di Rita Rosano
Sono le prime ore del mattino e la città dorme ancora. È proprio in questo momento della giornata, nel silenzio più profondo, che prendono vita i suoni e le voci della natura, le immagini di un luogo ancora incontaminato, dominato dalla straordinaria maestosità della Montagna Madre. Paese del Parco Nazionale della Majella, terra di fede e culla di arti e mestieri antichi, Rapino è uno dei più caratteristici paesi majellani, con una storia affascinante che viaggia tra il mito e la realtà. I siti e i ritrovamenti archeologici testimoniano la presenza dell’uomo già dal periodo del Neolitico e nell’età del Bronzo ed in particolare dal Primo millennio a.C., in età romana e durante il Medioevo. Uno dei siti di maggior interesse è la Grotta del Colle, considerata tra i luoghi di culto più affascinanti di tutta la regione. I ritrovamenti in questa misteriosa cavità ne confermano la sacralità e fanno supporre che all’interno si praticassero rituali religiosi: tra le più celebri testimonianze, si annoverano la preziosa “Tabula rapinensis”, datata al III sec. a.C., e la “Dea di Rapino”, statuetta di bronzo del VII-VI sec. a.C.
La “Tavola di Rapino” contiene la più lunga iscrizione in dialetto marrucino finora pervenuta. Tra le varie interpretazioni, la più sorprendente è quella di Adriano La Regina, secondo cui si tratterebbe di una legge per l’istituzione della prostituzione sacra nel santuario di Giove, mentre la “Dea di Rapino” rappresenta una divinità o forse un’offerente. Efficace la dichiarazione della giornalista e studiosa Maria Concetta Nicolai: “…a rigore culturale, spetta a Rapino il titolo di capitale religiosa del territorio maiellano e non solo per il documento archeologico che identifica qui l’antico santuario marrucino, ma ancor più per quella stupefacente e quasi magica persistenza dell’archetipo della sacralità materna nella festa tradizionale della Madonna del Carpino e delle Verginelle coperte d’oro”, riferendosi alla tradizionale processione delle Verginelle con cui ogni anno, l’8 Maggio, i fedeli ricordano il miracolo della pioggia avvenuto nel 1794.
Rapino, quindi, luogo di tradizioni, religiosità e di antichi segreti che fanno la fortuna e l’unicità culturale di questo piccolo centro. Tesoro è anche la sua antica arte, la ceramica, portata al massimo splendore da illustri personaggi. Il primo ceramista fu Raffaele Bozzelli, al quale leghiamo Fabio Cappelletti non solo per i rapporti di parentela (Bozzelli aveva sposato la madre di Fabio Cappelletti in seconde nozze), ma anche perché insieme impiantarono le produzioni di Rapino nella prima metà dell’800. Fabio Cappelletti trasmise la passione per la ceramica anche al figlio Fedele, personalità di spicco che riuscì a portare questo piccolo centro alla celebrità. Considerato tra i maggiori pittori di maioliche in tutto il Meridione e tra i massimi esponenti della cultura figurativa abruzzese contemporanea, Fedele Cappelletti trascorse la sua esistenza quasi interamente in bottega, alla continua ricerca di nuove soluzioni cromatiche. Spesso ospitava anche personaggi illustri, tra questi Francesco Paolo Michetti, che si dilettava a trasferire la pittura dalla tela alla ceramica. Ma il maestro con le sue opere “andava lontano” ed era presente nelle principali esposizioni del tempo, a Roma, Milano, Parigi, portando il nome di Rapino in tutto il mondo. Nei primi del ‘900 a Rapino troviamo anche i Cascella, famiglia di artisti pescaresi, che qui mossero i primi passi nel campo dell’arte della ceramica. Si ricordano le mitiche contadine del capostipite Basilio, i paesaggi rurali dei figli Michele e Tommaso, le scene contadine e i volti sacri di Gioacchino, ultimo dei fratelli, innamorato di questo piccolo paese tanto da trascorrervi tutta la vita. Per quanto riguarda la produzione, le più antiche opere risalgono alla metà dell’800, ma è negli anni ’70 e ’80 che troviamo i risultati migliori, in cui sono presenti piatti decorati a fiori policromi. Verso la fine del secolo incominciarono a diffondersi piatti, brocche, boccali, zuppiere e borracce con decori di uccellini sul ramoscello, fiori, galli; mentre nei primi del ‘900 la produzione cosiddetta “popolare” iniziò ad essere apprezzata e voluta anche da famiglie borghesi. Ancora oggi questa antica arte costituisce un elemento fondante della tradizione artistica del paese grazie alla presenza di botteghe di artigiani locali – che con passione e dedizione continuano a farla vivere – e alle attività del Museo e della Scuola della Ceramica, realizzati nel 2003 all’interno del seicentesco complesso monumentale di S. Antonio. Situato all’ingresso del paese nel borgo anticamente chiamato “quartiere dei ceramisti”, comprende la ex Chiesa, oggi recuperata a Teatro, ed il Convento, trasformato in Centro di Documentazione delle Verginelle e Galleria del Gusto.
Nelle sale espositive sono presenti opere di proprietà comunale, raccolte in ambienti diversificati secondo criteri cronologici e stilistici; la collezione del Museo vanta la conservazione di pezzi di valore dei più autorevoli rappresentanti dell’arte maiolica di Rapino ed opere contemporanee.
Conservazione ma anche produzione: con la presenza di laboratori ed aule in grado di fornire le tecniche più qualificate per la lavorazione a ciclo integrale della ceramica, il Museo ha infatti l’opportunità di organizzare frequentatissimi corsi di decorazione e scultura in ceramica.
Ma è passeggiando per le strade ed i vicoli di Rapino che ci si rende conto di come l’arte compenetri tutto il suo paesaggio. Da non perdere la Chiesa di S. Rita, al cui interno sono collocati pannelli di Gioacchino Cascella con storie della vita della Santa, e la Sala Consiliare del Comune, dove si trovano anche qui pannelli dello stesso autore con scene della vita e delle tradizioni della città.
Ricche di fascino le antiche botteghe dei grandi maestri, così come quelle più moderne dei nuovi ceramisti.