Testo di Fulgenzio Ciccozzi
In uno dei rilievi che si specchia sulle nevi del Sirente si adagia un piccolo borgo di 56 anime: Bominaco. Il paese è costituito da palazzi signorili settecenteschi dotati di cortili interni e portali “blasonati” la cui eleganza architettonica cela un fiorente passato. La magica atmosfera che si insinua tra i vicoli dell’abitato è rotta qua e là da opere murarie, caoticamente edificate e sommariamente intonacate, che ne compromettono la sacralità architettonica. Accanto all’abitato, all’ombra del castello recinto (XIII), nei pressi dell’ex ambulatorio, nonché ex scuola, sono dislocati quattro Map: segno che il sisma ha allungato i suoi artigli anche in questi luoghi, evidentemente non sufficientemente lontani dall’epicentro. Prima di giungere nelrione Milord, in via della Madonnella, il colore nero di una porta, inserita in una nicchia a forma di arco, segna l’ingresso di quello che era il vecchio forno. Poco distante, nello slargo posto al centro del paese, si nota, abrasa dal tempo, la figura di un orologio disegnata sulla facciata di casa Schiappone; Eliseo, un affabile ottuagenario del paese, ricorda di non averlo mai visto funzionare.
Di rimpetto a casa Agrippa, una scritta propagandistica d’epoca, leggermente sbiadita e parzialmente celata da spruzzi di calce bianca, ancora permane sul prospetto di una chiesa inagibile. Dal monte “Turrito” che domina il paesaggio alpestre circostante si distingue, a valle, un pianoro solcato da una carrareccia. La via brecciata si insinua tra due piccoli rilievi e si lascia alle spalle un laghetto che le piogge primaverili, incuranti degli argini, hanno lasciato tracimare. La valle è composta da campi erbati, a tratti arativi, che si perdono in un breve corridoio protetto da conifere e querce. Sul declivio di un colle che lambisce la conca, un cimitero di alberi si pone alle soglie di una località meglio nota come “’Ntravazz”. Le radici della storia monasteriale dell’agro bominacense affondano nell’epoca carolingia, periodo in cui l’abbazia di Farfa dispiegava i suoi possedimenti anche in questa sorta di tebeide appenninica, e che il Chronicon, più tardi, menzionava con il toponimo Mamenacus. Nell’ XI, il cenobio benedettino, oggi diruto, dovette aver raggiunto una cospicua forza economica e spirituale se fece suo l’aforisma latino nec de jure nec de facto quando volle rimarcare la sua indipendenza dalle pretese della Diocesi di Valva che ne minava l’acquisita autonomia. L’oratorio di San Pellegrino, posto a fianco della chiesa romanica di Santa Maria Assunta, contiene al suo interno la più alta espressione pittorica figurativa dell’arte abruzzese medievale che trae spunto, in parte, dai racconti evangelici.
La calda tonalità delle tinte rende tenue il passaggio dei chiaro-scuri e dona plasticità alle immagini. Nel contesto del ciclo pittorico vi è raffigurata una delle prime immagini di San Francesco (quivi rappresentato privo di stimmate), segno dell’attenzione che i monaci riponevano nell’audace pensiero innovativo che il poverello di Assisi volle, a suo modo, imporre alla Chiesa Romana. E’ sera. La luce spenta dell’unico bar decreta la fine del giorno. Il gestore del locale tiene aperta l’attività di ristoro anche nei giorni, e sono molti, in cui non ci sono avventori da servire, ma comunque obblighi fiscali da assolvere e utenze da pagare! La realizzazione di necessarie ma non invasive aree di sosta attrezzata contribuirebbe a valorizzare questi luoghi, e magari, perché no, consentirebbe di far conoscere le meraviglie di un Abruzzo recondito capace di destare ancora emozioni, in un posto in cui la natura e l’arte sembrano aver trovato un felice connubio.