testo e foto di Ivan Masciovecchio.
Si rimane letteralmente senza parole una volta raggiunta la terrazza dell’appena restaurata torre vinaria della Cantina Frentana di Rocca San Giovanni, in provincia di Chieti, tornata a nuova vita grazie ad una intelligente opera di ristrutturazione portata avanti senza stravolgere l’originaria idea progettuale del 1958. Un giramento di testa, un mancamento che toglie il fiato e lascia interdetti davanti alla grande bellezza che da lassù l’Abruzzo è in grado di regalare. Un colpo d’occhio rotondo che – tempo permettendo – dall’orizzonte marino della Costa dei Trabocchi permette di arrivare fin sulle vette della Majella madre, lambendo i confini di Lazio e Molise confusi in lontananza.
Venticinque metri di altezza per venti di diametro, culminanti in una vertiginosa sala esperienziale dotata di un tavolo circolare di cristallo attraverso il quale osservare il lavoro in cantina procedere sotto i nostri occhi nei piani inferiori all’interno della torre. Un luogo sospeso davvero unico in Abruzzo «ideato per promuovere con l’impegno e la passione che da sempre mettiamo nella nostra attività i vini e, soprattutto, il territorio che ci circonda» ha dichiarato durante la serata inaugurale il presidente della Cantina Frentana Carlo Romanelli. Uno spazio che almeno nelle intenzioni dei titolari dell’azienda in futuro vuole mettersi a disposizione della comunità, ospitando manifestazioni, momenti d’incontro, convegni e presentazioni di libri.
Al taglio del nastro – condotto dal giornalista Paolo Castignani – c’erano, tra gli altri, il presidente regionale AIS Abruzzo Gaudenzio D’Angelo, il segretario regionale Slow Food Abruzzo e Molise Raffaele Cavallo ed il curatore della guida del Gambero Rosso Alessandro Bocchetti, secondo il quale nella nostra regione negli anni passati abbiamo assistito ad una dismissione del cemento perché puzzava di povero, favorendo legno e barrique considerati a torto materiali più nobili. «Attualmente l’Abruzzo non riesce a buttare il cuore oltre l’ostacolo, nel vino ma soprattutto nella gastronomia; dovremmo invece riscoprire l’ambizione di essere abruzzesi; questo progetto va in quella direzione».
Dopo i saluti di rito, l’ingegnere marchigiano Francesco Guzzini è entrato nel dettaglio dei lavori di restauro, riconoscendo la lungimiranza del fondatore della cantina Gianni D’Agostino che nel 1958 si affidò al brevetto dell’enologo Emilio Sernagiotto per la realizzazione della torre. «Essendo di origine contadina, ho affrontato questo progetto con grande spirito di umiltà e con la consapevolezza di quanto lavoro ci sia dietro un bicchiere di vino – ha esordito –. Ho cercato di far parlare il luogo, senza abbattere la sua memoria storica, mantenendo ad esempio tutti i boccaporti per l’ispezione del mosto perché da lì si può percepire come si operava in cantina. Abbiamo lasciato tutti i rivestimenti originali in gres porcellanato, così come questa sorta di camino centrale che aveva la funzione di far evacuare i fumi che si producevano durante la fermentazione. Ad esso abbiamo integrato una parte esterna completamente nuova con tubi ad anello che serve da impianto di aria climatizzata».
Soffermandosi sulla sala esperienziale – il cuore di tutto il progetto – ha rimarcato la particolarità del pavimento, «che abbiamo realizzato in legno di rovere, utilizzando un sistema di montaggio che ricorda quello della botte. Altra attenzione è stata rivolta alla luce, prevedendone una diffusione indiretta mediante specchi i quali, grazie alla presenza di diverse sfaccettature, sono in grado di spezzettare il flusso luminoso in tanti raggi raggiungendo l’oggetto da direzioni diverse. Rappresenta un sistema di illuminazione particolare, che avvolge l’ambiente, solleticando la nostra parte sensitiva e toccando il cuore delle persone. Perché l’intuizione di questa sala – ha concluso – è proprio quella di stimolare tutti i nostri sensi in modo tale che ci consentano di apprezzare non solo il vino ma tutto il territorio. Vogliamo che questo progetto rappresenti un ponte verso il futuro e che questo giorno inaugurale sia inteso come un nuovo 16 novembre 1958 dal quale ripartire».
E’ con la testa ancora vorticosamente immersa nella luce di questa sorta di faro moderno puntato su un trascurato spicchio d’Abruzzo frentano che si riprende la via di casa, insieme alla piacevole consapevolezza che – volendo – un’altra regione è davvero possibile. Percorrendo i pochi chilometri che dall’interno conducono sulla litoranea Costa dei Trabocchi, i continui sobbalzi dell’auto dovuti ad un fondo stradale sconnesso, la vegetazione fin troppo rigogliosa che avvolge e limita la carreggiata, nonché alcuni piccoli smottamenti di terra dovuti alle piogge insistenti di questi giorni, mi riportano però ben presto con i piedi per terra. All’ennesimo sussulto la testa smette improvvisamente di roteare rapita, la fiducia verso le istituzioni scende sotto la soglia di sbarramento ed a girarmi adesso sono cose di cui non si può dire e che vi lascio facilmente immaginare.
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