Casoli è un delizioso borgo della campagna chietina, abbarbicato su di un poggio ricoperto da una rigogliosa vegetazione interrotta da grandi macchie di ulivo, pianta molto costumata in questo paese tanto che, negli ultimi anni, è diventato uno degli elementi tradizionali che lo contraddistinguono, insieme alla lavorazione della “porchetta” e alla coltivazione della vite. Nei pressi si trova il bel lago, nato dalla costruzione di una diga
di Nicoletta Travaglini
Al centro del paese si staglia l’imponente sagoma del castello ducale, con le sue pietre chiare che danno un aspetto quasi magico a questa ieratica costruzione; esso sorge su un antico insediamento dei Carracini, popolazione italica di ceppo sannitico, chiamato “Oppidum Cluviae” e risalente al V secolo a. C. e fu, tra le tante cose, presidio del console Aulio Cerretano; questo insediamento divenne fondamentale dopo la sconfitta subita dai romani alle Forche Caudine. Nel territorio di Casoli, e più precisamente in località piano la Roma, si trovano i ruderi di un antico municipio romano: la città di Cluviae. Secondo quanto riporta Tito Livio, nel 313 a. C. questa città fu presidiata dai romani per impedire che fosse conquistata dagli italici alleati degli etruschi così da diventare un serio problema per l’impero, in quanto avrebbe dato maggior impulso alla civiltà etrusca allora concreta minaccia per Roma. Il castello di Casoli, detto “d’altura”, si sviluppa intorno alla torre d’avvistamento, la quale era collegata visivamente a quella di Altino e alla vicina torre di Prata, nota anche come “la torretta”; la fortificazione era l’avamposto del feudo omonimo e fu per la prima volta menzionata tra i beni dei benedettini di Montecassino intorno all’anno mille. Sempre in questo periodo vi furono degli insediamenti di monaci di rito greco-bizantino che si stabilirono presso la torre del tenimento di Prata; tra essi si annoverano diversi Santi eremiti come San Falco, San Franco, San Nicola e San Pietro da Morrone. Successivamente il castello di Casoli divenne una proprietà dell’immenso feudo di Manoppello e fu un regalo di nozze fatto a Napoleone Orsini da parte di sua moglie Tommasa Palearia, facente parte del ramo cadetto della potente casata dei principi Di Sangro e figlia unigenita di Gualtieri; gli Orsini erano, invece, principi dell’omonimo casato romano ed espansero la struttura del castello rispetto alla semplice torre originale, aggiungendo una cappella privata. Dopo di essi, il maniero passò nelle mani di un condottiero di Perugia, tal Bartolomeo D’Alviano.
Nel ‘500 il feudo passò di mano in mano divenendo in rapida successione proprietà di varie famiglie nobili tra le quali si annoverano i Colonna, i Carafa, baroni anche di Roccascalegna, i Crispano e infine i D’Aquino di Napoli, principi di Caramanico e duchi di Casoli, che modificarono nuovamente il castello fino a dargli l’aspetto attuale. Durante il periodo del brigantaggio postunitario, Casoli diede i natali a uno dei più combattivi “briganti” che la storia abruzzese ricordi: quel Domenico Valerio detto anche “capitano Cannone”. A lui e alla sua banda, una delle più grandi e agguerrite del Meridione, furono attribuiti novanta delitti, sottacendo altri reati contro la persona e il patrimonio. Il cadavere del Capitano Cannone non fu mai trovato e questo ha alimentato ancor di più il suo mito di “primula rossa” del brigantaggio. La sfera d’azione della “banda Cannone” era molto vasta e si estendeva dai confini dello stato pontificio fino al Molise; anche se prediligeva la zona di Roccascalegna, egli non disdegnava incursioni anche nell’entroterra vastese o molisano, dove pare che Domenico Valerio fu ucciso in uno scontro a fuoco con le forze del neonato stato italiano. Nell’800 gli inquilini del castello furono la famiglia Masciantonio, tra cui spicca la figura di Pasquale, sindaco di Casoli dal 1895 al 1900, Deputato per più di vent’anni e sottosegretario alle Poste e alle Finanze; egli fu dei promotori che portarono alla realizzazione della ferrovia Sangritana, nata su progetto di Ernesto Besenzanica. Durante il periodo in cui i Masciantonio abitarono il castello, esso divenne un vero e proprio cenacolo letterario e ospitò, tra gli altri artisti dell’epoca, Gabriele d’Annunzio, come testimoniano i motti e le frasi da lui vergate a matita sulle pareti delle stanze dove fu ospite del suo amico (e forse parente) Pasquale. Oltre a d’Annunzio, di questo circolo letterario fecero parte anche figure di alto spessore artistico come di Michetti, Francesco Paolo Tosti, lo scultore Bardella e Gugliemo Marconi. Durante la Seconda Guerra Mondiale il castello Ducale fu trasformato, dai tedeschi prima e dagli inglesi poi, in luogo di controllo del territorio circostante e fu visitato, tra le tante personalità, anche dal Generale Montgomery, che vi giunse però solo dopo la fine del conflitto. Nel 1982 il castello fu ceduto dai Masciantonio e divenne proprietà del comune. Casoli uscì dalla seconda guerra mondiale con ingenti danni in quanto si trovava relativamente a ridosso della linea Gustav. Nel 1943 alcuni partigiani della zona si unirono alla cosiddetta Brigata Majella, un raggruppamento che diede importante impulso alla liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista. Le devastazioni della guerra non risparmiarono neanche la magnifica chiesa di Santa Reparata, costruita intorno alla prima metà del 1400; fu seriamente danneggia da una bomba che produsse uno squarcio nello splendido soffitto in legno a cassettoni, distruggendolo in gran parte. Il restauro le ha restituito parte dell’antico fascino ma non il prezioso decoro. Oltre alla chiesa di Santa Reparata e al celebre maniero, Casoli può vantare anche numerosi edifici nobiliari come Palazzo Tilli, con la particolarità del portale scolpito con motivi floreali, e i palazzi Travaglini e De Vincentiis, completamente affrescati, per sottacere archi e portici lussuosamente scolpiti e decorati. Dopo la Seconda Guerra Mondiale Casoli ha conosciuto un notevole sviluppo grazie anche all’opera assidua del Barone Mosè Ricci, che nei primi decenni del ‘900 fu fautore della realizzazione di un Consorzio di Bonifica del Sangro-Aventino che, poi dopo le vicende belliche delle due conflitti mondiali, portò a un notevole sviluppo industriale della zona, tuttora in corso.