testo di Ivan Masciovecchio.
Il prossimo 25 aprile saranno passati settantacinque anni dalla Liberazione dell’Italia dall’invasione nazista tedesca, avvenuta a seguito dell’armistizio sottoscritto tra il Governo Italiano e le forze alleate anglo-americane ed annunciato alla cittadinanza l’8 settembre del 1943. Senza averne naturalmente consapevolezza, quella firma apposta a Cassibile qualche giorno prima proiettò la desolata e marginale terra d’Abruzzo sotto i riflettori della grande Storia, quella scritta con la esse maiuscola, trasformandola in un autentico crocevia dei principali avvenimenti che in maniera tragica e drammatica segnarono i mesi seguenti alla caduta del regime dittatoriale fascista instaurato da Benito Mussolini nell’ottobre del 1922.

Limitandoci agli eventi principali, fu infatti nel folto della foresta appenninica del bosco Martese, tra le asperità dei Monti della Laga, in provincia di Teramo, che si verificò probabilmente il primo episodio in Italia legato al movimento della Resistenza ed alla lotta partigiana; un primo atto di ribellione che vide semplici civili, ex militari italiani e prigionieri fuggiti dai campi di concentramento presenti nella provincia (quello di Civitella del Tronto era il terzo per grandezza in tutta Italia), unirsi e combattere per un comune ideale contro l’invasore tedesco. Oggi a prevalere è la bellezza di una natura rigogliosa, fruibile grazie a comodi e panoramici sentieri che partendo ad esempio dal piazzale del Ceppo, a più di 1300m di altitudine, consentono al viaggiatore di addentrarsi fino alla cascata della Morricana, una delle principali attrazioni della zona.

Spostandoci in provincia dell’Aquila, fu sempre nell’Abruzzo montano, tra le vette appenniniche ed i silenzi del Gran Sasso d’Italia, precisamente all’interno della stanza 201 dell’albergo di Campo Imperatore, che Mussolini fu trasferito definitivamente dopo la sua destituzione e l’arresto. Un albergo che, per ironia della sorte, fu proprio il regime a voler edificare e che nel progetto originario, mai completato, doveva rappresentare il primo di tre immobili che dall’alto componevano la scritta D V X. Attualmente la struttura è chiusa in attesa di restauro, ma arrivando in quota anche grazie alla comoda funivia può rappresentare comunque un valido punto di partenza per escursioni sul versante occidentale del Gran Sasso d’Italia, nonché per visite al giardino botanico ed all’osservatorio astronomico.

Passò per l’Abruzzo anche la fuga della famiglia Savoia dopo l’annuncio dell’armistizio e la presa dei pieni poteri da parte del generale Badoglio. Attraverso la Tiburtina Valeria toccò la città di Pescara – dove all’interno dell’aeroporto si tenne il Consiglio della Corona che decise di trasferire i reali via mare – per arrivare poi al Castello Ducale di Crecchio, in provincia di Chieti – oggi sede del Museo dell’Abruzzo bizantino e altomedievale e dove si possono ammirare alcuni arredi e foto legati agli eventi bellici – prima di imbarcarsi definitivamente dal porto di Ortona per raggiungere la destinazione di Brindisi. Nel dicembre dello stesso anno, la città che custodisce le reliquie dell’apostolo Tommaso, sarà teatro di una delle battaglie più sanguinose combattute in Abruzzo lungo la Linea Gustav, tanto da essere ricordata come la Stalingrado d’Italia. Ad essa è dedicato il MuBa43, il Museo della Battaglia, all’interno del quale è conservato un plastico delle zone interessate dal tragico scontro, oltre a materiale video-fotografico e testimonianze storiche.

Ideata dal feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo delle forze armate di occupazione tedesche in Italia, la Linea Gustav rappresentava l’asse difensivo eretto dalla foce del fiume Sangro sull’Adriatico a quella del Garigliano sul Tirreno per ostacolare la risalita dell’esercito alleato verso il Nord Italia. Come nel caso di Ortona, lungo il suo corso si svolsero alcuni dei principali avvenimenti che, tra gli ultimi mesi del 1943 ed i primi sei mesi del 1944, funestarono i borghi d’Abruzzo. Per non dimenticare ciò che è stato, trasformando un simbolo divisivo e di respingimento in un luogo dell’accoglienza e dell’ospitalità, la cooperativa Terracoste ha meritoriamente dato vita al progetto denominato Sulla Linea Gustav. Il Cammino della Memoria (raccontato nel dettaglio QUI), un itinerario turistico ciclo-pedonale lungo circa 130 chilometri che partendo dal cimitero britannico di Torino di Sangro (Sangro River War Cemetery) – il secondo più grande d’Italia per numero di caduti (2.617) dopo quello di Cassino –, sulla Costa dei Trabocchi, dopo aver costeggiato il corso del fiume ed essersi addentrato nella parte meridionale del Parco Nazionale della Majella, conduce fino ad Alfedena, nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.

