Un maestro abruzzese di cui è assolutamente indispensabile un’adeguata valorizzazione.
La sua personalità, tanto versatile quanto eclettica nel passare da un’esperienza artistica all’altra, emerge attraverso l’epistolario di Francesco Paolo Michetti con il quale aveva condiviso la felice stagione del Cenacolo di Francavilla
testo Lucia Arbace, foto Gino di Paolo
llustrata in un bel catalogo edito grazie alla Fondazione Pescarabruzzo, la mostra “Il Sentimento della Natura. Pittori abruzzesi al tempo dell’Italia unita”, allestita fino al 25 novembre presso il Museo d’Arte Moderna Vittoria Colonna di Pescara, riserva non poche sorprese agli appassionati d’arte e di storia.
Quasi alla fine del lungo percorso espositivo (oltre cento dipinti dei principali interpreti di una stagione entusiasmante per il nostro paese, che calcano da protagonisti la scena artistica nazionale senza mai ignorare le proprie origini), sono esposti quattro palpitanti ritratti e un eccezionale paesaggio dal taglio cinematografico, importanti autografi di Paolo De Cecco, gentilmente concessi in prestito dagli eredi, finora totalmente sconosciuti come del resto la quasi tonalità della sua produzione, rimasta nell’ombra nonostante la qualità artistica.
E’ tale da entusiasmare tutti soprattutto il dipinto La foce del fiume Pescara, firmato e datato nel 1905, agli albori del nuovo secolo. De Cecco poco prima di partire per La Spezia, dove si era recato già due anni prima in commissione d’esame e rimase a insegnare fino al 1916, esegue un autentico capolavoro, un’opera che tradisce a pieno l’esperienza del Cenacolo di Francavilla e la lunga frequentazione con i principali intellettuali e artisti del tempo, in primis Francesco Paolo Michetti e Gabriele d’Annunzio. Il sentimento che spira in questo dipinto è il medesimo delle liriche del Vate e delle appassionate descrizioni di scenari naturali. E’ ancora la pittura a trasmettere un’ eccezionale testimonianza visiva di un paradiso irrimediabilmente alterato, trascurato peraltro dai pionieri della fotografia, in stringente parallelo con la poetica dannunziana. Le barche pescherecce andavano a coppie; parevano grandi uccelli ignoti, dalle ali gialle e vermiglie. Poi dietro a noi e lungo la riva le dune fulve; poi, in fondo, la macchia glauca del saliceto” , Gabriele aveva scritto in Terra Vergine (1888), mentre nel Libro Segreto affermava: “… rivedo certe vele del mio Adriatico alla foce della mia Pescara, senza vento, senza gonfiezza gioiosa, d’un colore e d’un valore ineffabili, ove il nero e l’arancione il giallo di zafferano il rosso di robbia entravano in una estasi miracolosa, prima di estinguersi”
Nel dipinto, caratterizzato da efficaci contrasti cromatici, anche Paolo De Cecco sembra abbandonarsi alla malinconia del ricordo, nel lasciare l’Abruzzo per un’altra città di mare a lui egualmente cara, forse ignaro di documentare luoghi destinati a subire un’accelerata trasformazione. Su quel promontorio ancora scarsamente urbanizzato sorgeva la villa dei baroni De Riseis, proprietari terrieri e apprezzati produttori d’olio e vino, che proprio in prossimità della foce, nell’area a quel tempo appartenente al comune di Castellammare Adriatico, avevano un esteso podere, con un casino e varie pertinenze. L’edificio tra la vegetazione, con le sue molteplici finestre, sembra quasi sorvegliare il defluire quieto delle imbarcazioni verso il mare, segnato all’orizzonte da una sottile fascia blu di colore più intenso. Le vele latine, dagli intrecci che le rende simili ad ali di farfalle, sono colpite dalla luce del pomeriggio e si riflettono nelle acque della Pescara.
Sono i colori della natura, sapientemente percepiti nelle modulazioni atmosferiche, a dominare quest’opera di Paolo De Cecco, in cui l’artista rivela una straordinaria sensibilità, nel restituire una scena caratterizzata da un modernissimo taglio ‘panorama’, amplificato in un formato ben più ampio di quello proprio delle fotografie. Sulla riva destra il bozzetto di vita marinara è come un dipinto nel dipinto, con uomini, donne e bambini intenti in diverse attività intorno a un’imbarcazione a secca da cui sono tese le reti da riparare o riavvolgere. Nello stesso anno in cui firma l’opera, De Cecco continuava a mantenere i contatti con Francesco Paolo Michetti. Attraverso l’epistolario pubblicato da Franco Di Tizio si percepisce il forte legame tra questi due grandi abruzzesi ed è possibile ricostruire i principali avvenimenti della tormentata esistenza di Paolo dal 1878 al 1916, seguire il percorso esistenziale di un maestro che può essere a pieno titolo considerato un genio, al pari dei suoi amici più noti. In ogni esperienza creativa aveva conseguito risultati strabilianti, dalla musica alla pittura, senza dimenticare l’invenzione dell’incubatrice per i pulcini o la coltivazione delle saporose pesche Amsden.
Tanto versatile quanto eclettico nel passare da un’esperienza artistica all’altra, De Cecco aveva dovuto abbandonare l’attività di concertista di successo, acclamato nelle capitali europee, perché gli era stato sconsigliato di continuare a suonare il mandolino per le difficoltà nell’articolazione della mano, in conseguenza dell’ attacco ischemico che lo aveva colpito nel 1879. Ripresi a questo punto i pennelli, tralasciati sin dal 1866 – anno della realizzazione del Ritratto del nonno -, Paolo De Cecco si era trasferito in una casa situata nel Vallone Sant’Antonio a Città Sant’Angelo, dedicandosi parallelamente anche alla campagna. Nella nuova veste di agricoltore – ma non dimentichiamo che anche Giuseppe Garibaldi aveva fatto una scelta simile ritirandosi in volontario esilio a Caprera! – De Cecco mise a frutto la sua genialità nell’inventare un’ incubatrice per i pulcini, collaudata a Budapest e nel 1883 pubblicizzata nella rivista “La Riforma”, diretta da Primo Levi, mentre la squisita qualità di pesche da lui coltivata veniva apprezzata tra gli altri dal professor Patriarca di Firenze.
Dai messaggi inviati da Michetti a Paolo De Cecco si evince come il loro legame sia rimasto stretto anche a distanza e costante sia stata la partecipazione agli eventi familiari. Non a caso uno dei più intensi ritratti di Paolo De Cecco illustra Aurelia Terzini, la madre di Francesco Paolo Michetti la quale peraltro mai accettò di posare per il celebre figlio. Il lirismo di un animo dotato di una straordinaria sensibilità si esprime superbamente in questo e molti altri dipinti affini. Paolo raffigura la giovane amatissima moglie o altri personaggi del suo tempo, come Matilde Serao. I colpi di luce, le ombre magistrali che torniscono i volti, lo stratificarsi lieve delle pennellate sul cartoncino per dare base di vestitura alle fisionomie parlanti, tradiscono appieno la statura elevata di un maestro abruzzese di cui si riparlerà presto e in maniera più esaustiva in un studio di prossima pubblicazione.