L’eremo-santuario di San Domenico a Villalago si trova poco prima del Lago di Scanno: percorrendo le anguste gole della Valle del Sagittario, si raggiunge la diga artificiale dal cui sbarramento nasce lo specchio d’acqua che fa da scenario al luogo sacro
di Roberta di Renzo
L’eremo di San Domenico a Villalago è da sempre meta di devoti e turisti che nel corso dei secoli sono giunti sulle rive del lago. Secondo la tradizione, l’eremo venne scavato dallo stesso San Domenico intorno all’anno 1000 nel banco di roccia di arenaria, travertino, argilla e grafite. Il romitorio fa parte del complesso monastico di Prato di Cordoso, conosciuto dai devoti come monastero di Plataneto.
A San Domenico si attribuisce anche la fondazione di un altro eremo nella stessa area entrambi sono ricordati nel 1067 da un documento di cessione in cui risulta che l’abbazia di Montecassino ricevette in dono dai conti di Valva, entrambi i luoghi trasformati nel frattempo in monasteri: il Monastero degli Eremiti posizionato in “Valle que dicitur Pratum Cardosum” ed il Monastero di San Pietro “in valle de lacu”. La chiesetta attuale, rimaneggiata nel 1736, risale al XVI secolo; di quest’epoca è il bel portale proveniente dal diruto Monastero di San Pietro in Lacu. Da qui avviene l’accesso al santuario passando per un portico impreziosito da una bifora, riccamente decorata, che offre un magnifico panorama lacustre. Sulla bifora si possono riconoscere le immagini di quattro miracoli attribuiti al Santo: il miracolo delle fave, il bambino restituito dal lupo, la trasformazione dei pesci dell’ingordo in serpi e il ragazzo caduto dalla quercia.
All’interno, la chiesa, leggermente più ampia nella zona d’ingresso rispetto alla prima campata, presenta sul lato destro dell’ingresso l’affresco della Madonna col bambino, quasi del tutto rovinato e sbiadito, e dietro l’altare la statua di San Domenico. Subito a destra dell’ingresso una piccola porticina conduce alla zona cultuale più antica e suggestiva: la grotta del Santo. Dopo alcune rampe di scale, ricavate anch’esse nel banco roccioso, si giunge alla stretta imboccatura della grotta chiusa da un piccolo cancello in ferro. Sul lato sinistro c’è una sorta di tomba delimitata da quattro pilastrini posti ai lati del rettangolo: si tratta del letto del Santo, dove riposava disteso su alcune travi lignee. Oltre a questo è possibile ancora oggi, vedere il “fornetto”, cioè la pietra sopra la quale San Domenico cuoceva il pane e la piccola pozza d’acqua sorgiva ancora oggi raccolta dai pellegrini per calmare il mal di denti. Il culto di San Domenico, molto sentito nel resto dell’Abruzzo, qui ha riscontro in tre feste. La prima, il 22 gennaio, in cui si ricorda la morte del santo avvenuta nel 1031; la seconda, il lunedì di Pasqua, durante la quale in processione si portano le reliquie sino al complesso monastico ed infine la terza, la più importante, il 22 agosto. In occasione di questa ricorrenza l’intero paese è inondato dai festeggiamenti; molte compagnie popolari locali si avvicendano per le vie del borgo. Non è raro che vi partecipino anche gruppi dal Molise. Il giorno successivo ci si reca all’eremo per la Messa, per toccare le pareti della grotta e bagnarsi con l’acqua del luogo ritenuta curativa. Nel corso del 1800, la tradizione ricorda che la statua del Santo veniva portata in processione completamente coperta di serpenti, come ancora oggi avviene a Cocullo. Del resto la tradizione indica San Domenico come protettore su vari mali tra cui rabbia, mal di denti e morsi di serpenti velenosi.
Fino al secolo scorso non era raro vedere madri incitare i propri figli a mordere un serpente finto sull’altare per poter ottenere dal Santo l’immunità dal veleno.