Idealmente suddiviso in sette tappe, tra paesaggi naturalistici di originale bellezza, testimonianze storiche, cippi e monumenti in memoria degli eventi passati, tocca Casoli – luogo ufficiale di nascita della gloriosa Brigata Maiella, l’unica formazione partigiana decorata con la Medaglia d’Oro al valore militare, i cui caduti sono commemorati in un Sacrario edificato a Taranta Peligna –; Pizzoferrato, teatro di un’epica sconfitta degli alleati dove trovò la morte anche il maggiore Wigram, capo del comando inglese della zona; la frazione di Pietransieri a Roccaraso, triste scenario del più efferato massacro compiuto dai tedeschi in Abruzzo con la strage di 128 civili inermi nel vicino bosco dei Limmari, avvenuta tra il 16 ed il 21 novembre del 1943. Come riportato nell’Atlante delle stragi nazifasciste in Italia, tra il 1943 e il 1945 sul suolo d’Abruzzo si compirono 359 eventi criminali (tra uccisioni, eccidi e stragi) per un totale di ben 903 vittime, ponendo la regione al secondo posto nel Sud, dopo la Campania, per numero di episodi e morti.

In Abruzzo, inoltre, durante il periodo della Seconda guerra mondiale, sorsero diversi campi di internamento e concentramento tra i quali il Campo 78 di Fonte D’Amore, situato alla periferia di Sulmona. Nei mesi dopo l’armistizio, militari ed ex prigionieri in fuga da qui e da altri luoghi di confino della zona, cercarono di raggiungere il comando alleato di stanza a Casoli, al di là della Majella. Ogni anno, quello stesso itinerario affrontato anche dal futuro presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi il 24 marzo del 1944 e dal 2001 denominato Sentiero della Libertà/Freedom Trail, viene percorso da centinaia di studenti e persone comuni che in tre giorni di cammino da Sulmona a Casoli, passando per Campo di Giove e Taranta Peligna, ricordano insieme gli eventi drammatici di più di settant’anni prima, grazie anche a letture ed incontri con testimoni dell’epoca, storici e giornalisti.

Infine, un’altra via di salvezza trasformata in un trekking escursionistico immerso tra memoria e bellezza è rappresentata dal Sentiero della Libertà nella Valle dell’Orfento, tredici chilometri di facile praticabilità (QUI il racconto della nostra esperienza) da percorrere sulle orme del caporalmaggiore neozelandese John Evelyn Broad, scappato insieme ad altri militari dal campo di Acquafredda nei pressi di Roccamorice la sera dell’11 settembre 1943 ed alla macchia fino all’aprile del 1944. Una fuga per la libertà portata a termine grazie alla protezione e all’assistenza della povera gente del luogo – contadini e pastori resistenti che nonostante il pericolo di rappresaglie e fucilazioni seppero scegliersi la propria parte dietro la Linea Gustav –, da lui stesso raccontata attraverso otto diari divenuti poi il libro “Poor people, poor us”.
Pubblicato originariamente in Nuova Zelanda nel 1945, è rimasto inedito in Italia fino al 2016, quando la giovane caramanichese Cristina Parone si è presa la briga di tradurlo in italiano, curato e stampato dalla cooperativa Majambiente di Caramanico Terme con il titolo “Povera gente, poveri noi” e giunto ora alla sua seconda edizione per i tipi di Menabò.

In chiusura, poiché più volte menzionato durante questo viaggio ad alto tasso emozionale tra le pieghe della storia d’Abruzzo, ci piace ricordare le parole che Pietro Calamandrei fece incidere nel 1952 su una lapide collocata all’interno del palazzo comunale di Cuneo in segno di protesta per la liberazione, per motivi di salute, del criminale nazista Kesselring il quale, una volta rientrato in patria, ebbe la spudoratezza di dichiararsi in pace con se stesso e che, al contrario, gli italiani avrebbero dovuto erigergli un monumento per il comportamento tenuto durante l’occupazione. Parole da scolpire sul cuore, senza aggiungere altro.
«Lo avrai / camerata Kesselring / il monumento che pretendi da noi italiani / ma con che pietra si costruirà /a deciderlo tocca a noi. / Non coi sassi affumicati / dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio / non colla terra dei cimiteri / dove i nostri compagni giovinetti / riposano in serenità / non colla neve inviolata delle montagne / che per due inverni ti sfidarono / non colla primavera di queste valli / che ti videro fuggire. / Ma soltanto col silenzio dei torturati / più duro d’ogni macigno / soltanto con la roccia di questo patto / giurato fra uomini liberi / che volontari si adunarono / per dignità e non per odio / decisi a riscattare / la vergogna e il terrore del mondo. / Su queste strade se vorrai tornare / ai nostri posti ci ritroverai / morti e vivi collo stesso impegno / popolo serrato intorno al monumento / che si chiama / ora e sempre / RESISTENZA».