra i comuni di Prata d’Ansidonia e San Pio delle Camere, potrà incontrare quel che resta del centro di Peltuinum, antica città dei Vestini, poi passata nell’orbita di Roma. Tra la valle del Tirino e quella dell’Aterno, naturali attraversamenti dell’Appennino Abruzzese, il tempo ha coperto e poi restituito le sue importanti testimonianze facendo emergere i resti di un passato che sembra quasi volerci raccontare quel che fu.
LA STORIA
Cicerone così ci descrive la romana Peltuinum: “Da principio fu Prefettura, quindi Municipio Romano col nome di Res Pubblica avente un collegio splendidissimo di Decurioni e di Padri Coscritti o Senatori municipali. Ebbe patroni e patrone; Edili e Prefetti quinquennali, Prefetti iuredicundo; Questori della Repubblica, del Municipio, Curatori dell’Annona, Flamini Augustali e Seviri, Collegi sacerdotali di Ercole, di Silvano e di Mercurio Augusto oltre che la sacerdotessa di Venere Felice”. La città dovette essere un importante centro commerciale, trovandosi sull’antico asse tratturale che ancora oggi si conserva quasi intatto. Fondata tra la metà del I secolo a. C. e la prima metà del I d. C., nel territorio allora abitato dai Vestini, popolazione italica di lingiua osco-umbra, venne poi conquistata dai Romani, accrescendo da allora in avanti il suo ruolo politico ed economico, nonché strategico nel controllo dei traffici commerciali legati ai percorsi della transumanza, in quanto importante punto di passaggio dalla capitale al mar adriatico.
Una straordinaria posizione che rese Peltuinum un crocevia di fondamentale valore, del cui ricordo si aveva testimonianza ancora fino a non molto tempo fa, dato che il pianoro aveva continuato ad esercitare il suo ruolo negli spostamenti della transumanza grazie all’attraversamento, da Est ad Ovest, del Regio Tratturo Borbonico che collegava l’Abruzzo e la Puglia per il transito dei pascoli e del bestiame. Un “erbal fiume silente”, come lo definisce Gabriele d’Annunzio nella poesia “I Pastori”, che rappresenta la nostra stessa identità e le nostre radici, quelle di una civiltà legata alla pastorizia, e che ci permette di riscoprire il legame tra passato e presente attraverso le trasformazioni economiche, sociali e culturali avvenute nei territori da esso attraversati. Giunti sul posto, la scena che si presenta di fronte agli occhi dei visitatori mostra i segni di quello che rimane dell’antica città romana, permettendo di ricostruire o soltanto immaginare quella che poté essere la vita di questo centro. Una vita che ha lasciato tracce all’incirca fino al V secolo d.C. quando, probabilmente a causa del forte terremoto del 443 che coinvolse numerose città appartenenti alla “regio”, seguì un lungo periodo di abbandono del luogo, testimoniato tra l’altro da una fase di spoliazione del materiale edilizio e decorativo degli edifici, per cui capitelli, colonne e decorazioni architettoniche finirono per essere riutilizzati nelle chiese e nei castelli del territorio circostante, come testimoniato in particolar modo dalle chiese di San Paolo a Peltuinum, Bominaco e Prata d’Ansidonia. Se la città romana dunque lentamente scomparve, possiamo però dire che almeno fino al 1600 il luogo continuò a comparire in parte abitato, ed ancora fino al XVII secolo il sito antico fu ancora utilizzato. Allora la vita si dovette probabilmente spostare lungo l’asse viario, che continuò a rimanere in funzione garantendo ancora il percorso alla transumanza. La città romana sarebbe stata calpestata ancora per molto tempo, le vie della transumanza avrebbero ancora conosciuto il nome di Peltuinum, e presto serebbero riemerse le sue rovine.
GLI SCAVI
Tra il 1983 ed il 1985, grazie ad un lavoro di collaborazione tra la cattedra di Topografia dell’Università “La Sapienza” di Roma, la Soprintenzdenza per i Beni Archeologici d’Abruzzo, la comunità montana e gli enti locali, si diede il via alle prime campagne di scavo nella zona. Sarebbero ben presto emerse diverse strutture, dalle mura di cinta alla porta occidentale. Ma di particoloare interesse e valore fu sicuramente il rilievo dell’imponente complesso Teatro-Tempio, rispondente ai modelli architettonici ed urbanistici tipici della Roma di Età Augustea.
Il Teatro, curiosamente collocato fuori le mura, rispetto alla consuetudine, presenta un impianto di Età Augustea, mentre il suo ampliamento dovrebbe collocarsi attorno alla metà del I d. C. , e fu realizzato, in gran parte sfruttando il pendio naturale della collina, in opus cementizio con paramenti reticolati sostituiti, in alcuni punti, da blocchetti disposti orizzontalmente. Gli scavi archeologici hanno evidenziato che in tempi antichi (forse epoca Giulio-Claudia), non molto posteriori alla sua costruzione, si verificò uno smottamento del terreno che rese necessaria la costruzione di contrafforti in opera reticolata. E’ nota inoltre anche la posizione dell’Anfiteatro, quest’ultimo invece collocato all’interno delle mura e reso visibile dall’affossamento del terreno sul lato nord della città. Di particolare rilievo infine è lo spazio che è stato individuato quale collocazione di quello che doveva essere un Tempio di ordine corinzio a sei colonne probabilmente dedicato a d Apollo. Tale dedica è stata dedotta dal rinvenimento nei pressi, di una mensa lapidea per offerte recante sul fianco l’iscrizione APELLUNE (variante in dialetto italico per il latino Apollini), che testimonierebbe dunque la trascrizione in età tardo repubblicana di una dedica vestina riconducibile al culto nei confronti del dio. Un’ipotesi che trova inoltre conferma dal fatto che il culto di Apollo, probabilmente con riferimento a quell’Apollo “Eπιµηλιος” (guardiano delle greggi), figura di una mitologia greco-romana sempre ricca di divinità legate alla pastorizia, risulta spesso attestato lungo gli itinerari della transumanza, come testimoniato ad esempio dal tempio di Apollo di Colle S. Pietro ad Alba Fucens o dalla dedeica di C. Cisiedio rinvenuta a Trasacco. Oggi del Tempio resta purtroppo solo il nucleo del podio in calcestruzzo oltre ad alcune tracce lasciate dalla demolizione dell’edificio, sotto la forma di foglie di capitelli, listelli di colonne o pezzi d cornici. Tutti i ritrovamenti ad oggi continuano ad essere oggetto di studio da parte degli archeologi e l’aerea prosegue così a fornirci i tasselli per completare il grande puzzle della nostra Storia. Intanto, qui dove passarono traffici, pastori, greggi, dove Roma conobbe la sua alba ed il suo tramonto, ancora si cammina.